Giuseppe Lumia
Atto n.
4-05177
Pubblicato
il 2 febbraio 2016, nella seduta n. 569
LUMIA
– Al Ministro dell’interno. –
Premesso
che, secondo quanto risulta all’interrogante:
Matteo
Messina Denaro è latitante ormai da troppi anni. La sua latitanza mette in
seria difficoltà l’autorevolezza e la capacità della nostra democrazia di
garantire sicurezza, legalità e sviluppo;
il boss
latitante è stato di recente chiamato in causa per il suo diretto ruolo nelle
stragi del 1992 dalla Procura di Caltanissetta, che ha emesso un nuovo mandato
di cattura che gli investigatori della DIA hanno notificato alla madre del boss
a Castelvetrano (Trapani). Emerge un quadro ancora una volta molto chiaro del
ruolo di Matteo Messina Denaro nel rapporto con il capo di Cosa nostra, Riina.
Lo accompagnava a tutti gli incontri importanti, lo riempiva di attenzioni e
regali, come racconta il collaboratore di giustizia Francesco Geraci.
Significative a tal proposito sono proprio le dichiarazioni rese dal
gioielliere Geraci: “In quei giorni Matteo (Denaro) mi portò Riina in
gioielleria. C’erano anche la moglie e le due figlie di Riina. Mi affidarono
una borsa con gioielli di famiglia, perchè li custodissi. Erano orecchini,
monili e altro, che io ho occultato in un nascondiglio segreto della mia
abitazione, unitamente a dei lingotti d’oro che in un’altra occasione Matteo mi
aveva portato dicendomi che erano di Riina”. Ed ancora Geraci afferma che per
compiacere il capo di cosa nostra, “Matteo regalò un Rolex Daytona, in oro e
acciaio, a Gianni Riina, uno dei figli del capo di cosa nostra”. Sempre Geraci
continua a raccontare che “In due occasioni, feci fare insieme a Matteo delle
gite in barca a tutti e quattro i figli di Riina. C’erano anche le figlie di
Pietro Giambalvo e di tale Vartuliddu di Corleone, entrambi all’epoca dimoranti
a Triscina”. Pietro Giambalvo fa parte di una famiglia mafiosa di primo piano.
I fratelli Giambalvo sono tre, uno di loro vive a Santa Ninfa, in provincia di
Trapani, e due a Roccamena, vicino a Corleone, un’enclave legatissima a Riina e
Bagarella. “Vartuliddu” è il soprannome di Bartolomeo Cascio, boss di spicco
sempre di Roccamena, uomo di assoluta fiducia di Riina, tanto che, quando Riina
festeggiò il fidanzamento con Ninetta Bagarella, fu scelto un locale di
Monreale di proprietà dello zio di Bartolomeo Cascio. Cascio partecipa al
gruppo di fuoco con Bagarella e oggi è libero e capace di assumere un ruolo di
primo piano per gestire la crisi dovuta ad arresti e divisioni, come ad esempio
gestire un’eventuale reggenza del mandamento di Corleone dovuta ad una
difficoltà della famiglia dei Lo Bue. Fu proprio in quei giorni che Riina
affidò a Matteo Messina Denaro il compito di colpire il giudice Falcone a Roma.
