di Piero
FerranteSfruttamento e caporalato non fanno solo rima, ma sono, in pratica, la stessa cosa. Non bastassero gli eventi di cronaca – ultimi, solo in ordine dei tempo, quelli della passata estate – a conferma arrivano, una volta di più, i dati di uno studio promosso da The European House-Ambrosetti, condotto sul campo dalla Flai Cgil e presentato durante Attiviamo lavoro – Le potenzialità del lavoro in somministrazione per il settore dell’agricoltura, un convegno di Assocom, l’associazione italiana per le agenzie del lavoro.
Lo scenario del
lavoro bracciantile non accenna a migliorare: oltre 12 ore di lavoro,
salario medio giornaliero che oscilla in una forbice compresa tra 25 e 30 euro
e retribuzione oraria inferiore ai due euro e mezzo. Un grande mercato dello sfruttamento
che coinvolge 400 mila persone, per lo più migranti – l’80% sono
stranieri – e per la maggior parte stagionali. Ovviamente, il
comparto più colpito è quello agricolo. Secondo l’Ambrosetti,
sono oltre 80 i distretti agricoli italiani in cui si pratica il
caporalato, in 33 dei quali le condizioni di lavoro sono da ritenersi
“indecenti” e in 22 con condizioni di lavoro “gravemente sfruttato”.
Numeri che raccontano da un lato quanto grande sia l’affare (economicamente parlando) per i datori di lavoro (affare che sottrae all’erario 600 milioni di euro all’anno), dall’altro come il sistema di produzione agricola rischi di sfuggire ai più elementari diritti, dando vita a situazioni e fenomeni al limite dell’inumano. Ai costi da fame di cui sopra, vanno aggiunti infatti altri (arcinoti) capitolati di spesa, ca va sans dir, a spese del lavoratore: 5 euro per trasporto, somme aggiuntive per acqua e cibo (praticamente obbligatori), l’affitto delle masserie-capanne-baracche, l’acquisto di medicine in caso di malessere Dato, quest’ultimo, da tenersi presente, considerando il fatto che il 74% degli impiegati sotto caporale arriva a fine stagione in condizioni di salute carenti.
Ad aggravare la situazione contribuiscono poi il sovraccarico di lavoro, l’esposizione alle intemperie, l’assenza di accesso all’acqua corrente, che riguarda il 64% dei lavoratori, e ai servizi igienici, che riguarda il 62%.
Narcomafie, 23 Feb 2016
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