UMBERTO SANTINO
Sembra un tiro al bersaglio, prima gli imprenditori, poi una
magistrata e una prefetta, ora qualche altro imprenditore ufficialmente
antimafioso e un telegiornalista. L’antimafia vive una fase difficile e
qualcuno propone un manifesto per “una nuova antimafia” con discutibili autoinvestiture.
Su queste pagine sono state annunciate alcune anticipazioni. La nuova antimafia
dev’essere “distante da magistratura e politica” e da un giornalismo che “costruisce
simboli e non fa inchieste”. Deve andare “a piedi scalzi”, rinunciando ai lauti
finanziamenti di cui godono le associazioni più note.
Che ci sia bisogno di una riflessione seria, non ci sono
dubbi e bisognerebbe soprattutto riflettere su cos’è la mafia oggi e cos’è stata
l’antimafia negli ultimi decenni.
Il problema non è solo la mafia siciliana, Cosa nostra e
dintorni che vivono un periodo di crisi, alla ricerca di un ruolo in un mondo
profondamente trasformato dai processi di globalizzazione. All’interno di
questi processi agiscono aspetti criminogeni che generano mafie o qualcosa di
simile, cioè strutture criminali variamente organizzate ma capaci di sfruttare
le convenienze offerte dalla finanziarizzazione e dall’emarginazione dal mercato
di grandi aree del pianeta. In questo modo fenomeni classificabili come mafiosi
proliferano sia nei centri che nelle periferie. Sono fenomeni contemporanei e
dotati di futuro, anche quando riciclano forme arcaiche. E non bastano
paradigmi diventati luoghi comuni come la “liquidità”. Per sfruttare le
occasioni ci vuole un’organizzazione flessibile ma non certo improvvisata e precaria.
Anche Cosa nostra attuale non pare più quella del maxiprocesso ma non è certo
un mutante alla deriva e non pare voglia imitare la monadizzazione ca morristica
che ha come effetto la guerra permanente.
In questo quadro l’antimafia si è formata soprattutto come
predicazione della legalità, sostegno alla magistratura più impegnata, scorta
civica ai magistrati più esposti, gregarismo rispetto a protagonisti
monopolizzatori dell’antimafia che conta: qualche familiare di vittima
illustre, qualche leader di tipo carismatico, capace di organizzare grandi
eventi. Dopo il tramonto delle grandi narrazioni, delle ideologie più o meno
forti e delle forme-partito, la società civile è emersa come la sede naturale
dell’associazionismo alternativo e dell’antimafia che si autodefinisce sociale,
ma spesso è solo capace di elaborare stereotipi e di praticare rituali più o
meno partecipati La società civile riproduce la società nel suo complesso,
riflette la crisi delle democrazie, afflitte da leaderismi e fidelizzazioni. I
Berlusconi e i Renzi non ci sono solo in politica, proliferano anche altrove. Da
questo punto di vista quel che è accaduto più volte in Libera, con l’emarginazioni
di voci che mostravano una qualche autonomia, costituisce l’esempio più
significativo. Com’è pure significativo il ruolo dei media nella creazione
degli “eroi di carta”, delle reincarnazioni del Verbo (prima Arlacchi, ora
Saviano), dei santoni alla ricerca di chierichetti.
In una società a illegalità diffusa e strutturale la
magistratura ha assunto un ruolo di superpotere e anche qui non mancano
protagonisti, giustizieri, salvatori della patria. Quel che è accaduto a Telejato
può darsi che abbia il sapore di rivalsa, ma c’è un modo di fare giornalismo
che pende troppo verso il protagonismo più o meno accentuato. In sociologia si
parla di “imprenditori morali”, non so se sia una diagnosi corretta ma certi
toni richiamano i predicatori delle crociate. Più che “manifesti” stilati da
alcuni big dell’antimafia e da qualche cantore di Osso, Mastrosso e
Carcagnosso, occorre una certa dose di buon senso e una massiccia dose di
umiltà.
E a proposito di “piedi scalzi”, un problema è l’uso dei
fondi pubblici, in Sicilia e non solo. Il Centro Impastato è stato sempre
isolato nella sua richiesta di una legislazione che fissi dei criteri oggettivi
per l’erogazione di denaro pubblico. E così, con o senza tabella H, gran parte
delle associazioni antimafia ha goduto e gode di fondi pubblici assegnati con
criteri clientelari e personali. Sarebbe già tanto se si chiudesse il capitolo
dell’antimafia assistita e si ponesse fine a questo arrembaggio al pubblico
denaro.
Pubblicato su Repubblica Palermo del 27 aprile 2016, con il
titolo: Il pericolo degli “eroi di carta”
Nessun commento:
Posta un commento