Il domenicano Frei Betto |
di Claudia Fanti
La via all'ecosocialismo secondo il frate domenicano Frei Betto
ROMA-ADISTA. Una sinistra fragile, divisa al suo interno, deideologizzata, incapace persino di rispondere a quella che si presenta come la più grande sfida del nostro tempo, quella ecologica. È questa la fotografia della sinistra brasiliana che emerge dalle parole del domenicano Frei Betto, uno dei massimi esponenti della Chiesa della liberazione in America Latina, nell'intervista che ha concesso ad Adista durante il suo ciclo di conferenze in Italia. Una fotografia che potrebbe valere per la sinistra un po' in tutto il mondo, ovunque alle prese con lo stesso indebolimento dei suoi simboli identitari: l'organizzazione della classe lavoratrice, la questione etica, la realizzazione di cambiamenti strutturali. Ma che colpisce forse più profondamente nel quadro dell'America Latina, considerata per lunghi anni dai movimenti popolari qui in Europa il laboratorio per eccellenza di sperimentazioni antisistemiche (dalla nascita del Forum Sociale Mondiale al dibattito sul socialismo del XXI secolo, sull’ecosocialismo, sul paradigma del buen vivir, fino ai diversi e innovativi esperimenti politici registrati in diversi Paesi del subcontinente). Perché quella spinta verso un altro modello di civiltà che tante speranze aveva risvegliato tra i popoli del pianeta ha rallentato fino a rischiare di fermarsi? E, soprattutto, cosa fare per rilanciarla? Frei Betto non ha dubbi: è necessario, dice, dare avvio a un processo di ri-alfabetizzazione politica, proprio quello che i governi progressisti latinoamericani hanno rinunciato a promuovere tra i destinatari dei loro pur lodevoli programmi sociali, spingendoli sulla via dell'accesso al consumo piuttosto che su quella della conquista della cittadinanza. Di seguito l'intervista.
ROMA-ADISTA. Una sinistra fragile, divisa al suo interno, deideologizzata, incapace persino di rispondere a quella che si presenta come la più grande sfida del nostro tempo, quella ecologica. È questa la fotografia della sinistra brasiliana che emerge dalle parole del domenicano Frei Betto, uno dei massimi esponenti della Chiesa della liberazione in America Latina, nell'intervista che ha concesso ad Adista durante il suo ciclo di conferenze in Italia. Una fotografia che potrebbe valere per la sinistra un po' in tutto il mondo, ovunque alle prese con lo stesso indebolimento dei suoi simboli identitari: l'organizzazione della classe lavoratrice, la questione etica, la realizzazione di cambiamenti strutturali. Ma che colpisce forse più profondamente nel quadro dell'America Latina, considerata per lunghi anni dai movimenti popolari qui in Europa il laboratorio per eccellenza di sperimentazioni antisistemiche (dalla nascita del Forum Sociale Mondiale al dibattito sul socialismo del XXI secolo, sull’ecosocialismo, sul paradigma del buen vivir, fino ai diversi e innovativi esperimenti politici registrati in diversi Paesi del subcontinente). Perché quella spinta verso un altro modello di civiltà che tante speranze aveva risvegliato tra i popoli del pianeta ha rallentato fino a rischiare di fermarsi? E, soprattutto, cosa fare per rilanciarla? Frei Betto non ha dubbi: è necessario, dice, dare avvio a un processo di ri-alfabetizzazione politica, proprio quello che i governi progressisti latinoamericani hanno rinunciato a promuovere tra i destinatari dei loro pur lodevoli programmi sociali, spingendoli sulla via dell'accesso al consumo piuttosto che su quella della conquista della cittadinanza. Di seguito l'intervista.
L'impensabile è accaduto: in Brasile si sta consumando un golpe istituzionale.
Come vedi il futuro del Paese?
FB: In Brasile, in effetti, abbiamo appena subìto un golpe parlamentare.
