La processione di S. Leoluca |
di DINO PATERNOSTRO
Come ogni anno da secoli, anche oggi, 1°
marzo, Corleone festeggia il «dies natalis» di San Leoluca, suo Santo Patrono,
che fu un abate basiliano vissuto in Calabria più di mille anni fa. Il «giorno
della nascita», per la Chiesa cattolica, corrisponde alla data della morte
terrena, che apre le porte alla vita eterna. Per i corleonesi la festa di San
Leoluca ha un sapore tutto particolare. È un santo che amano molto, insieme
all’altro santo corleonese, San Bernardo. Stasera si farà la consueta
processione, con la statua del Santo che attraverserà le principali vie del
paese, seguito dalla sua confraternita, dalla banda musicale e da tanti fedeli.
E stasera saranno accese le consuete «luminiane» (i falò) in tante strade e piazzette,
con la legna (prevalentemente, ramaglie di ulivo) ammassata dai giovani devoti
già qualche giorno prima. L’ultima domenica di maggio, invece, si terrà la
classica “corsa di S. Leoluca”, per ricordare quando il santo, il 27 maggio
1860, salvò la città dal saccheggio dell’esercito borbonico. Ancora una volta,
il pensiero di tutti non poteva non andare all’eccezionale ritrovamento dei
resti del Santo, reso pubblico il 9 dicembre 2006 dall’archeologo Achille
Solano e dalla sua equipe. Si trovavano in una grotta sotto la chiesa di Santa
Ruba, nel comune di San Gregorio d’Ippona, un paesino calabro, poco distante da
Vibo Valentia, dove un tempo sorgevano tanti monasteri basiliani. Un ritrovamento
a cui ha dato credito lo stesso vescovo della diocesi di Mileto- Nicotera-Tropea,
competente per territorio, che ha inviato sul posto un suo rappresentante, don
Filippo Ramondino. La curia di Monreale, forse perché lontana dal luogo della
scoperta, ha assunto una posizione più prudente, ma pare che adesso sia orientata
a seguire l’orientamento della chiesa calabra.
La classica "luminiana" di S. Leoluca |
Un grande merito va alla studiosa
siciliana Maria Stelladoro, che ha tradotto in italiano il testo del Gaetani,
vi ha aggiunto una sua introduzione, un commentario e gli indici, e nel 1995
l’ha pubblicato (“La vita di San Leone Luca di Corleone”, Edizioni Scuola
Tipografica Italo-Orientale “S. Nilo”, Grottaferrata, Roma, 1995). Il volume
non è l’unico contributo della Stelladoro per una migliore conoscenza del Santo.
Nel settembre 1999, sul n. 27/28 della prestigiosa rivista tedesca «Codices
Manuscripti», ha pubblicato anche il «Codice di Mazara» sulla vita del Santo,
già citato dal Gaetani e recentemente ritrovato. «Leone Luca – ci racconta
Maria Stelladoro – nacque a Corleone di Sicilia da Leone e Teotiste, contadini
e pastori. Ancora in giovane età rimase orfano di entrambi i genitori,
abbandonò i lavori agricoli ed entrò novizio nel monastero di S. Filippo di
Agira, dove ricevette la prima tonsura da un anziano monaco e il consiglio di
emigrare in Calabria a causa della violente incursioni dei Saraceni in Sicilia.
Raggiunta la Calabria, incontrò una pia donna, alla quale manifestò le tribolazioni
dell’animo suo e le domandò un consiglio sul da farsi. E fu proprio tale donna
che lo indusse ad abbracciare la vita monastica cenobitica. Dopo la “peregrinatio
ad limina Apostolorum”, si stabilì in Calabria, nel monastero sui monti Mula, divenendo
discepolo dell’igumeno Cristoforo, che lo rivestì dell’abito monastico e gli
cambiò il nome in Luca. Fondarono insieme un monastero nel territorio di
Mercurio e un altro in quello di Vena e in quest’ultimo dimorarono fino alla
morte. Designato igumeno del monastero di Vena dallo stesso Cristoforo morente,
vi esplicò una funzione taumaturgica polivalente. In punto di morte designò
suoi successori Teodoro ed Eutimio».
«Leone Luca – spiega ancora la
Stelladoro – iniziò il suo ministero pastorale con due pabula, sia per
alimentare nei suoi confratelli la carità, sia per esortarli a sfuggire i
pettegolezzi». Si tratta di due racconti-parabole abbastanza semplici, come semplice
era la vita dei monaci basiliani. Ecco la prima. Un tempo, essendo un frate
rimasto da solo e con un solo pane nel monastero, poiché gli altri erano usciti
per lavorare, vide arrivare alcuni cacciatori stanchi e affamati, che gli
chiesero del cibo. Mosso da carità verso il prossimo, non esitò a donare loro
quell’unico pane che aveva e qualche mela. Rimasto a digiuno, per tutto il
giorno faticò nei lavori domestici fino a sera, quando, stanco e affamato,
aperto l’uscio della sua cella, vi trovò tre pani caldi e bianchi, mandatigli
da Dio in premio della sua generosità verso i cacciatori. L’altro
racconto-parabola risale al tempo dell’igumeno Cristoforo, quando un
confratello aveva offeso un umile. Per espiare la colpa del suo pettegolezzo si
sottopose ad una rigida penitenza: soffrì per venti giorni e venti notti nudo
il freddo sui monti di Mormanno. Ma un giorno, per sfuggire ad alcuni
cacciatori proprio a causa della sua nudità, si immerse, per pudore, nell’acqua
gelida fino al collo. «Quale che sia la natura dei due episodi, veri o
inventati, rimane sicuro il loro intento pedagogico: Leone Luca è il maestro e
i confratelli sono discepoli (ivi compresi Teodoro ed Eutimio, designati suoi
successori e precisamente: il secondo quale aiuto del primo)», dice Stelladoro.
Ma era istruito San Leoluca? Pare
proprio che non lo fosse e che non sapesse nemmeno leggere e scrivere. «Proprio
la tradizione orale, cui Leone Luca fa affidamento per esporre i due episodi a
scopo didascalico ai suoi confratelli discepoli, non può provare – dice ancora
Stelladoro – che il santo fosse istruito. Ricordiamo, inoltre, che anche
Pertusi menziona Leone Luca tra quei monaci “assolutamente illetterati” assieme
a Filareto il Giovane, perché non avrebbero ricevuto in gioventù alcuna
istruzione religiosa e non si sarebbero applicati allo studio della Sacra
Scrittura, del Salterio e dell’innologia sotto la guida di un maestro
spirituale». «L’unica istruzione che ci sembra di riscontrare nel testo della
Vita – conclude la studiosa – è quella morale, impartita, cioè, dai genitori al
proprio figlio, che educarono alla semplicità. Non sappiamo – a meno che altri
studi non daranno nuovi risultati – se Leone Luca sapesse leggere e scrivere
tanto da accostarsi alla lettura e quindi allo studio delle Sacre Scritture,
guidato da un maestro. Né sappiamo come avvenne l’educazione religiosa
impartitagli da Cristoforo. Possiamo ipotizzare – ma solo ipotizzare, in
considerazione della mancanza di qualsiasi riferimento al libro manoscritto
nella Vita e al suo uso –, che gli insegnamenti fossero impartiti oralmente e
che lo stesso Leone Luca si facesse istruttore di insegnamenti da lui stesso
impartiti oralmente».
D.P.
Nessun commento:
Posta un commento