di LUIGI CIOTTI
La legge 109/96, vent’anni fa, ha aggiunto all’istituto della confisca dei beni
(previsto per la prima volta dalla Rognoni-La Torre nel 1982) la loro
destinazione a uso sociale. Non una semplice integrazione, ma un radicale
cambio di prospettiva nel contrasto alla criminalità mafiosa. Considerate fino
ad allora quasi esclusivamente come un fenomeno criminale, pur con tutti i suoi
addentellati politici ed economici, nell’ottica della 109 le mafie vengono
lette anche come una questione sociale che affonda le radici nella corruzione,
nell’indifferenza, nell’individualismo, cioè come un male che può essere
vinto solo attraverso un risveglio delle coscienze e un collettivo impegno per
il bene comune. È questo lo spirito della legge, per la cui approvazione
Libera raccolse oltre 1 milione di firme in tutta Italia: spingere noi
cittadini a farci promotori del cambiamento che desideriamo, perché
ricostituire l’integrità del bene pubblico, a partire dai “pezzi” che gli
erano stati sottratti, è un’“impresa” che chiede il concorso di tutti, e alla
quale un sempre maggior numero di italiani ha scelto di partecipare.
Oggi i beni confiscati e finalizzati al riutilizzo sociale sono affidati ad
enti pubblici e a realtà del privato sociale.E’ dall’esperienza di queste ultime che la ricerca BeneItalia vuole partire. Una ricerca che completa e approfondisce rilevazioni svolte in passato e che ha il merito principale di mettere in luce il quotidiano impegno di molte persone, fatto di poco clamore e molto sudore, non solo inteso in senso figurato. I monitoraggi che pure non erano mancati, negli anni scorsi, erano infatti perlopiù quantitativi – oltre che riferiti a singoli territori – e non davano pienamente conto della portata di questa esperienza.
Queste pagine non si limitano a dirci quante sono le realtà coinvolte a vario titolo nella gestione dei beni (524) – soprattutto associazioni e cooperative sociali, che qui investono un “capitale” umano fatto di staff competenti ed enormi risorse di volontariato – cosa fanno – educazione alla cittadinanza, promozione culturale, contrasto al disagio sociale e molto altro – e come sono arrivate a farlo. La ricerca si pone insomma in continuità con l’esigenza di trasparenza che fin da subito ha caratterizzato l’avventura complessiva e i singoli percorsi di riutilizzo sociale: una trasparenza tanto più necessaria laddove le mafie, per vie opache, quasi sempre provano a rimettere le mani su ciò che considerano ancora loro. A questo proposito, di particolare interesse risultano i dati sui tempi che intercorrono fra confisca, assegnazione del bene ed effettivo uso sociale – in media ben 10 anni – e sulle condizioni in cui i beni vengono messi a disposizione della collettività – deteriorati quando non vandalizzati: due dati preoccupanti, e due punti sui quali questa preziosa legge può essere rafforzata e resa maggiormente operativa.
Non è un caso se Libera, lo scorso 7 marzo, ha scelto di ricordare il ventennale della 109 attraverso un ventaglio di iniziative volte a portare i cittadini fisicamente dentro i beni confiscati, per aumentarne il livello di consapevolezza e dunque di coinvolgimento. In tanti, quel giorno hanno toccato con mano come tali realtà siano diventate palestre di democrazia, occasione di lavoro vero, pulito, di accoglienza per le persone fragili e in difficoltà, di formazione e impegno per migliaia di giovani che volontariamente, ogni anno, vi passano parte dell’estate. Insomma segni di speranza in territori che la speranza avevano perso, dimostrazioni che la ribellione alle mafie (e alle forme di corruzione e parassitismo che le facilitano) è possibile se tutti – cittadini e amministratori, associazioni e istituzioni, politica ed economia, mondo laico e religioso – ci assumiamo le responsabilità del bene comune, comportandoci come il cittadino onesto, responsabile e solidale di cui ci parla ma soprattutto a cui parla, la Costituzione.
Questo scritto, a firma di Luigi Ciotti, è la postfazione al dossier Bene Italia, presentato oggi 23 giugno 2016 alla Casa del Jazz di Roma e pubblicato dalle Edizioni Gruppo Abele nella collana dei Quaderni di Libera e Narcomafie.
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