Incapace di rispettare i risultati delle elezioni presidenziali del 2014,
l’opposizione ha approfittato degli errori, delle contraddizioni, delle
fragilità che ha evidenziato il secondo mandato di Dilma Rousseff per consumare
questo colpo di stato parlamentare, accusando la presidente di un crimine di
responsabilità fiscale. In cosa consiste questo “crimine”? In seguito alla
drastica riduzione delle esportazioni del Brasile, sono mancate al governo di
Dilma le risorse per finanziare alcuni programmi sociali come Bolsa Familia. La
presidente, allora, ha attinto queste risorse dalle due grandi banche pubbliche
brasiliane, la Banca del Brasile e la Cassa economica federale - in modo che i
più poveri, a cui sono destinati questi programmi sociali, potessero continuare
a beneficiarne - e dopo un certo tempo ha restituito il denaro che aveva preso
in prestito. Dov’è il “crimine”? È nel fatto che ciò non è previsto dalla legge
brasiliana, la quale, paradossalmente, impedisce alle banche pubbliche di
esercitare un servizio pubblico: una legge ingiusta che ha finito per
inquadrarle nella stessa logica delle banche private. Ma la presidente Dilma
non ha utilizzato queste risorse a proprio vantaggio né ha lasciato un buco
nelle banche. Si può capire bene, dunque, come ciò che si sta consumando non
sia altro che un colpo di stato: il terzo golpe parlamentare avvenuto in
America Latina nell'ultimo periodo, dopo quello in Honduras, nel 2009, quando è
stato rovesciato il presidente Manuel Zelaya, e quello in Paraguay, nel 2012,
quando è stato destituito Fernando Lugo. Ma abbiamo ancora la speranza che
Dilma torni alla presidenza, nel caso in cui Michel Temer non convinca
l’opinione pubblica, nei prossimi 3-4 mesi, che il suo governo sia migliore di
quello del Pt.
Qual è il significato politico delle dimissioni di Romero Jucá, appena una
decina di giorni dopo la sua nomina a ministro della Pianificazione?
FB: È la dimostrazione più importante di come il governo Temer sia stato
pensato allo scopo di sabotare l'inchiesta Lava Jato. Jucá è accusato, da
tempo, di vari reati di corruzione e, come politico, ha militato già in vari
partiti, schierandosi sempre con il potere. Basti dire che è stato ministro di
Lula... E ora è stata divulgata la registrazione di una sua conversazione
telefonica con Sérgio Machado, ex-direttore della Petrobras coinvolto nella
Lava Jato, in cui quest'ultimo pone l'accento sull'importanza di fermare
l'inchiesta, di impedire che vada avanti, e Jucá concorda e rilancia,
sostenendo a tal fine la necessità dell'impeachment della presidente Dilma, in
quanto, dice, solo un governo Temer sarebbe in grado di frenare le indagini sui
casi di corruzione ed evitare l'arresto di corrotti e corruttori. La
conversazione è stata resa pubblica il 23 maggio, e Temer si è visto costretto
ad allontanare Jucá, il quale fa dunque ritorno al Senato. Ma il Pt e altri
partiti esigono che Jucá venga processato davanti alla Commissione etica del
Senato e rimosso per il reato di ostruzione alla giustizia, come è recentemente
avvenuto con il senatore del Pt Delcídio do Amaral. È, insomma, la prova del
golpe: Dilma è stata allontanata per non aver impedito, anzi, addirittura
favorito, l'inchiesta Lava Jato, ossia l'accertamento della corruzione politica
in Brasile.
In questi anni non hai sicuramente risparmiato critiche al Pt, a cui hai
rimproverato l'erosione dei tre simboli dell'identità del partito:
l'organizzazione della classe lavoratrice, l'etica in politica, la
realizzazione di riforme strutturali. Senza contare i forti limiti evidenziati
dai governi del Pt sul fronte ambientale, di cui la centrale di Belo Monte è
una delle fotografie più drammatiche. Per il futuro della sinistra in Brasile,
da dove si può ripartire?
