Nella
mattinata di ieri, in tutta la provincia di Palermo, i Carabinieri della
Compagnia di Termini Imerese, nel corso di un’operazione congiunta hanno dato
esecuzione a 33 ordinanze di custodia cautelare (24 in carcere e 9 agli arresti
domiciliari) - emesse dal G.I.P. presso il Tribunale di Palermo, dott. Fabrizio
MOLINARI, su richiesta della locale Procura Distrettuale, diretta dal dott.
Francesco LO VOI - nei confronti di altrettanti soggetti, accusati, a vario
titolo, di associazione di tipo mafioso, nonché di estorsione, furto, rapina,
illecita detenzione di armi, intestazione fittizia di beni e trasferimento
fraudolento di valori, reati aggravati dall’agevolazione dell’attività del
sodalizio mafioso. Contestualmente
sono stati sequestrati il capitale sociale ed i beni aziendali di una società e
di un’impresa individuale, riconducibili ai capi mandamento di Trabia e San
Mauro Castelverde, per un valore complessivo di 1,5 milioni di euro.
Le indagini coordinate dal Procuratore Aggiunto, dott. Leonardo AGUECI,
e dai Sostituti Procuratori, dott. Sergio DEMONTIS, dott. Alessandro PICCHI,
dott. Siro DE FLAMMINEIS, dott. Bruno BRUCOLI, dott. Gaspare SPEDALE, dott.
Ennio PETRIGNI hanno fornito un accurato quadro di assoluta attualità,
consentendo di definire
gli interessi di cosa nostra nella parte orientale della provincia di Palermo -
a partire dal territorio di Bagheria sino ad arrivare ai confini delle province
di Catania e Messina - e di ricostruire in maniera chiara e dettagliata i nuovi
organigrammi dei due storici mandamenti
mafiosi di Trabia e San Mauro Castelverde, con l’individuazione dei reggenti e
degli affiliati. Più in particolare, è stato
documentato il ruolo di vertice ricoperto:
-
per il mandamento
di Trabia, da RINELLA Diego, affiancato da MODICA
Michele, capo famiglia di Trabia, nella gestione operativa degli affari
illeciti e nei rapporti con le dipendenti famiglie mafiose di Cerda, Caccamo e
Termini Imerese;
-
per il mandamento
di San Mauro Castelverde, da BONOMO Francesco, collaborato nella conduzione dei
traffici delittuosi da altri componenti dell’associazione, incaricati, tra
l’altro, del materiale trasporto di pizzini
e messaggi verbali a reggenti e sodali delle famiglie mafiose di San Mauro
Castelverde, Polizzi Generosa e Lascari.
L’operazione,
frutto di prolungati sforzi
investigativi, ha dunque dimostrato la progressiva riorganizzazione
territoriale dell’associazione mafiosa in una vasta area della provincia,
evidenziando come, coerentemente con il generale andamento di cosa nostra, i richiamati
mandamenti abbiano dovuto rimodularsi a seguito delle operazioni di polizia
condotte negli ultimi anni (ultima in ordine di tempo, quella convenzionalmente
denominata “Camaleonte III” del 2011), che ne hanno decimato le fila,
soprattutto tra gli elementi di vertice. Al riguardo, rileva in particolare la
precisa volontà di collocare a capo della varie famiglie mafiose gli “anziani”,
ovvero gli storici capi famiglia, definiti nel classico linguaggio mafioso,
utilizzato anche dagli odierni indagati, “vattiati”, in quanto ritualmente
affiliati all’organizzazione. Ne è prova lo stralcio di intercettazione tra due
degli indagati di seguito riportato: “….IN TUTTI I PAESI STANNO… STANNO
PRENDENDO A TUTTI QUELLI “VATTIATI” …HAI CAPITO… CI SONO QUELLI PIÙ ANZIANI…” .