Il boss collaboratore di giustizia Vincenzo Sinacori ricorda che Matteo Messina
Denaro si recò a Roma con una macchina carica di “mitra, kalashnikov e alcuni
revolver. Aveva pure due 357 cromate nuove. Procurò anche dell’esplosivo nella
zona di Menfi – Sciacca”. Il progetto di morte però fu messo da parte, perché,
sempre con la partecipazione di Matteo Messina Denaro, si decise di procedere
diversamente proprio a Palermo e con un attentato clamoroso, un “attentatuni”
come fu ribattezzato. Progetto sicuramente pensato e condiviso con le “entità
esterne” su cui sono in corso da anni indagini delicatissime, spesso richiamate
nell’ambito della cosiddetta “trattativa”. Sempre il collaboratore Sinacori
afferma: “C’era anche Matteo (Messina Denaro) alla riunione di fine settembre,
tenuta a Castelvetrano, in cui Totò Riina comunicò l’avvio della strategia
stragista”;
di recente,
è emerso il suo fondamentale ruolo nell’organizzazione dell’attentato al
pubblico ministero Nino Di Matteo. Da notizie di stampa, si apprende che il
boss Galatolo avrebbe confermato che Matteo Messina Denaro sarebbe stato il
principale protagonista dell’organizzazione di un possibile agguato al
magistrato Di Matteo, impegnato in delicate indagini come quella sulla
trattativa Stato-mafia. “Si è spinto troppo oltre”, scriveva il padrino di
Castelvetrano, il boss aveva acquistato 200 chili di tritolo, dopo aver messo
insieme 700.000 euro. Una parte di quei soldi (circa 250.000 euro) arrivava
appunto dalla vendita di una trentina di box a Palermo. E sarebbe stato proprio
Marcello Marcatajo, avvocato civilista molto noto in città, legato alla
borghesia professionale, utilizzata dai vertici delle amministrazioni locali,
Comune e Provincia, a curare quell’operazione immobiliare. L’avvocato, infatti,
è finito nell’occhio del ciclone durante le ultime inchieste e operazioni sul
riciclaggio della Procura di Palermo, coordinata dal procuratore aggiunto
Vittorio Teresi e dai sostituti Roberto Tartaglia, Annamaria Picozzi, Francesco
Del Bene e Amelia Luise e che ha portato anche all’arresto di Francesco Puccio,
un ingegnere molto vicino a Marcatajo, e di Francesco e Angelo Graziano. Sono
scattati i domiciliari, invece, per il figlio dell’avvocato Marcatajo, per la
moglie dell’imprenditore di mafia Francesco Graziano, Maria Virginia Inserillo,
e per Giuseppe e Ignazio Messeri, accusati di essere due prestanome;
la sua
cattura è indispensabile e, grazie al coraggioso e intelligente operato della
Direzione distrettuale antimafia di Palermo e delle forze dell’ordine, è
altrettanto importante continuare a colpire il suo reticolo familiare,
economico ed istituzionale, quella parte di mondo professionale e imprenditoriale
a lui vicino, le protezioni di cui gode da parte degli apparati collusi, delle
istituzioni colluse, della massoneria deviata, dei collegamenti internazionali.
È necessario inoltre isolare culturalmente, socialmente e politicamente il
“sistema Matteo Messina Denaro”, contrastare il consenso presente nel
territorio, espresso anche attraverso i social network, sostenere le scelte di
chi ha avuto il coraggio di denunciare e di coloro che lavorano intorno ai
percorsi di legalità nelle scuole e nelle istituzioni a sostegno della parte
sana della società;
va
sviluppato inoltre un lavoro progettuale di rimozione delle cause del consenso
e del radicamento mafioso, mettendo a fuoco il sistema di Matteo Messina
Denaro, che è complesso e articolato anche sul piano familiare, economico,
massonico, collusivo. Senza alcun pregiudizio, bisogna comprendere in tal senso
il coinvolgimento e la complicità che riesce a mantenere e riprodurre ai vari
livelli. Sul piano familiare, la situazione da inquadrare, secondo l’interrogante,
è la seguente: Salvatore Messina Denaro (nonno del boss Matteo Messina Denaro)
coniugato con M. R.; da questo matrimonio nascono: Brigida Messina Denaro
coniugata con R. G.; Nicolò Messina Denaro coniugato con F. M.; Diego Messina
Denaro; Francesco Messina Denaro (padre del boss Matteo Messina Denaro),
deceduto mentre viveva da latitante il 30 novembre 1998, coniugato con S. L. di
M. e B. G.; da questo matrimonio nascono: Matteo Messina Denaro nato a
Castelvetrano il 26 aprile 1962, latitante dal 1993, in relazione con A. F.; da
questa relazione nasce A. L.; Salvatore Messina Denaro; Rosalia Messina Denaro
coniugata con Filippo Guttadauro (condannato a 14 anni); da questo matrimonio
nascono: G. M., G. L. sposata con Girolamo Bellomo (in stato di fermo
nell’ambito dell’operazione “Eden 2”); sempre da questo matrimonio sono nati:
B. A. M. e B. C. e Francesco Guttadauro (in stato di fermo per l’operazione
“Eden”); Giovanna Messina Denaro coniugata con A. R.; da questo matrimonio
nascono: A. G. e A. F.; Patrizia Messina Denaro (in stato di fermo, operazione
“Eden”) coniugata con Vincenzo Panicola (condannato a 10 anni processo Golem
2); Bice Maria Messina Denaro;
per quanto
attiene alla parentela con la madre Lorenza Santangelo, la situazione è la seguente:
S. R. coniugata con F. M.; da questo matrimonio nascono: Giovanni Filardo
(assolto al processo “Golem 2”, in stato di fermo per il processo “Eden”); F.