FB: Il Pt, è vero, in questi 13 anni di governo, ha rinunciato di fatto a
questi suoi tre grandi simboli, venendo meno al compito di organizzare
politicamente i poveri, di garantire l’etica in politica e di promuovere
riforme strutturali. Tuttavia, malgrado questo, i due mandati di Lula e il
primo di Dilma sono stati i migliori della storia repubblicana del Brasile,
soprattutto sul fronte delle conquiste sociali, a cominciare dall'impresa di
aver condotto 45 milioni di persone fuori dalla miseria. È vero anche che i
governi del Pt non hanno adottato una seria politica ambientale e hanno anzi
violato in maniera grave i diritti ambientali dei popoli indigeni e
quilombolas, come è avvenuto con la costruzione della centrale idroelettrica di
Belo Monte. Ma cosa ci si poteva aspettare dalla sinistra in Brasile? È una
sinistra che appare non solo indebolita e divisa ma anche in certo modo
de-ideologizzata. Una sinistra che potrà rinascere solo a partire dai movimenti
sociali e dalla lotta che questi movimenti saranno in grado di portare avanti
in primo luogo esercitando una ferrea opposizione al governo Temer e in secondo
luogo formulando un nuovo progetto per il futuro del Brasile. Ed è questa lotta
che potrebbe consentire a Lula di tornare alla presidenza nel 2018.
Si è svolto in America Latina un intenso dibattito sull'eventualità di una
“fine del ciclo progressista”. Un dibattito tra chi pone l'accento sulle
conquiste democratiche realizzate dai governi progressisti, insistendo sul
ruolo dello Stato come strumento essenziale di trasformazione sociale, e chi
evidenzia l'incapacità di questi governi di realizzare cambiamenti reali al di
là di una mera gestione del capitalismo, individuando nella capacità di mobilitazione
dei settori popolari la via di trasformazione delle nostre società. Cosa pensi
al riguardo?
FB: Credo che i governi progressisti dell'America Latina stiano
attraversando una grave crisi, riconducibile all'errore di non aver saputo
approfittare degli alti prezzi delle commodity sul mercato internazionale per
promuovere nei rispettivi Paesi le riforme strutturali necessarie a garantire
loro una maggiore sostenibilità. Esauritosi il boom delle commodity, i governi
sono rimasti senza soldi, e questo spiega le misure neoliberiste di
aggiustamento fiscale che sono state per esempio adottate in Brasile o la
mancanza di beni di prima necessità di cui sta soffrendo la popolazione in
Venezuela. L’unico governo sfuggito alla crisi è quello di Evo Morales, il quale
ha saputo rinnovare il congresso boliviano puntando sui movimenti sociali e ha
anche saputo approfittare del buon andamento delle commodity per promuovere in
Bolivia riforme strutturali. Altri governi, come per esempio quello del Pt in
Brasile, hanno invece riposto un'eccessiva fiducia nel ruolo dello Stato come
unico attore del cambiamento sociale, tralasciando il compito di valorizzare il
protagonismo dei movimenti popolari. Hanno preferito, così, puntare sulle
alleanze politiche con i vecchi partiti corrotti e oligarchici, finendo per
restare vittime di alleanze promiscue.
Hai definito il socialismo – ma forse oggi sarebbe meglio parlare di
ecosocialismo - come un sinonimo dell'amore, come il suo nome politico: in un
mondo in cui sembra trionfare il suo contrario, quali vie possono essere
tentate per rilanciarlo? E perché il progetto di un socialismo del XXI secolo è
praticamente rimasto sulla carta?
FB: Al fine di rilanciare un progetto di ecosocialismo è necessario che i
governi diano avvio a un processo che mi piace definire come
ri-alfabetizzazione politica in America Latina. Non so se ci sarà abbastanza
tempo per rispondere a questa sfida. Il fatto è che, in generale, i governi
progressisti dell'America Latina hanno trascurato il compito di curare
l'organizzazione e la formazione politica dei beneficiari dei loro programmi
sociali e di favorire il consolidamento e il rafforzamento dei movimenti
sociali. Al contrario, per raggiungere l'obiettivo di sottrarre alla miseria
milioni di persone, hanno scelto la via dell'accesso ai beni personali, come
cellulare, computer, automobile, frigorifero, forno a microonde, anziché quella
dell'accesso ai beni sociali, come educazione, salute, casa, sistemi fognari,
trasporto collettivo e via dicendo. Con ciò questi governi hanno creato nazioni
di consumisti e non nazioni di cittadini e di cittadine. Ora, nel caso del
Brasile, allorché la crisi economica ha reso impossibile continuare ad
alimentare questo consumismo, si è assistito a una certa rivolta nella classe media
e in alcuni settori popolari, i quali non erano politicamente preparati per
affrontare un periodo di sacrifici, come invece è stata in grado di fare la
popolazione cubana durante i primi cinque anni seguiti alla scomparsa
dell'Unione Sovietica, sopportando eroicamente le difficoltà del cosiddetto
periodo speciale.