Il ritorno al passato, nella mentalità degli affiliati, presuppone
anche la riaffermazione del rispetto di alcuni valori ritenuti fondamentali per
l’operatività stessa del sodalizio criminale. A tal riguardo il contenuto delle
suddette conversazioni è emblematico in quanto, oltre a far risaltare il
vincolo associativo che lega tra loro i vari accoliti, pone in luce la volontà
di affermare il ferreo ed ortodosso rispetto delle regole di cosa nostra da
parte di tutti gli affiliati: : “…NON CE NÉ GUERRA TRA NOIALTRI!”..” DINO..QUANDO TU MI DICI A ME CHE MI VUOI BENE..” DINO..QUANDO
TI ESCE LA PAROLA DI QUA CHE MI VUOI BENE..PERO’ TI DEVE USCIRE DI QUA!..GIA’
TU MI HAI PAGATO!”; “…QUANDO VIENE
QUALCHE D’UNO CHE..CHE TU RICONOSCI CHE È “UN AMICU”..SE LO PUOI AIUTARE
LO AIUTI, SE NON LA POSSIAMO FARE CHE NON SI PUÒ FARE..MA TRE QUARTI CHE
VENGONO A BUSSARE DA TE..LO SAI..LO CONOSCI..MI DEVI FARE.. DA DOVE VENITE!QUA
NON VENIRE PIÙ!”; “…QUANDO SI TRATTA DI APPUNTAMENTO NON DOBBIAMO SCHERZARE..
PERCHÉ È SACRO..”.
Più in generale, sono stati
dunque riscontrati tutti gli elementi tipicamente caratterizzanti cosa nostra:
-
lo
sfruttamento della forza di
intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere
delitti, per acquisire la gestione ed il controllo del territorio e delle
attività economiche, nonché per realizzare lauti profitti: “…ED ORA SI STA CERCANDO DI METTERE DI
NUOVO IN MOTO LA SITUAZIONE.. … CI VUOLE IL TEMPO PERCHÉ.. ORA C’È QUELLO A
CALTAVUTURO.. C’È QUELLO A POLIZZI.. C’È QUELLO A CASTELLANA… C’È QUELLO A
TERMINI… C’È QUELLO A PALERMO.. C’È QUELLO… OUH.. DI ESSERCI UN CRISTIANO PER
OGNI PAESE. .. NON È CHE CON CHIUNQUE TU TI VAI A FIDARE… ..PERCHÉ DOBBIAMO “CAFUDDARE”.. PERCHÉ
LORO TANTO GIRANO FINO A QUANDO VANNO A TROVARE “LA CHIAVE GIUSTA”.. PURE CHE
VANNO A PALERMO O A ..[incomprensibile].. DICE MA IO HO BISOGNO A CALTAVUTURO..”
- il dovere di sostegno
imprescindibile nei confronti delle famiglie degli affiliati reclusi,
necessario al mantenimento del vincolo di fedeltà;
- il controllo del territorio di
pertinenza dell’intero mandamento, espresso mediante la pressione ingenerata
dalla presenza manifesta degli affiliati per la gestione pressoché totale,
diretta ed indiretta, di quasi tutte le attività criminali ricadenti in
quell’area: “..IL GIRO…
L’INCASSO… IL GUADAGNO… TUTTA UNA COSA ASSOCIATA… A TUTTI QUESTI DISCORSI”;
- la propensione per un
modello operativo improntato
prevalentemente alla “sommersione”, al fine di limitare quanto più possibile il
ricorso ad azioni eclatanti suscettibile di attirare l’attenzione delle Forze
dell’Ordine.
Altro dato significativo emerso nel corso dell’indagine è
l’esatta definizione della demarcazione territoriale dei mandamenti di Trabia e
San Mauro Castelverde, utile a comprendere appieno l’area di competenza di
ciascuna articolazione, specie in relazione alla consumazione delle attività
estorsive. In particolare, in un’intercettazione si aveva modo di captare le
considerazioni di uno degli indagati in ordine ai confini territoriali: “..LUI HA DETTO CHE IL FIUME HIMERA È IL CONFINE PER LUI…
IL FIUME HIMERA DA QUELLA PARTE… MA UNA VOLTA CHE SI SISTEMANO LE COSE DOBBIAMO ESSERE TUTTI…… TUTTI COMBACIATI VA…MA QUALE STA
MINCHIA… QUANTO VALE L’UNIONE NON VALE NIENTE!…”.
