Dino Paternostro |
La sera
di venerdì 10 giugno ho annunciato le mie dimissioni da consigliere comunale,
che ho formalizzato questa mattina, insieme agli altri consiglieri del Pd,
consegnandole all’ufficio protocollo del nostro comune.
Non
credevo che si dovesse concludere così questa mia esperienza istituzionale al
comune di Corleone. Ma è necessario dare questo taglio netto, altrimenti si
rischia di diventare complici (anche involontari) del degrado amministrativo,
politico e morale delle istituzioni cittadine.
Ormai è
chiaro a tutti che Corleone non è governata da nessuno. La città è allo sbando,
i servizi non funzionano, le tasse sono alle stelle. Per circa venti giorni è
stata interrotta l'erogazione dell'acqua potabile, senza che il comune abbia
informato adeguatamente i cittadini e garantito un servizio alternativo con le
autobotti.
Il
paese è molto sporco, ma l'amministrazione comunale continua ad affidare il
servizio in emergenza da oltre quindici mesi, senza effettuare la raccolta
differenziata (la relativa multa comporterà un ulteriore aumento delle bollette
per i cittadini) e lasciando disoccupati tutti gli operai e i dipendenti ex
Ato.
La
città di Corleone è veramente "al buio". Lo è metaforicamente perché
ormai più nulla funziona; lo è concretamente perché l'Enel ha cominciato a
staccare la corrente elettrica dagli edifici comunali (emblematico è il caso
del complesso architettonico di Sant'Agostino rimasto al buio nei giorni 17-18-19-20-21
giugno), perché da mesi non vengono pagate le bollette.
L'operazione
"Grande Passo" ha tolto a tutti, anche ai "benpensanti",
l'alibi della mafia che non c'è più. Ha "svelato", invece, che c'è
ancora ed è anche dentro la "casa" comunale. Ma non ha insegnato al
sindaco, alla giunta e ai consiglieri di maggioranza che bisogna mantenere
sempre la schiena dritta, opponendosi ad essa con decisione, anche attraverso
la costituzione di parte civile al processo, che invece non c’è stata. Una
scelta incomprensibile, di cui i cittadini onesti ancora si vergognano.
Corleone
è una città sotto la lente d'ingrandimento del ministero dell'interno, che ha
effettuato un accesso per verificare eventuali pericoli di infiltrazione
mafiosa. Non era mai accaduto prima. Un evento inquietante, che riporta
indietro l'orologio della storia a quando "comandavano" loro: i boss
mafiosi e i politici boss.
Sarebbero
questi motivi sufficienti per staccare la spina e ridare la parola ai
cittadini-elettori, sperando che trovino essi "la chiave" per
rinnovare la politica, disinquinandola dalle troppe "incrostazioni".
Nella
seduta del consiglio comunale del 10 giugno, però, c'è stata la goccia che ha
fatto traboccare il vaso. Abbiamo appreso che lo scorso 7 giugno la giunta, col
voto unanime del sindaco e di tutti gli assessori, aveva approvato la delibera
n. 80, con cui decideva di proporre denuncia/querela contro il giornale La Repubblica
e tutti gli altri giornali che avevano diffuso la notizia della processione di
San Giovanni dello scorso 31 maggio e del presunto inchino davanti casa
Bagarella/Riina. E, come se non bastasse, il 9 giugno ancora la giunta aveva
approvato la delibera n. 84 con cui si dava mandato all’avv. Trovato di
querelare La Repubblica e Palazzolo.
Abbiamo
constatato con amarezza che l’amministrazione comunale ha
manifestato la volontà di procedere alla querela nei confronti del mondo
dell'informazione, mentre non si è costituita parte civile contro i mafiosi. E
a poco vale che la giunta, qualche giorno dopo, constatando di averla fatta
davvero grossa, abbia revocato entrambe le delibere di querela. Significa solo
che nel “palazzo” c’è tanta confusione.
È
assurdo che l'amministrazione comunale decida "la guerra totale"
contro i mezzi di informazione, che magari a volte, parlando di Corleone,
“colorano” le notizie, senza entrare nel merito della sostanza di quello che è
accaduto. Ed è accaduto che la processione di San Giovanni la sera del 31
maggio ha fatto davvero una sosta non programmata davanti casa delle famiglie
Bagarella/Riina, che a Corleone rappresentano il simbolo della mafia più
feroce, quella delle stragi di Capaci e di via D'Amelio.
