La tv di Stato non è stata all’altezza della sfida che ha lanciato il figlio di Riina. Giuseppe Salvatore Riina non si è infatti presentato all’intervista di ieri da Vespa come il figlio del boss, ma come un boss esso stesso, aspirante capo.
Ha usato il linguaggio della
doppia verità. Con i cittadini italiani ha adottato la
linea morbida, rappresentando la sua famiglia come una realtà dove scorre latte
e miele. Al mondo mafioso invece ha lanciato messaggi chiari e diretti. Ad
esempio, quando ha definito la mafia come “è tutto e niente”. Nel linguaggio
mafioso lui è tutto, gli altri sono il niente. O quando ha aggredito i
collaboratori di giustizia chiamandoli traditori: questo si traduce in “bisogna
eliminarli” e, per quelli che stanno in carcere, “bisogna saper scontare la
pena da boss”, come stanno facendo suo padre e suo fratello.
A questa età Riina vuole fare
il salto di qualità. Vuole utilizzare i moderni mezzi
d’informazione per definire un nuovo profilo di capo. E questo la tv di Stato
doveva comprenderlo e incalzarlo per evitare che potesse usare questo potente
strumento per i suoi fini.
Il day after dell’intervista
a Salvo Riina si svolge nelle aule della commissione parlamentare antimafia. In
audizione, il presidente della Rai, Monica Maggioni e del direttore generale
Antonio Campo Dall’Orto. E di fronte all’organo parlamentare, di fronte alle
domande dei commissari, va in scena il grande imbarazzo. Poca profondità, molta
difesa dell’azienda. Certo, come ha da dire la stessa Maggioni, quello di Riina
jr è stato un “racconto insopportabile”, fatto da “mafioso qual è”. Per il
resto, poc’altro. I vertici mostrano certo il loro poco gradimento nei
confronti del modus operandi di Vespa, ma dall’altra parte
aprono il petto, esprimendo e rimarcando l’orgoglio di un’azienda “mai
incerta sull’atteggiamento da avere nei confronti delle mafie”,m che non è
“appiattibile su un personaggio”. Sciorinano interviste antiche decenni, titoli
di fiction e documentari, nomi e meriti di professionisti (Enzo Biagi e Sergio
Zavoli su tutti), per poi ricordare la decennale esperienza di Vespa e il
timore che la cancellazione della trasmissione potesse essere interpretata come
“censura”.
Gli attacchi della Bindi. In apertura di seduta, molto dura
era invece stata la posizione della Bindi. La presidentessa, interpellando i
due vertici Rai, ha parlato della trasmissione come di un “salotto buono da cui
ariva un messaggio deformato”, di Salvo Riina come di “un condannato per mafia
intercettato mentre passava davanti al monumento di Capaci e formulava giudizi
pesanti su Falcone e sulla sua scorta”, del suo libro come di una produzione
che “ammicca alle famiglie mafiose”, del suo atteggiamento come di “reticente e
omertoso anche sul privato”. Di più, secondo la Bindi “ha raccontato menzogne,
attaccato i testimoni giustizia e lanciato messaggi inquietanti, negato
l’esistenza della mafia, prestando il fianco al negazionismo e al
riduzionismo da cui le organizzzioni criminali traggono forza e consenso
sociale”. Poi, sul ruolo del conduttore e sulla trasmissione dedicata alla
legalità di questa sera, secondo la Bindi è da considerarsi inaccettabile una
“par condicio tra mafia e antimafia”. Infine, un passaggio sull’opportunità
temporale: “Aprile si apre con la strage di Pizzolungo e si chiude con
l’omicidio di Pio La Torre. Entrambi i fatti hanno un unico nome che le unisce:
Totò Riina”.
Claudio Fava. “Riina è un associato mafioso che racconta la sua realtà di associato
mafioso”, così ha attaccato Claudio Fava, vicepresidente della commissione e
figlio del giornalista Pippo, ucciso da Cosa nostra. Fava, a sua volta
giornalista, ha rivendicato l’autonomia del giornalismo e bacchettato,
duramente, l’operato di Bruno Vespa. “Se accetti di interloquire con un mafioso
lo fai senza farti dettare le condizioni”, il messaggio indirettamente
lanciato al conduttore di Porta a porta. Sul passaggio sui testimoni di
giustizia, Fava ha parlato di “scomunica” venuta dai settori mafiosi, di fronte
a cui fa gran rumore “l’imbarazzante silenzio del conduttore”. Infine, rivolto
ai vertici Rai: “Potrei farvi il nome di decine di giornalisti che avrebbero
potuto condurre meglio quell’intervista”.
Lucrezia Ricchiuti. La senatrice del Partito Democratico ha chiesto
le dimissioni della Maggioni, di Dall’Orto e di Vespa: “Avete dato parola
all’antistato concordando con l’antistato cosa dire e non dire”.
Narcomafie, 7 Apr 2016
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