R. coniugata con Lorenzo Cimarosa (dichiarante al processo “Eden”, condannato a
5 anni e 4 mesi); F. A. M.; Matteo Filardo (assolto al processo “Golem 2”); S.
G. coniugato con M. C.; da questo matrimonio nascono: S. G. M. A.; S. M.; S.
B.; S. M.;
di recente,
quando la DIA si e recata a casa della famiglia del boss per notificare il
nuovo mandato di cattura per le stragi del 1992, sono state trovate foto ed
immagini del boss latitante. Un vero e proprio culto di Matteo Messina Denaro
che va oltre la sua latitanza, un modello esemplare, di cui essere orgogliosi e
non una vergogna da cui prendere le distanze;
rimanendo in
ambito familiare, sarebbe inoltre opportuno sottolineare che il padre di Matteo
Messina Denaro è morto latitante. La madre ha acquisito la pensione di
reversibilità del marito, boss latitante. Queste sono risorse pubbliche che,
secondo l’interrogante, da un’attenta analisi, potrebbero risultare
illegittimamente percepite dalla donna;
l’interrogante,
durante diversi dibattiti pubblici, si è rivolto senza successo alla stessa
figlia del boss, Lorenza, invitandola a convincere il padre a collaborare con
lo Stato, sull’esempio di Peppino Impastato, che della rottura del familismo
mafioso ne aveva fatto un punto di svolta, per far sì che il territorio sia
finalmente libero anche dall’omertà mafiosa familiare e sia messo in
discussione finalmente il consenso al sistema mafioso che verte intorno a
Messina Denaro;
premesso
inoltre che:
Matteo
Messina Denaro può contare, secondo quanto risulta all’interrogante, anche su
un altro sistema, quello imprenditoriale, vasto ed articolato, di cui è
difficile riassumere l’ampia e capillare portata. Alcuni aspetti significativi
darebbero comunque il senso della capacità del boss di trasformare il rapporto
con gli operatori economici da classicamente collusivo in proiezione diretta,
tipica della mafia imprenditoriale;
nel campo
dell’eolico: inchiesta della Direzione distrettuale antimafia nelle province di
Palermo e Trapani, che ha portato all’arresto anche di un consigliere comunale
e di un imprenditore. I proventi delle aziende del settore delle rinnovabili erano
in parte utilizzati per sostenere il superboss. Sono stati inoltre sequestrati
beni per 10 milioni di euro (7 dicembre 2012) al re dell’eolico prestanome di
Messina Denaro. La DIA confisca un tesoro dall’elevato valore di 1,3 miliardi
di euro mettendo i sigilli all’impero di Vito Nicastri, formato da 43 società
che operano nel settore dell’energia pulita. L’imprenditore trapanese è
accusato di essere stato vicino all’ultimo grande latitante della mafia
siciliana (3 aprile 2013); sono stati sequestrati beni per 20 milioni di euro
con una maxi operazione di Guardia di finanza e Ros dei Carabinieri contro le
infiltrazioni di Cosa nostra nel trapanese. Nella rete di affari del
superlatitante ci sono residence turistici, impianti eolici, lavori edili e
poli tecnologici (15 dicembre 2014); ed ancora beni per 18,5 milioni di euro
sequestrati a boss vicini a Messina Denaro con un’operazione dei carabinieri
del Ros in provincia di Trapani. Nel mirino i patrimoni degli imprenditori
Salvatore Agnello e Antonino Nastasi (16 gennaio 2015);
nella grande
distribuzione: confisca al re dei supermercati Despar, sigilli a un patrimonio
da 700 milioni di euro. Le indagini della Direzione investigativa antimafia
consegnano allo Stato l’impero di Giuseppe Grigoli, l’imprenditore trapanese
arrestato nel 2007 con l’accusa di essere un prestanome del superlatitante
Matteo Messina Denaro (24 settembre 2013). Attività economiche su cui si sta
esercitando, dopo i primi clamorosi errori, l’impegno dello Stato per
recuperare al lavoro legale centinaia di lavoratori;
nel settore
delle cave: un importante atto è stato compiuto dall’ex assessore Calleri:
“Tolta cava a Messina Denaro e avviati controlli su tutti gli impianti eolici”.
