Il cadavere di Giuliano nel cortile Di Maria a Castelvetrano |
di Pino Sciumé
Mattina del 5 luglio 1950. A Castelvetrano, in provincia di
Trapani, in un cortile ubicato nella via Mannone, un corpo senza vita, riverso
bocconi e circondato da carabinieri, magistrati, giornalisti, abitanti del
posto, fu mostrato all’opinione pubblica come un trofeo di guerra, la vittoria
dello Stato contro il ricercato più pericoloso che per sette anni lo aveva
tenuto in pugno. Quel corpo era del “bandito” Salvatore Giuliano. Autori della
brillante operazione furono il Colonnello Ugo Luca e il Capitano Antonio
Perenze, quest’ultimo dichiaratosi autore materiale dell’eliminazione fisica
dell’imprendibile “re di Montelepre”. L’operazione militare,
ordinata direttamente dall’allora ministro degli Interni Mario Scelba,
siciliano di Caltagirone e inventore del famoso corpo di polizia denominato “La
Celere”, sembrò mettere a tacere per sempre la questione del banditismo
siciliano che, secondo le fonti governative, aveva provocato centinaia di morti
nei sette anni precedenti, culminati con la strage di Portella delle Ginestre
in cui la banda Giuliano provocò la morte di undici contadini e il ferimento di
altre trenta persone.
Poco prima della morte di Giuliano era cominciato a Viterbo il
processo per la strage di Portella, definita da Scelba, opera di criminali
comuni che nulla avevano a che fare con i politici, gli agrari e la mafia. La
Corte non si preoccupò pertanto di ricercare eventuali mandanti, ma di
accertare la responsabilità personale degli esecutori comminando loro la giusta
condanna. Due anni dopo, dodici componenti della cosiddetta banda Giuliano
furono condannati alla pena dell’ergastolo, dodici e non undici, quanti erano
effettivamente presenti sul monte Pizzuta assieme a Giuliano. Ma uno in più,
uno in meno… Le cronache di quei tempi riferiscono che nessun siciliano credeva
alla colpevolezza di Giuliano perché quello di Portella era il suo popolo, la
gente per cui aveva lottato contro uno Stato da lui considerato nemico e da cui
voleva che la Sicilia si distaccasse.
Umberto Santino, giornalista e attento osservatore, come lo fu il
coraggioso Tommaso Besozzi (autore dell’articolo: “Di sicuro c’è solo che è
morto” scritto all’indomani del 5 luglio 1950) così scrive in uno dei suoi
pezzi “La verità giudiziaria sulla strage si è limitata agli esecutori
individuati nei banditi della banda Giuliano. Nell’ottobre del 1951 Giuseppe
Montalbano, ex sottosegretario, deputato regionale e dirigente comunista,
presentava al Procuratore generale di Palermo una denuncia contro i monarchici
Gianfranco Alliata, Tommaso Leone Marchesano e Giacomo Cusumano Geloso come
mandanti della strage e contro l’ispettore Messana come correo. Il Procuratore
e la sezione istruttoria del Tribunale di Palermo decidevano l’archiviazione.
Successivamente i nomi dei mandanti circoleranno solo sulla stampa e nelle
audizioni della Commissione parlamentare antimafia che comincia i suoi lavori
nel 1963”.
Ancora Umberto Santino, nei suoi articoli che fanno parte
dell’Archivio del compianto Professor Giuseppe Casarrubea, scrive: “Nel
novembre del 1969 il figlio dell’appena defunto deputato Antonio Ramirez si
presenta nello studio di Giuseppe Montalbano per recapitargli una lettera
riservata del padre, datata 9 dicembre 1951. Nella lettera si dice che
l’esponente monarchico Leone Marchesano aveva dato mandato a Giuliano di
sparare a Portella, ma solo a scopo intimidatorio, che erano costantemente in
contatto con Giuliano i monarchici Alliata e Cusumano Geloso, che quanto aveva
detto, nel corso degli interrogatori, il bandito Pisciotta su di loro e su
Bernardo Mattarella era vero, che Giuliano aveva avuto l’assicurazione che
sarebbe stato amnistiato”. E ancora: “Montalbano presenta il documento alla
Commissione antimafia nel marzo del 1970, la Commissione raccoglierà altre
testimonianze e nel febbraio del 1972 approverà all’unanimità una relazione sui
rapporti tra mafia e banditismo, accompagnata da 25 allegati, ma verranno
secretati parecchi documenti raccolti durante il suo lavoro. La relazione a
proposito della strage scriveva: “Le ragioni per le quali Giuliano ordinò la
strage di Portella della Ginestra rimarranno a lungo, forse per sempre, avvolte
nel mistero”.
La Commissione Parlamentare Antimafia istituì nel 1971 una sotto
commissione sui fatti Portella presieduta da Marzio Berardinetti che tra
l’altro affermò: “Il lavoro, cui il comitato di indagine sui rapporti fra mafia
e banditismo si è sobbarcato in così difficili condizioni, avrebbe approdato a
ben altri risultati di certezza e di giudizio se tutte le autorità, che
assolsero allora a quelli che ritennero essere i propri compiti, avessero
fornito documentate informazioni e giustificazioni del proprio comportamento
nonché un responsabile contributo all’approfondimento delle cause che resero
così lungo e travagliato il fenomeno del banditismo”. Per tali motivi,
nell’intento di non andare oltre in interrogatori che potevano portare a verità
scomode fu apposto il Segreto di Stato fino al 2016, fino a questo 5 luglio
2016, 66° anniversario della messinscena della morte di Salvatore Giuliano.
Abbiamo sentito il nipote Giuseppe Sciortino Giuliano, figlio di
Mariannina e sorella di Salvatore. “Noi della famiglia siamo sicuri
dell’estraneità di mio zio sui fatti di Portella. Quella fu una Strage di Stato
addossata ad arte a Giuliano. Le autorizzo a scrivere che noi conosciamo la
verità fin dal 1965. Ora se lo Stato vuole aprire quegli archivi che ben venga,
anche se non credo ci possa essere ormai qualcosa che non conosciamo. Ma dalla
fine del prossimo settembre sarà in distribuzione in tutta Italia prima e
successivamente negli Stati Uniti, un Docufilm di circa tre ore in formato DVD
che farà conoscere al mondo intero la verità su mio zio Salvatore Giuliano,
eroe siciliano, colonnello dell’Evis, punto fermo dell’ottenimento del mai
attuato Statuto Siciliano, anche se lui ha sempre lottato per l’Indipendenza
della Sicilia”.
SiciliaOnPress, 5 LUGLIO 2016
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