di BIAGIO CUTROPIA
Se dovessi tentare di spiegare, sinteticamente,
la mafia ai miei alunni (o ai miei figli) userei tre aggettivi per definirla: prepotente,
violenta e silenziosa, combinato disposto che l’ha resa e la rende tragica
oltre che legata fortemente ai fatti simbolici, specialmente, in alcuni luoghi
del meridione e della Sicilia dove è nata e dove si è sviluppata per poi
globalizzarsi e diventare un fenomeno planetario. Questi luoghi, dove il
fenomeno è nato, non sono però covi di mafiosi, (seppur, per le ragioni
storiche ricordate, questi luoghi hanno dato i natali e hanno dato, e danno
ancora le residenze, ai fondatori e agli ideologi di questo
tragico fenomeno), ma sono luoghi abitati da gente normale, quasi tutta più
vittima che complice della mafia.
Sono ormai passati più di 50 anni dalle
lotte mafiose locali (corleonesi e dintorn) dei vari padrini e molte generazioni
sono cresciute con approcci generazionali diversi al fenomeno. Tutte però
sempre più unite nel dilagante fenomeno dell’oblio e dell’indifferenza verso
temi che invece non andrebbero dimenticati e che dovrebbero far parte del DNA
di ognuno di noi. Le giovani generazioni, in larga parte (dai 40 ai 20 anni),
ignorano quasi completamente il fenomeno mafia così come ignorano tutto ciò che
nel tempo si è messo di traverso alla mafia (Fasci siciliani, Bernardino Verro,
Placido Rizzotto, tutto il sindacalismo militante e le decine di vittime tra
magistrati, forze dell’ordine e giornalisti e sindacalisti, etc.) il tutto
ricordato, sempre con meno partecipazione e consapevolezza responsabile, ogni
23 maggio.
C’è quindi, a mio parere, un problema
sociologico e culturale che porta i giovani e purtroppo anche i meno giovani ad
ignorare la storia, sia quella fatta da eroi che quella fatta da delinquenti e
mafiosi, presi come siamo nel tentare di risolvere i problemi quotidiani e
personali. Questi fenomeni hanno assunto nel tempo dimensioni qualitative e
quantitative preoccupanti (scomparsa dei sindacati e dei partiti, scarsa
partecipazione alle scelte politiche, sfiducia nelle istituzioni, etc.) tutti fenomeni
complessi che incidono pesantemente nello sviluppo di un Paese e nello
specifico incidono pesantemente nel sottosviluppo del Sud e delle aree interne
del Sud quale l’intera area del Corleonese, la
quale in aggiunta deve convivere con una
forte stigmatizzazione di natura mafiosa.
E proprio per queste ragioni, in questi
luoghi storicamente segnati, è doveroso avere una memoria responsabile più
lunga e capire, meglio e di più che in altri posti, che alcuni fatti possono
diventare, o essere letti, quali simbolici e contigui con la mafia.
Non conosco bene Leoluca Grizzaffi, il
confrate “accusato”, per quello che lo conosco mi sembra un bravo lavoratore e
un bravo ragazzo. Così come non conosco bene il Sindaco Savona ma certamente
sembra una brava persona lontana da ambienti mafiosi. Credo che in entrambi i
casi ci sia una scarsa conoscenza della storia tragica della mafia, una scarsa considerazione
e un atteggiamento di leggerezza verso fatti che possono diventare simbolici (negativamente
simbolici) e che in luoghi come Corleone rischiano di diventare elementi di
contiguità, quanto meno culturale, con il mondo della mafia. Mi riferisco alla
mancata costituzione quale parte civile del Comune di Corleone dopo l’arresto
De Marco e alla sosta in Via Scorsone.
A Corleone vi è il dovere di essere più
attenti, ed è un dovere dell’intera comunità, la quale non è certamente mafiosa
o paramafiosa ma semplicemente una comunità presa da fatti quotidiani (come
tante altre comunità) la quale però credo non pensi minimamente a genuflettersi
innanzi a nessuno, famiglia Riina compresa. Forse una comunità desiderosa di
normalità ma ignara del fatto che la normalità, in questa città, dovrà essere frutto
di impegno e responsabilità da esercitare non nel silenzio o nella indifferenza
o dimenticando ma ricordando responsabilmente e con grande attenzione anche
verso fatti apparentemente innocui.
La lotta alla mafia credo vada fatta
usando la parola (la cultura) e non il silenzio, vivendo la solidarietà e il senso
di appartenenza ad una comunità onesta seppur in difficoltà sociali ed
economiche ma da aprire al mondo e ricordando sempre come la violenza mafiosa
abbia martoriato Corleone, la Sicilia e l’intero paese. Si fa anche evitando
che le processioni passino da alcune strade e si fa costituendosi senza se e
senza ma nei processi per mafia. Si eviterebbero così equivoci e la Chiesa
locale potrebbe dare segnali diversi e precisi forse anche quale segno di
redenzione per i propri lunghi silenzi sulla mafia. Credo che la stampa sia
stata e sia fondamentale nella lotta alla mafia e certamente Bolzoni è un giornalista
che ha dato un grande contributo nel fare chiarezza su molti fatti di mafia.
Leggendo l’articolo di oggi su repubblica (domenica) è come leggere un articolo
di “archeologia mafiosa”. Nessun contributo, a mio parere, alla riflessione ma
soltanto una specie di riassunto di fatti noti fatto utilizzando la
“leggerezza" di una sosta equivoca e sbagliata. Sbaglia però il Sindaco Savona
a chiederne la sospensione dall’Ordine dei Giornalisti, dovrebbe invece
invitare Bolzoni e anche altri uomini di cultura per una riflessione comune
sulla anticultura mafiosa e sulla cultura, e far diventare così l’occasione
utile a ricordare, specialmente alle nuove generazioni, cosa sia stata e cosa
sia la mafia, facendo così un servizio utile all’intero paese e specialmente a
Corleone e ai Corleonesi onesti.
Soltanto il mio convincimento dell’esercizio
della parola contro il silenzio mi permette di scrivere questo mio punto di
vista.
Corleone 5 giugno 2016
Biagio Cutropia
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