Pina Grassi,. moglie di Libero Grassi, recentemente scompasa |
di UMBERTO SANTINO
“Grazie, cara
collega, della lettera gentile e dei ricordi di un fervido lavoro politico.
Molti auguri e saluti”. Così pare di leggere in un biglietto scritto con grafia
quasi illeggibile che Giulio Andreotti inviava a Pina Grassi che nel maggio del
2003 gli aveva ricordato un vecchio impegno.
Pina, senatrice
e componente della giunta per le autorizzazioni a procedere che nel 1993 esaminava
le richieste delle procure di Palermo e di Roma di processare Andreotti per associazione
mafiosa e per l’omicidio Pecorelli, aveva chiesto al collega senatore: “Senatore
Andreotti, mi scusi, ma lei, nella sua posizione non poteva non sapere, visti i
suoi rapporti con Lima e Ciancimino, quale fosse la situazione a Palermo, non è
così?”. E Andreotti , a fine seduta, le si era avvicinato e le aveva detto: “Mia
cara signora, appena finirà tutti questo risponderò alla sua domanda”.
Ora che
“tutto questo” era finito, con l’esito che sappiamo, tanto a Palermo (accertata
l’associazione a delinquere fino al 1980, ma il reato era prescritto, assolto
per il periodo successivo) che a Roma (prima condannato, poi assolto); Pina gli
scrive, ricostruendo la sua esperienza biennale al Senato, le impressioni
suscitate dalla lettura del dossier su Andreotti (“mi sentivo dilaniata perché
gli avvenimenti descritti facevano parte della vita della mia città che avevo
vissuto con consapevole rabbia impotente”) e rammentando quell’impegno: “…io
che ho fiducia nei magistrati, vorrei sapere, e lo vorrei sapere da lei. Chiedo
troppo?”. Andreotti risponde con quel bigliettino. Era Pina che chiedeva troppo
o era Andreotti che era abituato a fare promesse che sapeva di non voler
mantenere?
Destino diverso
aveva avuto una lettera di Pina al Presidente Ciampi, del 23 agosto 2001, in cui gli chiedeva
cosa pensasse della dichiarazione del ministro Lunardi: “Con la mafia dobbiamo
convivere o con-morire? Dobbiamo accettare
la cinica, arrogante irrisione per quanti ci hanno rimesso la vita, o
dobbiamo dare una lezione di civiltà con la dignità del lavoro? (…) La prego,
dia la sua opinione perché quella minoranza (?) di cittadini, che non la pensa
come il ministro Lunardi, sappia come comportarsi”. Ciampi rispondeva che “la
lotta contro la mafia rimane un’assoluta priorità del nostro Paese” e che “l’esempio
luminoso dato a tutto il paese dal Suo compianto marito rimane un monito alla
coscienza di tutti gli Italiani. (…) E penso che l’opera di sensibilizzazione
dell’opinione pubblica in cui Lei è personalmente impegnata abbia dato e stia
dando i suoi frutti, soprattutto tra i giovani”. Siamo in piena epoca
berlusconiana e le parole del Presidente esprimono più un augurio che una
certezza.
Si è detto di
Pina che la sua era un’antimafia gentile, ma credo che sarebbe più aderente alla
realtà dire che è stata l’esempio di un’antimafia quotidiana, sobria e
determinata, discreta e decisa, che nel contesto di questi anni forse non ha
eguali. Un’antimafia che, come quella di Libero, viene da una cultura diventata
stile di vita, modo di essere maturato negli anni, per cui scelte e prese di
posizione appaiono “naturali” e spontanee.
Libero dice di
no alla richiesta di pizzo perché è un imprenditore che vuole fare il suo
mestiere senza scappellamenti e servaggi nei confronti di nessuno, a cominciare
dai suoi colleghi che lo considerano un alieno, poiché sono avvezzi ad altre
pratiche e ad altre frequentazioni.
Pina, e con lei
i figli Alice e Davide, rispondono all’assassinio con un manifesto che non
vuole essere una lapide e ogni anno replica un’accusa: a uccidere Libero sono
state la mafia, l’omertà dell’associazione industriali, l’indifferenza dei
partiti, l’assenza dello Stato. Una complicità collettiva.
Cos’è cambiato
da allora? Alle dichiarazioni antimafia degli imprenditori sono succedute le
incriminazioni per alcuni di loro, i più in vetrina; la nota positiva è data da
Addiopizzo e da Libero futuro con il loro sostegno a chi si rifiuta di pagare
il pizzo, ma l’antimafia è divisa da monopolismi e protagonismi che invece di
unire e includere, dividono ed escludono. L’intelligente sobrietà di Pina
Grassi rimane un esempio di civiltà difficile da seguire.
Ricordo la
delusione di Pina e di Libero nell’incontro del 4 maggio 1991 di fronte a una
sala consiliare quasi vuota: duemila inviti e solo una trentina di persone. Ma
le parole con cui Pina ha chiuso il libro a quattro mani con Chiara Caprì sono
insieme memoria e apertura al futuro: le emozioni finiscono, “io per questo
continuo a testimoniare con la mia presenza il sacrificio di chi è caduto…per
proteggere la società civile e la libertà di coscienza. Tante sono le vittorie
riportate dai miei nipoti acquisiti di Addiopizzo ma la strada è ancora lunga e
in salita. Riusciranno a vincere solo in un modo: mantenendo la serietà che li
ha contraddistinti fin dall’inizio, la schiettezza e pulizia nei rapporti con
la politica siciliana, il non abbassarsi al compromesso, sia economico che
morale. Mi auguro anche che …non dimentichino mai …come e perché sono nati. Perché
siamo niente senza memoria”.
Pubblicato su
Repubblica Palermo del 12 giugno 2016, con il titolo: Pina Grassi e la
difesa della memoria.
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