Principale
attività illecita esercitata dall’organizzazione mafiosa permane sempre quella
estorsiva in danno delle attività economiche presenti sul territorio, con
particolare riguardo alle imprese aggiudicatarie di appalti pubblici, cui si
associano le intimidazioni ed i danneggiamenti mediante incendio - atti strumentali per il raggiungimento
dell’obiettivo individuato - da realizzare secondo un consolidato “protocollo
operativo”, così enucleabile:
- individuazione degli
imprenditori aggiudicatari dei vari appalti o intenzionati ad avviare nuove
attività economiche di rilievo nell’area;
- avvio di
interlocuzioni con le famiglie mafiose dei paesi di origine/residenza delle
possibili vittime (laddove gli imprenditori provenissero da località non
rientranti nel territorio del mandamento di riferimento), in modo da indurle -
mediante le necessarie pressioni - a presentarsi spontaneamente dal referente
di zona (in relazione all’ubicazione dei cantieri) per provvedere alla relativa
“messa a posto”;
- ricorso ad
intimidazioni dirette, mediante la realizzazione di furti o danneggiamenti, in
presenza di soggetti recalcitranti, per ammorbidirne le posizioni.
È evidente, come rilevato durante tutto lo sviluppo
dell’attività investigativa, che il racket
delle estorsioni, oltre ad essere uno strumento di accumulazione illecita
di risorse, costituisce un’attività
funzionale al concreto esercizio del potere mafioso e al controllo del territorio
secondo la logica dell’intimidazione e della sopraffazione. Un modus
operandi che produce, di converso, uno stato di sudditanza da parte delle
vittime o, diversamente, una sorta di rapporto solidaristico con i membri del
gruppo criminale, come si evidenzia allorquando viene richiesto l’intervento
del referente mafioso per la risoluzione di controversie private.
Al pari
di quanto riscontrato in altre attività investigative, in tali casi si
concretizza dunque una sorta di autotutela mafiosa anche per problematiche di
natura personale, come nella vicenda relativa ad un imprenditore che avrebbe
costretto i propri dipendenti a restituirgli la metà della spettante indennità
di disoccupazione, senza tenere conto della presenza tra questi di una donna, parente
di un esponente mafioso non meglio indicato, il quale si sarebbe
conseguentemente rivolto ad uno degli odierni indagati per la restituzione
delle somme ingiustamente trattenute: “…L’ALTRA GIORNATA MI HA “INCARICATO UNO” DICE VEDI
QUESTA COSA CON QUESTO..”.
Più in generale, durante tutto lo sviluppo delle indagini
è stato riscontrato che la pressione mafiosa sul tessuto produttivo nell’area
orientale della provincia palermitana ha avuto un andamento pressoché costante,
ingenerando un clima di paura tale
da scoraggiare l’azione di denuncia da parte degli operatori economici.
In tale
quadro, non si può trascurare quanto emerso nel corso delle attività investigative circa la disponibilità
di armi da parte degli affiliati. In particolare nell’intercettazione che
segue emerge come gli odierni indagati fossero a conoscenza di soggetti a cui
rivolgersi per acquistare diverse tipologie di armi: ”… MA PENSO CHE È LO STESSO… ADDIRITTURA HANNO
PURE UNA “COLONNA”.. PURE DUE.. (SI RIFERISCE AL FATTO CHE QUESTI HANNO LA
DISPONIBILITÀ ANCHE DI ARMI DIVERSE VEROSIMILMENTE BAZOOKA N.D.R.)… HAI CAPITO CHE COS’È…EH.. 38… 7 E
65… (CALIBRO DELLA PISTOLA N.D.R.)…MA 9 PER 21 NON CE N’È… QUELLA BELLA
GRANDE..?...QUALE?...QUELLA PIÙ GRANDE… QUELLA .... LA 9 PER 21…MA FORSE PURE C’È QUALCUNA.. MA QUESTA ..