L’ex assessore per l’energia annuncia il provvedimento preso “in silenzio”,
prima della crisi di Governo: “Abbiamo lavorato senza fare clamore”. “Una
scelta coraggiosa”, dice Crocetta, presidente della Regione Siciliana (25
ottobre 2014);
nel settore
calcestruzzi: sequestrata un’impresa di calcestruzzi a Mazara del Vallo
(Trapani), la società Calcestruzzi Mazara SpA. La Guardia di finanza e la
squadra mobile hanno sequestrato lo stabilimento, tutti i beni strumentali e
l’intero capitale sociale, per un importo complessivo di 5 milioni di euro.
Sarebbe controllata dalla famiglia Agate, vicina al clan Messina Denaro (23
giugno 2009); colpo a clan Messina Denaro, sequestro da 18 milioni di euro,
Salemitana calcestruzzi s.r.l. (16 gennaio 2015); sequestrati i beni di Messina
Denaro per 550 milioni di euro “Un colpo all’economia di Cosa nostra”
all’imprenditore agrigentino Rosario Cascio, 75 anni (27 gennaio 2010);
Calcestruzzi Belice con sede a Montevago (400.000 euro), Calcestruzzi Clemente,
Montevago (103.000 euro), ditta Cascio Rosario di Partanna (edilizia), ditta Accardo
Maria di Partanna (ortorfutta e olivicola), Calcestruzzi Srl di Montevago
(46.000 euro), Atlas Cementi di Mazara, Inerti Srl di Menfi, ditta di trasporto
Trasped, Vini Cascio Srl di Castelvetrano, Efebo car di Castelvetrano
(concessionaria d’auto), Castelpetroli di Castelvetrano (impianti distribuzione
carburante), Saturnia (agricoltura) di Partanna, Olivo snc di Partanna, terreni
e fondi rustici a Manicalunga di Castelvetrano, a Partanna, Menfi, fabbricati a
Partanna, Menfi;
nell’ambito
movimento terra: sequestrati i beni a Filardo, il cugino di Messina Denaro. Sul
patrimonio del cugino del latitante Matteo Messina Denaro si abbatte la scure
della sezione Misure di prevenzioni del Tribunale di Trapani. Il provvedimento
eseguito dalla DIA, dalla Guardia di finanza e dal Ros dei Carabinieri di
Palermo. BF Costruzioni Srl, di numerosi mezzi automezzi, terreni, e di una
villa a Triscina, frazione di Campobello di Mazara (11 settembre 2014); nuovo
sequestro di beni per Lorenzo Cimarosa. Si tratta di beni immobili e il centro
ippico gestito a Castelvetrano da uno dei figli di Cimarosa. M. G. costruzioni
(23 dicembre 2014), su cui va registrata una presa di distanza dal superboss;
nel settore
agroalimentare: Matteo Messina Denaro mette le mani sull’olio siciliano:
sequestri per 20 milioni di euro. Dopo gli affari nell’eolico, arrivano quelli
con gli uliveti. Carabinieri del Ros e Guardia di finanza hanno scoperto
un’altra fonte di sussistenza di Matteo Messina Denaro, che utilizzava
imprenditori prestanome per portare avanti i propri traffici: l’operazione vale
20 milioni di euro (15 dicembre 2014);