Probabilmente
non c'è stato il famoso inchino, ma fermarsi davanti a quella casa è stato lo
stesso - al di là della stessa volontà dei confrati - un atto di deferenza nei
confronti della famiglia del capo dei capi di cosa nostra. Sicuramente così l'hanno
interpretato i carabinieri e i poliziotti presenti alla processione, che sono
andati via, inviando un rapporto all'autorità giudiziaria. Lo stesso parroco
don Domenico Mancuso ha parlato di "leggerezza" che si sarebbe potuta
evitare. E l'arcivescovo di Monreale, mons. Michele Pennisi, ha accettato le
dimissioni dei vertici della confraternita, e, concludendo l’indagine interna,
ha sottolineato: «su questa vicenda non ci possono essere equivoci, di fronte
al fenomeno mafioso le parole e i gesti della Chiesa devono essere chiari, anzi
di più: chiarissimi. Nei prossimi giorni nominerò un commissario per la
confraternita. Una certezza si è raggiunta: quella fermata davanti a casa Riina
c’è stata, ed era meglio non farla».
Di
fronte a tutto questo, il sindaco, la giunta e i consiglieri di maggioranza non
hanno speso una sola parola per sottolineare che la religione cristiana debba
essere assolutamente distante dalla mafia, che mafia e Vangelo sono
assolutamente incompatibili, che i mafiosi sono stati scomunicati da Papa
Francesco. E non ha speso una sola parola di condanna contro le offese/minacce
postate su Facebook dal genero del boss mafioso Totò Riina contro il
sottoscritto, che ha avuto la “colpa” di linkare l'articolo di Repubblica sul
proprio profilo. Anzi, il sindaco si è scatenata in una campagna dai toni molto
esasperati e duri contro l’informazione, usando parole molto simili a quelle
del genero del boss.
Per
fortuna non sono mancati la solidarietà e il sostegno da parte di tanti
cittadini democratici e associazioni di Corleone, della Sicilia e del nostro
Paese.
Le
successive revoche non/revoche delle delibere di querela hanno dimostrato solo
lo stato di confusione e di irresponsabilità in cui si trova l'amministrazione
comunale.
Mi sono
chiesto, quindi, che cosa ci sto a fare ancora all’interno di un’istituzione
cittadina, che ha questo livello di insensibilità. E la risposta che mi sono
data è stata: non ci posso più restare.
Piuttosto
che "aprire le porte al mondo" per essere aiutata nel percorso di
liberazione dalla mafia e dal malaffare, con questi amministratori la città di
Corleone si è messa in guerra col mondo, si è chiusa in se stessa, si è
isolata. Non è questa la strada per dare un futuro alle nostre famiglie, ai
nostri giovani, alle nostre aziende, che hanno bisogno di un rapporto positivo
col mondo, che hanno bisogno di parlare e di essere ascoltati dal mondo per
potere crescere e svilupparsi.
Da
tanti anni ritengo che il modo migliore per difendere il buon nome di Corleone
sia quello di essere i primi noi a gridare che qui c'è mafia, ovviamente
aggiungendo che qui c'è anche chi questa mafia vuole combatterla. Credo
fermamente che sia un nostro dovere portare avanti una battaglia culturale e
civile, per fare in modo che venga fuori la Corleone democratica, che si vuole
aprire al mondo, piuttosto che quella oscurantista, che si chiude, che denuncia
i giornali.
Per
tutte queste ragioni, ho rassegnato le mie irrevocabili dimissioni dalla carica
di consigliere comunale di questa città, che in questi anni ho cercato di
servire con scrupolo e coscienza, perseguendo sempre l'interesse generale, in
armonia con quelli della Regione e dell’Italia. Magari non ci sarò riuscito per
come avrei voluto, ma - credetemi – ci ho provato, ho fatto il possibile per
riuscirci.
Anche
queste mie dimissioni vogliono essere un estremo grido d'allarme, affinché ci
sia la necessaria attenzione verso i gravissimi problemi della nostra città,
dai servizi inesistenti al dramma della disoccupazione, specie quella giovanile.
Il mio
impegno per Corleone, per la mia città, continuerà a tutti i livelli di
responsabilità in cui mi trovo coinvolto.
Mi
auguro che al più presto Corleone e i suoi cittadini possano avere quello
scatto d'orgoglio necessario a riprendere un cammino positivo, che questa
amministrazione e i suoi sostenitori le hanno fatto colpevolmente interrompere.
Dino
Paternostro
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