QUESTA LÌ…MA FORSE PURE C’È…MA.. MA ME LO DEVONO SAPER DIRE.. IO GLI DEVO
CHIEDERE.. MA CI SARÀ… PENSATELA CHISSÀ IO GLI DICO METTINE DA PARTE UNA…
PERCHÉ NON SONO QUA.. HAI CAPITO…? SICCOME NON SE NE TROVANO.. HAI CAPITO.. “ZIGRIGNATA” (CON LA MATRICOLA CANCELLATA
N.D.R.).. I SOLDI CI VOGLIONO…”.
Ed ancora: “…NON È CHE PER ORA
SIAMO…RINVIAMO… PERÒ IL FUCILE CE
L’ABBIAMO…”.
Emblematica è il tenore di un’intercettazione tra
due indagati, MODICA Michele e VALLELUNGA Antonino, i quali provavano un’arma
in aperta campagna al fine di verificarne le potenzialità offensive: ”…GUARDA QUA..MINCHIA LA SICURA C’E’……DOVE
SPARI..(SI SENTE IL RUMORE PROVOCATO DALLO SPARO DI UN COLPO DI ARMA DA FUOCO,
N.D.R).…UH!..LO HA SFONDATO LO HA SFONDATO….DOV’E’?..PER SFONDARE LA CALDARELLA
A QUESTA DISTANZA E’ UNA “FICATA”..AH?”.
Per
quanto attiene ai reati fine, un particolare focus deve essere rivolto, come
detto in precedenza, alle estorsioni:
nella misura cautelare in argomento ne sono state contestate complessivamente
quattro nei confronti di altrettanti imprenditori.
Di
rilievo, in particolare, l’estorsione perpetrata in danno di un imprenditore
titolare di concessioni edilizie per la costruzione di alcune villette in
contrada “Sant’Onofrio” di Trabia. In un’intercettazione captata durante una
sorta di sopralluogo sui cantieri da parte dei sodali, uno degli indagati
sottolineava espressamente che per “QUESTI.. SCAVI QUA DAVANTI DEVE VENIRE ANCORA A
SALDARE IL
CONTO?”,
evidenziando
in un’altra conversazione la possibilità di agire concretamente con atti
intimidatori o altre azioni cruente ai danni dell’imprenditore per scoraggiare
eventuali tentativi di resistenza: “VEDI QUELLO CHE DEVI
FARE..DECIDITI… CHE SE CI DOBBIAMO DARE NELLE CORNA.. INCOMINCIAMO..”. La consumazione
dell’estorsione in argomento, da parte degli esponenti della famiglia di
Trabia, è stata confermata - oltre che dalle intercettazioni telefoniche ed
ambientali - anche dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia.
Un
altro tentativo di intimidazione è stato rilevato nel comune di Termini Imerese
ai danni di un’impresa edile impegnata
nei lavori per la realizzazione di un istituto scolastico, accertando la collocazione
all’interno del cantiere edile ubicato in contrada “Madonna della Catena” di
una bottiglia in plastica contenente liquido infiammabile e di una scatola di
fiammiferi poggiati su un escavatore. Uno degli autori materiali dell’atto,
identificato in FARDELLA Antonino, nel corso della conversazione riportata,
nell’indicare il cantiere, riferiva a D’AMICO Mario: “EH.. E LÌ È QUELLO…QUELLO
CHE… ÈÈHH..[INCOMPRENSIBILE].. CI
ABBIAMO MESSO LA BOTTIGLIA…”.
