“Non è
candidabile alle elezioni regionali, provinciali e comunali il soggetto – già
componente del consiglio comunale – che grazie a intercettazioni ambientali
risulti aver avuto una conversazione con un affiliato alla locale famiglia
mafiosa”. Così la sentenza n. 1948/2016 della Corte di Cassazione, che
si pone in sintonia con la lotta portata da anni dall’ex giuidice della
Cassazione Romano De Grazia sulla cosiddetta legge Lazzati. I
“collegamenti inquinanti” tra amministratore e criminalità organizzata emersi
sono sufficienti a decretare l’incandidabilità del soggetto in quanto
elementi concreti, univoci e rilevanti che rendono tangibile la prospettiva di
ingerenze illecite nelle attività dell’ente pubblico. Ha deciso così la prima
sezione civile della Corte di Cassazione.
Il caso
riguarda un ex consiglere comunale di Misilmeri: la vicenda riguarda fatti
accaduti in Sicilia nel 2010. Protagonisti un consigliere comunale, un
mafioso e una conversazione in cui il primo aveva chiesto sostegno elettorale
all’altro in cambio, se il numero di preferenze ottenute fosse stato
rilevante, addirittura della vicepresidenza del consiglio comunale. Dalla
intercettazione ambientale risultava che l’uomo avesse anche esercitato
pressioni sul processo di formazione del piano regolatore per consentire a un
altro sodale “traffici” immobiliari su aree agricole. Tali pressioni sono
bastate alla Corte d’Appello per pronunciarsi sulla incandidabilità.
I giudici
partono dal fatto che anche le intercettazioni effettuate in un procedimento
penale, siano pienamente utilizzabili in sede civile, a condizione che
siano state legittimamente disposte nel rispetto delle norme costituzionali e
procedimentali.
È la dovuta
premessa per ammettere l’utilizzo delle intercettazioni ambientali dalle quali
si è desunto il contatto tra amministratore e mafia. E tanto basta. Non
serve, infatti, a parere dei giudici, la prova di comportamenti idonei a
determinare la responsabilità personale, anche penale, degli amministratori.
Sono sufficenti elementi che facciano presumere l’esistenza di collegamenti con
la criminalità organizzata.
La sentenza
ammette a livello probatorio anche forme di condizionamento tali da alterare
il “procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi o
amministrativi degli enti che compromettano buon andamento, imparzialità o
regolare funzionamento dei servizi pubblici”.
L’individuazione
di un rapporto diretto o meno tra amministratori e mafia può quindi anche
basarsi su “circostanze caratterizzate da un grado di significatività e di
concludenza inferiore a quello che legittima l’esercizio dell’azione penale
o l’adozione di misure di prevenzione nei confronti di soggetti indiziati di
appartenere ad associazioni di tipo mafioso”.
SiciliaInformazioni.com
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