nel settore
alberghiero: caccia a Messina Denaro, sequestrati albergo e 25 milioni di euro
a un presunto prestanome, albergo di San Vito Lo Capo, il “Panoramic” (18 gennaio
2012); in bilico i 5 miliardi di mister Valtur. La DIA: prestanome di Messina
Denaro passato al setaccio dagli investigatori il patrimonio di Carmelo Patti:
secondo la ricostruzione dell’accusa, sarebbe emersa “una inquietante
sperequazione fra redditi e investimenti”. Chiesto dalla Direzione antimafia il
sequestro dei beni (12 marzo 2012);
considerato
che:
è
dell’agosto 2015 l’operazione denominata “Ermes” nei confronti di esponenti di
vertice delle famiglie di Cosa nostra trapanese e a carico di presunti
favoreggiatori del boss latitante Matteo Messina Denaro. L’operazione, eseguita
dalle squadre mobili di Palermo e Trapani con il coordinamento del Servizio
centrale operativo (Sco) della Polizia di Stato e la partecipazione anche di
personale del Ros dei Carabinieri, ha portato all’arresto di 11 fedelissimi del
boss latitante, stringendo sempre più le maglie della legge sulla rete di
protezione del capomafia. Le misure cautelari sono state notificate ai capi del
mandamento mafioso di Mazara del Vallo e dei clan di Salemi, Santa Ninfa e
Partanna. Sono stati effettuati arresti e perquisizioni, nelle province di
Palermo e Trapani, nei confronti di esponenti di vertice delle famiglie di Cosa
nostra trapanese e a carico di presunti favoreggiatori. Le indagini
rappresentano una progressione investigativa delle precedenti operazioni “Golem
I e II” ed “Eden I e II”, della Polizia di Stato e dei Carabinieri, a carico di
fiancheggiatori e parenti del latitante;
è del
dicembre 2015 l’ultimo duro colpo al patrimonio riconducibile alla cosca di
Matteo Messina Denaro. I carabinieri del Ros e del comando provinciale di
Trapani, nell’ambito dell’operazione “Mandamento bis”, hanno sequestrato beni
per 10 milioni di euro agli imprenditori Antonino e Raffaella Spallino, ritenuti
prestanomi del clan. I provvedimenti, richiesti dalla Procura distrettuale
antimafia di Palermo, hanno interessato le province di Trapani, Palermo e
Reggio Calabria. L’operazione si inserisce nelle complesse operazioni
finalizzate alla cattura del latitante, ed in particolare quest’ultima è la
prosecuzione di quella che nel dicembre 2012 ha portato all’arresto dei vertici
del mandamento di Castelvetrano, supporti economici del latitante, e al
sequestro di 16,5 milioni di euro. Già nelle precedenti operazioni si era
accertato come la struttura criminale esercitasse un rigido controllo
territoriale finalizzato, tra l’altro, all’acquisizione sistematica dei lavori
per la realizzazione degli impianti di produzione delle energie rinnovabili.