Anche sulle Madonie è stata rilevata la medesima modalità
operativa per assoggettare le vittime. Infatti, le indagini hanno permesso di
accertare le dinamiche alla base dell’atto intimidatorio perpetrato in danno di
un’impresa, aggiudicataria dei lavori di riqualificazione dell’ex cinema “Trinacria”
del comune di Polizzi Generosa. In particolare, al fine di costringere il
titolare al pagamento di indebite somme di denaro ed imporgli l’assunzione di
manodopera, due degli odierni indagati - SCOLA Antonio Maria e TERMINI Pietro -
si sono resi responsabili della collocazione di una bottiglia di liquido
infiammabile sugli automezzi nella disponibilità della citata ditta. Lo
stralcio di intercettazione di seguito riportato è certamente significativo per
comprendere i termini della vicenda: “..LA
BOTTIGLIA SOPRA L’ESCAVATORE.. E LA COSA
LA’ BRUCIATA.. A PARTE… SI..SI.. I
CARABINIERI QUA NON SE NE SONO VISTI IO ALLA PIAZZA …SONO STATO…DICO
“MUSIONI” (vedere se sono stati avvisati i Carabinieri n.d.r.)..NIENTE HAI
VISTO..”.
Altro
tentativo di estorsione ha riguardato una ditta edile aggiudicataria di un
appalto pubblico, per un importo complessivo di circa trecentomila euro, per la
ristrutturazione di un immobile denominato “Ex Carcere”, nel comune di
Castelbuono. Nel corso dell’attività investigativa è stato appurato che MARANTO
Antonio Giovanni e SCOLA Antonio Maria avevano dato incarico ad un esponente
della famiglia mafiosa di Bagheria, di farsi consegnare dalla vittima -
mediante minaccia consistita nel rammentare l’egemonia della famiglia mafiosa
in quel territorio - una non quantificata somma di denaro a titolo estorsivo.
Diversamente, allorquando le vittime
si sono mostrate non inclini ad assoggettarsi alle pressioni mafiose, gli
affiliati hanno immediatamente riaffermato il potere sul territorio
dell’associazione ricorrendo alle vie di fatto: questa è la chiave di lettura
di quanto accaduto nel maggio 2012, nella contrada ”Granza” di Sclafani Bagni,
allorquando venivano incendiati e completamente distrutti quattro trattori e un
bobcat parcheggiati all’interno di uno dei capannoni dell’azienda di proprietà
di due imprenditori agricoli. Dalle attività investigative è stato possibile
accertare le responsabilità di INTERBARTOLO Gandolfo Maria e CONTINO Stefano,
mandanti del danneggiamento, i quali intendevano in tal modo intimidire i due
imprenditori e indurli a sottostare alla c.d. “messa a posto”: “..GLI
DIAMO DI NUOVO IL COLPO SIA A omissis E SIA A QUESTI…”; … E NOI GLI DOBBIAMO DARE DI NUOVO FUOCO.. ED È
FINITA!… SI PRENDE EEE…. E GLI SI DÀ DI NUOVO IL COLPO!… IL PROBLEMA QUALE
E’..NON È QUESTO..IL PROBLEMA E’ CHE
QUESTO DEVE CAPIRE DOVE SI DEVE ANDARE..DOVE SI DEVE ANDARE A RIVOLGERE”.
Analoghe
considerazioni valgono altresì per i fatti verificatisi il 30 ottobre 2012, a
Cerda, ai danni dell’allora Sindaco MENDOLA Andrea. Nella circostanza,
l’autovettura Mercedes Classe B del citato primo cittadino veniva data alle
fiamme, rendendola del tutto inservibile, mentre l’autovettura Land Rover
Freelander, intestata allo stesso Sindaco, e la Lancia Y10, in uso a sua moglie,
venivano parzialmente danneggiate dall’incendio.
A
seguito del danneggiamento, MENDOLA, eletto nelle elezioni amministrative del
giugno 2009, presentava una lettera di dimissioni, indirizzandola alle più alte
cariche dello Stato e specificando che il motivo di tale gesto era
ricollegabile proprio al gesto intimidatorio subito.
Con
riferimento agli sviluppi dei fatti in argomento sul piano delle dinamiche
interne all’Amministrazione comunale, si evidenzia che, a seguito delle
dimissioni rassegnate il 5 novembre 2012 dall’allora Sindaco, il successivo 10
dicembre si insediava il Commissario Straordinario, rimasto in carica sino
all’elezione del nuovo primo cittadino con le consultazioni elettorali del 9 e
10 giugno 2013.
