Checco Zalone |
Il nuovo
film del comico pugliese, uscito il 1 gennaio, sta battendo tutti i record di
incasso. Presentato da Pietro Valsecchi, prodotto da Taodue film, distribuito
da Medusa: un lancio straordinario di Capodanno 2016 che più non si poteva
ambire al botteghino, con oltre mille copie in distribuzione. Code lunghe e
proiezioni nelle multisale ogni mezzora. Checco Zalone: "Io non voglio
fare analisi sociologiche sul nostro Paese, sul posto fisso, sul degrado, sul
berlusconismo, su tutto quello che hanno scritto in questi giorni i giornali,
voglio solo far ridere". Quo vado? lo abbiamo appena visto. File
lunghissime di giovani, di genitori che accompagnano i figli neppure
adolescenti. Uno spettacolo che ormai si ripete, almeno nel cinema italiano,
soltanto con i film di Checco Zalone. Un talento puro che mette nella giusta
ombra presunti comici alla Pieraccioni o Siani o Ficarra e Picone, Panariello e
i vetusti “natalizi” De Sica e Boldi.
Pertanto,
onde evitare di fare analisi ad un film volutamente comico, niente sciccheria e
puzza sotto il naso o discriminazioni fine a se stesse, anche perché Zalone
riderebbe di tutto questo: del resto gli incassi planetari gli danno ragione,
mentre aiutano l’industria e l’economia cinematografica.
Tuttavia, Quo
vado? rimane un bel film-tv, con una buona sceneggiatura e diligentemente
diretto da Gennaro Nunziante (barese come Zalone, e suo regista dagli esordi),
con qualche parolaccia di troppo strappa-risate “popolari”, che calzano nel suo
personaggio. Pertanto, va detto che a Troisi o a Benigni o allo stesso Sordi
(cui Zalone guarda come al suo mito) non scappavano parolacce per riempire
quegli spazi vuoti di ritmica per strappare la risata “popolare”.
Eppure oggi
Zalone è l’unico vero estro in circolazione, recita canta scrive e imita, con
partiture che addirittura anticipano o sono specchio dei tempi: sa guardare con
brillantezza alla contingenza; ha trattato con gusto finora di gay e
causticamente di Lega, di terrorismo islamico ben prima che ci toccasse da
vicino; ed oggi parla di lavoro e posto fisso da “prima repubblica” che “non
si scorda mai” (come canta nel refrain del film, alludendo a Celentano),
denunciando con una propria levità quella che i sociologi (e persino gli
antropologi) definirebbero come un male endemico di una società malata di
corruzione, di familismo amorale e quant’altro, che la memoria dal dopoguerra
attribuiva alla raccomandazione di stampo inizialmente solo democristiano..
Ma Zalone è
efficace (e qui il merito del film) quando sa trattare sardonicamente il “posto
fisso” come quel male necessario di una Italietta (e un Sud) avvezza più
al circolo vizioso del modus vivendi e “lascia correre” che invece al guardare
lontano, ignorando che poi i guai li avrebbero pagati le nuove generazioni.
Come è del resto accaduto.
Checco del
film è un ragazzo che ha realizzato il sogno infantile della sua vita: vive con
i genitori, (il mammismo alla base) rimane fidanzato e sarà poi amante
perfetto, un tonto che sembra non affronti le responsabilità, riesce a ottenere
un posto fisso nell’ufficio provinciale caccia e pesca, fino a quando il
governo decreta il taglio delle Province. E lui si ostina, nonostante le
pressioni di una lauta buonuscita in cambio delle dimissioni, a credere nel suo
posto regalatogli (come era consuetudine) dall’onorevole di turno (l’ormai
“rottamato” Lino Banfi, pugliese anche lui).
C’è dunque
la sua Puglia nel film, come lo è l’ottimo Maurizio Micheli (nel ruolo del
padre di Checco, pensionato statale pure lui) e le bellissime cittadine come
Conversano. Ma c’è pure la Sardegna, la Calabria (con i luoghi comuni di ‘nduja
e ‘ndrine) e la civilissima Norvegia. E c’è ecologia e fratellanza fra i
popoli, cui Zalone sa guardare con una certa armonia narrativa. La sua maschera
è il contorno necessario e subliminale di ogni battuta nella struttura del film
che talvolta risente di qualche caduta cui va in soccorso la parolaccia.
Quando si
dice cosa resterà di un film: ebbene, alcuni punti geniali ci sono eccome, come
la “pugnetta” all’orso polare, o la spiegazione davvero efficace fra corruzione
e concussione, la famiglia allargata e multietnica. Zalone recita se stesso,
dal cabaret di Zelig fino al cinema che ne amplifica la portata, sebbene (lo
ribadiamo) il cinema deve saper ambire all’oltre …
Armando Lostaglio
http://www.altritaliani.net, 5 gennaio
2016
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