L’operazione odierna conferma il forte interesse e la pressante presenza del
latitante rispetto ai lucrosi settori dell’energia e dei rifiuti. Questa volta
i sigilli sono scattati, infatti, per 12 imprese attive nei comparti della
produzione di energia elettrica e della raccolta di rifiuti, per complessivi 10
milioni di euro. Sotto sequestro anche attività agricole, edili, di
ristorazione e gestione di immobili, 34 immobili tra appartamenti, uffici,
autorimesse, magazzini e terreni; 28 rapporti bancari e 5 autocarri;
si è quindi
in presenza di un vero e proprio sistema di co-gestione tra mafia, politica ed
economia messo in opera per fare affari in prima persona o per conto di terzi,
una mafia ben sommersa in grado di fare grandi affari e di farsi direttamente
impresa;
sembrano
convinti di questo sistema illegale investigatori e magistrati, a Trapani c’è
una mafia che non ha bisogno di lupare, una mafia che ha fatto diventare legale
il proprio sistema illegale. È un’organizzazione silenziosa e in apparenza
tranquilla, dove anche i familiari del pericoloso Matteo Messina Denaro, pur
subendo il sequestro di beni, sfoggiano ancora un altissimo tenore di vita,
tanto da fare sposare i loro figli nella famosa e stupenda cappella Palatina di
Palermo;
un altro
lato del sistema Messina Denaro è costituito, secondo quanto risulta
all’interrogante, dal rapporto con la massoneria che, a Trapani, avrebbe svolto
un ruolo storico nel legame con Cosa nostra, come è stato dimostrato dalla
vicenda della loggia “Scontino”;
andrebbe
posta l’attenzione, secondo l’interrogante, sulla famosa loggia massonica
segreta di via Carreca, denominata “Iside 2” del gran maestro Gianni Grimaudo,
cui sarebbero stati iscritti “colletti bianchi” e mafiosi e, oggi si è
scoperto, anche politici. Inoltre, è sempre stato vivo il tentativo di
avvicinarsi alla magistratura che si occupa di indagini antimafia;
proprio in
un verbale di interrogatorio dell’ex patron del Trapani, Nino Birrittella,
arrestato nel 2005, perché, come da sua stessa ammissione, componente della
cupola mafiosa legata a Messina Denaro, si parlerebbe di massoneria. Secondo
Birrittella infatti sarebbe necessaria per avere agganci utili e la maggior
parte delle decisioni erano subordinate a questa. Proprio Birrittella parla di
sostegno avuto dalla Banca di credito cooperativo Paceco, finita nel mirino
della Banca d’Italia per un credito di 500 milioni di euro, concesso ad un
imprenditore accusato di rapporti con Cosa nostra, Filippo Coppola. Tra i nomi
citati da Birrittella ci sarebbe l’ex presidente di Assindustria Trapani, Nino
Maltese, che, come Birrittella stesso definisce, è un noto appartenente di
rango alla massoneria. La loggia, sempre secondo le dichiarazioni rese da
Birrittella, si riuniva il martedì in un ufficio in un palazzo di corso Italia,
nel cuore di Trapani. La loggia avrebbe influito direttamente sugli uffici
pubblici, la Prefettura, il Comune, la Camera di commercio, l’ospedale, e
avrebbe avuto inoltre un controllo sulle attività giudiziarie condotte nella
vicina Procura;
inoltre, negli
anni più recenti, sarebbero emersi contatti con servizi deviati: la
corrispondenza fra “Alessio” e “Svetonio”, ex sindaco di Castelvetrano, Tonino
Vaccarino, e di recentissimo, sabato 21 novembre 2015, nella città di Matteo
Messina Denaro, Castelvetrano, si sono verificate scene di applausi al boss ai
funerali della vedova di Vito Panicola, la folla ha applaudito l’arrivo del
figlio, Vincenzo, scortato dalla Polizia penitenziaria;
nell’ambito
di recenti indagini volte alla cattura del latitante, il servizio centrale
operativo della Polizia avrebbe, secondo quanto risulta all’interrogante,
rilevato i contatti di uno dei favoreggiatori del latitante, Domenico
Scimonelli (addetto alla distribuzione dei cosiddetti pizzini), con un
funzionario del Ministero dello sviluppo economico. Ai contatti sarebbero poi
seguiti degli incontri, finalizzati alla definizione di una pratica di accesso
al fondo di garanzia delle piccole e medie imprese. Tutto ciò nell’estate 2014.
Di recente, Scimonelli, arrestato per associazione mafiosa nell’agosto 2015, è
stato anche destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare per omicidio.
