L’effetto inevitabile dell’immissione selvaggia nella nostra lingua di americanismi o inglesismi, fenomeno sviluppatissimo, è di snaturarla e di sgretolarla attraverso un trapianto contro natura che non solo ne distorce l’eufonia (il famigerato “suona bene”) ma indebolisce la coerenza e la chiarezza del “discorso”.
Tale auto-inondazione lungi dall’essere prova di apertura di spirito - come tanti sostengono - e di adattabilità, di elasticità, di disponibilità verso cio’ che di buono ci viene dal mitico “Estero” e in particolare dagli USA, è invece la triste cartina di tornasole dello straordinario sviluppo che ha conosciuto nella penisola il vizio antico dell’esterofilia. Lo scimmiottamento della parlata dello straniero, infatti, non è altro che servilismo linguistico, noncuranza del proprio passato, disprezzo verso il grande bene comune che è la lingua nazionale.