Come hai affermato recentemente in una conferenza, noi occidentali abbiamo
desacralizzato il mondo – lo abbiamo disincantato, come direbbe Max Weber -,
decretando “la morte di Dio” nel momento stesso in cui abbiamo divinizzato la
“mano invisibile” del mercato. Come recuperare l'incanto del mondo, senza
perdere le conquiste dell'Occidente in termini di laicità?
FB: Credo che in questo senso la via migliore sia quella indicata da papa
Francesco nella sua enciclica Laudato si'. Un'enciclica socio-ambientale che il
filosofo e sociologo Edgar Morin ha definito come il documento più avanzato
nella storia dell'ecologia, in quanto, a differenza degli altri, compresi
quelli della Conferenza di Rio del 1992 o della Cop 21 di Parigi del 2015, non
si limita solo a indicare gli effetti della degradazione ambientale, ma
affronta anche e soprattutto le cause. In seguito alla caduta del Muro di
Berlino, dovuta all'egemonia neoliberista imposta dal capitalismo
globocolonizzatore, si è creato un vuoto di ideologie di segno liberatore. In
questo vuoto si è assistito al risorgere del fondamentalismo religioso, che si
presenta in varie forme, dallo Stato Islamico fino alle lobby evangeliche nei
Parlamenti dell'America Latina, che propongono una confessionalizzazione della
politica analoga a quella portata avanti dalla Chiesa cattolica nei secoli
passati con risultati tutt'altro che positivi. Pertanto, è necessario tornare
ai valori della Teologia della Liberazione e delle opere di Marx ed Engels,
tanto per desacralizzare la visione del marxismo quanto per de-ideologizzare
l'ottica del cristianesimo o delle altre religioni, assicurando così, da una
parte, i diritti privati e pubblici legati alla fede e all'espressione
religiosa e, dall'altra, la laicità delle istituzioni sociali, a cominciare
dallo Stato e dai partiti politici.
E in questo compito di “reincantare il mondo”, quanto può essere proficuo
un dialogo autentico tra fede e scienza?
FB: Il dialogo tra fede e scienza è sempre stato importante ed è sempre
stato difficile. Se nel periodo medievale l'egemonia della fede soffocava la
voce della scienza ogniqualvolta si sentiva da questa sfidata, il conflitto
esplode a partire dalla modernità, di fronte alla difficoltà della religione di
prestare ascolto alla scienza e, d'altro lato, dinanzi alla difficoltà della
scienza di comprendere la spiritualità e la religione come sfere
imprescindibili dall'umano, una volta che si siano liberate dalla pretesa di
voler sostituire le scienze in ciò che è loro proprio. Per fortuna, negli
ultimi anni, la Chiesa cattolica ha ammesso i suoi errori rispetto ai casi di
Galileo e di Darwin, riconoscendo il valore dei loro contributi. E nuovi
parametri normativi si sono imposti nel dialogo tra la fede e la scienza. È
molto importante che la scienza continui a essere il regno del dubbio, evitando
sempre la tentazione di imporre una qualunque delle sue scoperte come verità
assoluta e definitiva, come è altrettanto importante che la fede non oltrepassi
mai il suo campo di competenza, pretendendo di trarre dai propri contenuti
religiosi spiegazioni che si vorrebbero scientifiche.
ADISTA, 25/05/2016
Adista è un settimanale di informazione indipendente su mondo cattolico e realtà religiose. Ogni settimana pubblica due fascicoli: uno di notizie ed un secondo di documentazione che si alterna ad uno di approfondimento e di riflessione. All'offerta cartacea è affiancato un servizio di informazione quotidiana con il sito Adista.it.
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