Dalle indagini della Direzione distrettuale antimafia di Palermo sarebbe
altresì emerso l’impegno politico di Scimonelli, imprenditore siciliano del
settore vinicolo, nella Democrazia Cristiana, fino a qualche mese fa parte del
consiglio nazionale della formazione politica;
ed inoltre
uno dei pentiti chiave dell’ultima indagine dei magistrati parla dei rapporti
tra mafia trapanese e uomini dei servizi segreti, proprio nei mesi delle
stragi. Dichiarazioni, queste, non degli ultimi mesi. Infatti già nel 1992
Armando Palmeri, oggi collaboratore di giustizia e all’epoca fedelissimo
autista del capomafia di Alcamo Vincenzo Milazzo, aveva parlato dei rapporti di
Matteo Messina Denaro, al tempo delle stragi, con uomini degli apparati dei
servizi segreti. Dichiarazioni che però non ebbero sviluppi investigativi;
Matteo
Messina Denaro risulta avere gradi di parentela con importanti famiglie mafiose
newyorkesi, come i Gambino, i Lucchese, i Bonanni, i Genovese, di cui spesso si
sottovaluta la portata collusiva sul piano internazionale, compresi i legami
che potrebbero emergere con boss che operano in alcuni Paesi del Mediterraneo,
come la Tunisia;
indagini e
processi, nonché relazioni della Commissione di inchiesta sul fenomeno delle
mafie hanno fatto emergere rapporti diretti del boss con rappresentanti delle
istituzioni, al punto che si può definire la mafia trapanese come una mafia che
si fa direttamente politica, capace, anche nel legame con le istituzioni, di
andare oltre il classico approccio collusivo. Infatti, non sono mancate le
capacità del boss di costruire solidi legami con consiglieri comunali di
Castelvetrano e di altri piccoli e grandi Comuni della provincia di Trapani,
sindaci, assessori, deputati regionali e parlamentari nazionali. È
esemplificativo il dialogo, riportato sulla testata online “LiveSicilia”, tra i
consiglieri comunali di Castelvetrano Calogero Giambalvo e Franco Martino che,
parlando prima del padre di Matteo Messina Denaro e dei loro incontri, si
sarebbero così espressi: “Ci siamo abbracciati e baciati, io ogni volta che lo
vedevo mi mettevo a piangere”, poi parlando direttamente di Matteo Messina
Denaro avrebbero affermato: “quando è arrivato (…) mi sono alzato, abbiamo
fatto mezz’ora di pianto tutti e due”. Al di là delle responsabilità penali,
esiste una responsabilità politica che rende incompatibile la presenza nelle
istituzioni di rappresentanti politici con questo grado di collusione;
nell’azione
di contrasto alla Cosa nostra trapanese si sono avute diverse vittime: dal
giudice Giangiacomo Ciaccio Montalto, all’attentato del giudice Carlo Palermo,
dove vennero uccisi la signora Barbara Rizzo Asta e i suoi gemellini di 6 anni,
il giornalista Rostagno. Dai boss Virga e Mangiaracina Cosa nostra trapanese ha
avuto sempre un ruolo di primo piano. Oggi Matteo Messina Denaro ha sviluppato
un ruolo che va bloccato e distrutto alla radice,
si chiede di
sapere:
se il
Ministro in indirizzo non ritenga opportuno monitorare, nei limiti delle
prerogative previste dalla legge, la rete familiare di Messina Denaro per
comprendere il tenore di vita, per applicare le opportune misure di prevenzione
patrimoniali e verificare la liceità delle eventuali pensioni a carico
dell’erario, come quella elargita a favore della madre del boss;
quali azioni
di competenza abbia intrapreso per prevenire l’infiltrazione nelle istituzioni
e negli apparati pubblici del sistema di collusioni al servizio del boss;
quale
supporto, per quanto di competenza, intenda fornire alla magistratura, alle
forze dell’ordine e ai servizi di informazione e sicurezza, per far progredire
le indagini e giungere alla cattura del pericolosissimo boss mafioso;
se risultino
fondati i sospetti di collegamento sia con la vecchia massoneria, a tal fine
monitorando l’attuale posizione degli appartenenti alle logge menzionate, sia
quelli con la nuova massoneria, attraverso una capillare verifica delle attuali
adesioni;
se siano
monitorati i contatti di Matteo Messina Denaro con le famiglie mafiose
d’Oltreoceano e con altri soggetti criminali operanti nel Mediterraneo.
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