Le attività tecniche di intercettazione
hanno consentito di ricostruire la dinamica di quei fatti delittuosi,
evidenziando le responsabilità della locale famiglia mafiosa, che imputava al
Sindaco di non essere “vicino” alle istanze della criminalità organizzata, come
emerge negli stralci di intercettazione che seguono: “..SI DEVE PRENDERE LE CARTE E SE NE DEVE ANDARE…SI DEVE ALZARE I
TACCHI E SE NE DEVE ANDARE.. NON SI E’ MESSO CONTRO DI ME…NON TI
PREOCCUPARE.. DEVE PRENDERE I TACCHI E SE NE DEVE ANDARE…”. Ed ancora in un’altra conversazione uno degli indagati riferiva “…LA
METTI DI SOPRA.. LA BENZINA” E LA BRUCIA.. IMMEDIATO…..PERCHÈ CI DOBBIAMO PRENDERE IL PAESE NELLE MANI NON C’E’ NIENTE DA FARE....COMUNQUE
LUI DICE DI FARE LE COSE BELLE PULITE.. DICE BASTA..”.
In un’intercettazione il sodale
MUSCARELLA Gaetano Giovanni rivendicava con orgoglio di essere stato l’autore
materiale dell’atto incendiario: “MINCHIA TUTTE
IN ARIA SONO SALTATE..BOOM!..TUTTE IN ARIA.. (n.d.r. ride) ..LASCIA
FARE..PERO’ STO VEDENDO UNA COSA....QUELLO NIENTE FA..OUH..STO VEDENDO
CHE..QUELLO CHE MI SENTO..LO SONO..!!!”.
Invece,
INTERBARTOLO Gandolfo Maria, con
perverso sarcasmo, parlando con un soggetto estraneo al contesto mafioso
dell’attentato incendiario commesso in danno del Sindaco, diceva: “CERTO..AD
UNO CI DISPIACE..NON È CHE ..MINCHIA..ÈH ÈH..COSE CHE NON DOVREBBERO CAPITARE..” e poi cercava di sviare il suo
interlocutore sui probabili autori dell’insano gesto: “VEDI CHE TU NON È CHE
PUOI CAPIRE CHI..DA DOVE TI PUÒ VENIRE UNA COSA..OGGI È DIFFICILE..OGGI È DIFFICILE…..PUÒ
ESSERE STATO QUALCHE CORTO CIRCUITO..TU NON È CHE LO SAI?..PERÒ LUI..PUÒ CAPIRE
DA DOVE VIENE..”.
Con riguardo alla gestione complessiva dell’attività
d’indagine, alle difficoltà correlate all’ambiente operativo particolarmente
ostico, si unisce l’atteggiamento mostrato dagli affiliati, i quali,
consapevoli dei rischi connessi con la presenza ed il controllo delle forze di
polizia, hanno posto in essere ogni possibile stratagemma per tentare di
eludere le attività investigative. L’esigenza di evitare, sempre e comunque, il
contatto telefonico si è tradotta in incontri concordati di persona in posti
isolati in aperta campagna, nel tentativo di scongiurare il rischio di
pedinamenti ed intercettazioni audio e video. Emblematico è lo stratagemma di
INTERBARTOLO Gandolfo che, al fine di trattare argomenti delicati con gli altri
affiliati, sfruttava la sua posizione di geometra per organizzare incontri in
aperta campagna (o nello studio tecnico ove espletava la sua professione),
simulando di dover effettuare sopralluoghi sugli appezzamenti di terreno: “…A TIPO CHE ANDIAMO A GUARDARE
QUALCHE TERRENO.. ” (ndr: un indagato
suggerisce di non parlare in macchina e di discutere in un posto isolato,
facendo finta di guardare qualche terreno).
Altro
espediente comunemente adottato è la pianificazione di incontri in luoghi
affollati ove minore poteva essere il rischio di essere notati dalle Forze
dell’Ordine. In tale quadro si deve inserire l’incontro monitorato il 4 marzo
2012 presso il porto turistico di Cefalù tra gli esponenti del mandamento di
Trabia e quelli del mandamento di San Mauro Castelverde, a cui partecipavano
rispettivamente MODICA Michele e VALLLELUNGA Antonino per la compagine mafiosa
di Trabia, INTERBARTOLO Gandolfo per la famiglia mafiosa di Cerda, BONOMO
Mauro e SCOLA Antonio Maria in
rappresentanza del mandamento di San Mauro Castelverde.
