Bernardo Provenzano |
Mafia. Tumulate
ieri poco dopo l'alba le ceneri del boss. In un'atmosfera surreale, col
cimitero assediato da polizia, carabinieri e guardia di finanza
Corleone sembra un paese sospeso. Fermo. Come un pugile
all’angolo del ring, colpito al ventre sano dalle parole di Salvo Riina, figlio
del capomafia, nell’intervista a Porta
a porta, dalle polemiche per un ‘inchino’ della vara che c’è stato
e non c’è stato ma che certamente non può essere metafora di una comunità
intera, per la morte di Bernardo Provenzano, le cui ceneri, racchiuse
nell’urna, sono state tumulate ieri poco dopo l’alba, in un’atmosfera surreale,
col cimitero assediato da polizia, carabinieri e guardia di finanza. Episodi che segnano una specie di ritorno al passato, che per
chi vive a Corleone non fanno altro che nascondere la realtà di una città
sempre più in difficoltà. Dove manca il lavoro, dove da 16 mesi è emergenza
rifiuti, dove i contadini abbandonano i campi, i giovani emigrano, dove le
strade si aprono come il burro, dove i rubinetti nelle case a volte rimangono a
secco d’acqua e dove gli scarcerati fanno ritorno. Dove quel che di positivo si
fa sembra infrangersi nelle balbuzie omertose di qualche vecchio corleonese che
a monosillabi risponde ai cacciatori di scoop, mentre chi lavora nelle terre
confiscate alla mafia cerca di resistere. (Il Manifesto, 19.7.2016)
Corleone, la piazza del municipio |
Corleone aspetta. Aspetta la politica, e soprattutto aspetta le
istituzioni. Tre mesi fa gli ispettori del Viminale hanno concluso l’accesso
agli atti nel comune guidato da Leoluchina Savona (centrodestra), dopo il
sospetto di infiltrazioni mafiose. Fu il ministro degli Interni, Angelino
Alfano, a dare la notizia dell’ispezione. Novanta giorni sono trascorsi da
allora. Prefettura e questura hanno fanno il proprio dovere. Il dossier è stato
trasmesso a Roma. Il tempo passa, ma il pronunciamento non arriva. E il comune
rimane in un limbo pericoloso, col sindaco immerso nel cammino di Santiago di
Compostela. “Nei cittadini avanza sempre più la sensazione che le istituzioni
non hanno più la capacità di accompagnare lo sforzo di rinascita che ha
consentito a Corleone di mostrare con i fatti il volto pulito”, dice Dino
Paternostro, responsabile legalità della Cgil di Palermo. “Vogliamo
sapere se il comune è infiltrato dalla mafia o no e vogliamo saperlo subito”,
aggiunge Cosimo Lo Sciuto, segretario della Camera del lavoro a Corleone. “La
gente ha bisogno di certezze – afferma – La città è paralizzata. E mentre tutto
è fermo accadono fatti, come la morte di Provenzano e le relative polemiche,
che acuiscono il disagio della gente”. Anche Calogero Parisi, presidente della
Coop ‘Lavoro e non solo’ che gestisce le terre confiscate alla mafia, coglie il
riverbero “di una condizione di diffidenza” da parte dei cittadini. “Viviamo un
periodo complicato – ragiona – C’è una sorta d’impotenza: da un lato il paese
si porta addosso il fardello di terra di mafia, dall’altro si sente oggetto di
attacchi mediatici a volte amplificati. La vicenda dell’ispezione al comune,
con i risultati che non arrivano, rende il quadro più fosco”.
A ciò si aggiungono fattori esterni, come “la crisi
economica, la perdita d’identità nei partiti, la sottovalutazione da parte dello
Stato di episodi come quello di Salvo Riina in Tv alla Rai”. “Prima si parlava
della chiusura dell’ospedale ora di tagliare alcuni reparti e in piazza qualche
anziano sussurra che prima le sorti della sanità in Sicilia si decidevano a
Corleone”, chiosa Parisi. Le istituzioni, ecco. “Ci sforziamo a mantenere in
piedi l’antimafia sociale, a recuperare la memoria di dirigenti sindacali
assassinati dalla mafia come Placido Rizzotto, a creare le condizioni per una
democrazia economica, ma manca in questo momento la sponda fondamentale delle
istituzioni e della politica”, osserva Paternostro. In questo clima passa quasi
in sordina la tumulazione di Provenzano.
L’urna con le ceneri del boss, che i figli Angelo e Francesco
Paolo hanno portato sabato da Milano, è stata scortata di buon mattino fino al
cimitero di Corleone. Con i due giovani e la madre, Saveria Benedetta
Palazzolo, c’era un gruppo di parenti, una trentina di persone. Ma non è stato
permesso alcun corteo, vietato dal questore Guido Longo. Il rito funebre è
stato breve, officiato da padre Francesco Pio che ha letto una pagina del
Vangelo di Giovanni: “Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me; colui che viene
a me non lo respingerò”. Poi una riflessione: “Dobbiamo pregare il Signore
perché aiuti chi sta sulla terra a fare la sua volontà”. Un’ora in tutto.
Provenzano è stato tumulato nella tomba di famiglia nel cimitero che ospita
altri mafiosi come Luciano Liggio e Michele Navarra, ma anche martiri della
mafia , Placido Rizzotto. Fuori e fra i viali i poliziotti e i carabinieri,
poco distante un blindato della finanza, con agenti in tenuta antisommossa.
Sulla tomba è scritto “Famiglia Provenzano”, non c’è il nome del boss, né la
foto.
Il Manifesto, 19 luglio 2016
Nessun commento:
Posta un commento