Il blitz fra i vicoli di Ballarò |
di ENRICO DEL MERCATO
Magari sarà stata una regia mediaticamente orientata, oppure c'è da credere alle coincidenze: di certo, il fatto che nel giorno della commemorazione di Giovanni Falcone, i commercianti di Ballarò con la loro denuncia collettiva abbiano consentito di smantellare una rete di emergenti caporione, induce a più di una riflessione. Soprattutto perché i commercianti che hanno messo da parte paura e omertà sono immigrati, nuovi cittadini che arrivano da lontano.
Magari sarà stata una regia mediaticamente orientata, oppure c'è da credere alle coincidenze: di certo, il fatto che nel giorno della commemorazione di Giovanni Falcone, i commercianti di Ballarò con la loro denuncia collettiva abbiano consentito di smantellare una rete di emergenti caporione, induce a più di una riflessione. Soprattutto perché i commercianti che hanno messo da parte paura e omertà sono immigrati, nuovi cittadini che arrivano da lontano.
Un motivo in più per riflettere su cosa è cambiato da quel 23 maggio del 1992, giorno in cui la mafia colpì molto più in alto e con molto più clamore di quanto avesse fatto fino ad allora. E' cambiata la mafia (che, innegabilmente scompaginata nelle sue file militari e non solo, ha mutato forma), è cambiata l'antimafia che proprio dopo l'anno delle stragi visse la sua stagione di maggiore impegno per qualità e diffusione sociale e che, 24 anni dopo, vive l sua fase più infelice nella quale l'idea che possa essere infiltrata dalla mafia stessa o venire utilizzata come comoda carrozza sulla quale correre verso danaro e carriere è molto più che un sospetto.
Infine, è cambiata la città. Quella del 23 maggio del 1992 era posseduta dalla mafia. Nel senso che Cosa nostra ne governava economia e destini, che la mafia era insediata nella testa e nelle relazioni sociali della grande maggioranza dei palermitani. Il controllo del territorio che consentì alla mafia di piazzare cinquecento chili di tritolo sotto l'autostrada e, a distanza di pochi mesi, di far saltare in aria in pieno centro città Paolo Borsellino e la sua scorta con un'autobomba era tale perché si accompagnava al dominio sulle relazioni sociali e politiche della città. Al possesso, per l'appunto, della testa di un grandissimo numero di palermitani.
Non riconoscere che, oggi, non è più così sarebbe negare la realtà. E oggi non è più così soprattutto perché all'indomani delle stragi del 1992 qualcosa cambiò. Chi c'era ricorda il primo anniversario: il 23 maggio del 1993. La partecipazione spontanea di migliaia di palermitani che, come se seguissero un percorso non tracciato, si ritrovarono in via Notarbartolo, davanti alla casa dove Falcone abitava con la moglie Francesca Morvillo, sotto quell'albero che, intanto, era stato riempito di fogli di carta, di testimonianze di affetto. Forse è troppo dirlo: ma quella data è una delle rare occasioni identitarie di una città spesso e volentieri indifferente a tutto. Soprattutto a se stessa.
È bene ricordarselo oggi, 23 maggio del 2016 annus horribilis dell'antimafia ufficiale impiastricciata da arresti, avvisi di garanzia, indagini che svelano come dietro le parate, i gonfaloni, i proclami di legalità si celino troppo spesso affari e carriere politiche. Poi, succede che nella città che è cambiata un gruppo di nuovi palermitani (i commercianti di Ballarò di origine del Bangladesh e della Nigeria) trova il coraggio di denunciare i padroni del pizzo e di guadagnarsi così il titolo di esempio da seguire.
Sarà stata, dunque, un'abile regia o forse davvero coincidenza, ma il fatto che sia successo il 23 maggio vale tanto, tantissimo. Perché
il rischio che la deriva dell'antimafia degli affari travolga
anche quanto di bello e di utile c'è ancora nell'antimafia si può arrestare
davanti a una data. In questi giorni si è fatta avanti una retorica nuova,
accanto a quella ormai conosciuta dell'antimafia da slogan. Una retorica che
vuole inutile, o peggio da snobbare, la commemorazione del 23 maggio. Errore
grave. Perché quella data ricorda oltre a un grande dolore anche un nuovo
inizio.
La Repubblica, 24 maggio 2016
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