Altrettanto significativo è l’incontro per discutere il
riassetto del mandamento di Trabia avvenuto
tra MARANTO Antonio Giovanni, in qualità di rappresentante del
Mandamento di San Mauro Castelverde, CONTINO Stefano, reggente della famiglia
mafiosa di Cerda, e GUZZINO Diego per la famiglia di Caccamo: la riunione aveva
luogo il 22 gennaio 2013, all’interno dell’ospedale di Termini Imerese, presso
l’ufficio in uso a CALDERARO Vincenzo, assistente amministrativo presso
l’Ufficio Protocollo del citato nosocomio.
In particolare, è stato documentato
come il CALDERARO avesse prestato un consapevole e volontario aiuto al
sodalizio criminale nel suo complesso, fornendo a GUZZINO Diego, reggente della
famiglia di Caccamo, l’appoggio per intrattenere, con assoluta riservatezza e
senza pericolo di essere intercettati, incontri con altri esponenti mafiosi,
tra cui MARANTO Antonio Giovanni, CONTINO Stefano ed INTERBARTOLO Gandolfo,
presso l’ufficio amministrativo dell’Ospedale di Termini Imerese dove lo stesso
espleta l’attività lavorativa.
Nell’intercettazione che segue tale intendimento emerge in modo netto: ”L’APPUNTAMENTO… È MEGLIO ALL’OSPEDALE… È MEGLIO DI QUA…”.
L’odierna operazione non può
considerarsi l’atto conclusivo dell’indagine, atteso che proseguono gli
approfondimenti investigativi anche in ambienti apparentemente estranei al
contesto mafioso di riferimento.
I SEQUESTRI
Sotto il
profilo del contrasto al circuito economico illegale ed alle fonti di illecito
profitto, si segnala il sequestro preventivo dei seguenti beni, intestati ai
familiari dei due capi mandamento, ossia BONOMO Francesco e RINELLA Diego, il
cui valore ammonta a circa 1,5 milioni di euro.
Si documentava,
infatti, come il BONOMO Francesco, fosse in concreto il pieno ed esclusivo
“dominus” di fatto della società “F.LLI BONOMO S.A.S. DI BONOMO MARIANNA” , con sede in contrada
Borrello di San Mauro
Castelverde, avendo la piena direzione sotto il profilo decisionale, operativo, patrimoniale e manageriale,
senza peraltro ricoprire alcuna carica e/o qualifica, né tantomeno risultarne
formalmente dipendente. Infatti è stato
ampiamente dimostrato come la decisione di attribuire formalmente a
BONOMO Marianna, BONOMO Santo e ANZALDI Giovanni la titolarità della società e
le quote di essa possa configurarsi quale condotta finalizzata ad eludere le
disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali, essendo
emersa, dall’attività tecnica, oltre
alla qualità di “dominus” di BONOMO Francesco nella gestione
dell’azienda, il ruolo di meri impiegati dei due figli e del genero, che
sebbene siano i formali titolari dell’azienda, sono risultati pressoché
completamente avulsi dalle vicende aziendali.
Emergeva parimente
che
RINELLA Diego avesse attribuito formalmente a INGRAO Santina, figlia di INGRAO
Giuseppe, la titolarità dell’impresa individuale denominata HIMERA Edilizia,
con sede in contrada “San Leonardo” di Termini Imerese. Alla medesima azienda
subentrava in data 27 gennaio 2014 l’impresa individuale RINELLA Giuseppe,
nipote di RINELLA Diego: anche in questa nuova impresa quest’ultimo manteneva
la qualità di “dominus” nella gestione degli affari, attribuendo la titolarità
al nipote al solo scopo di eludere le disposizioni di legge in materia di
misure di prevenzione patrimoniali.
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