Totò Cuffaro |
di NICOLA CIPOLLA
C’è un proverbio siciliano che dice: “A carzara nun mancia
li cristiani” nel senso di persone di
rispetto a cui persino la “Madonna” in processione si inchina. La
stampa sta utilizzando il materiale elaborato da Cuffaro e dai suoi collaboratori
e avvocati, non certo a titolo gratuito, per presentare in una veste buonista
l’ex detenuto nel momento della sua liberazione.
Due frasi di Cuffaro: “Non posso negare di avere sbagliato
ma ho pagato solo io …” e poi: “Dove sono finiti i cuffariani? Io credo
che l’area moderata si possa riunire e sono prono, se me lo chiedono, a
dare dei consigli”, ipotizzano Cuffaro bis, invito raccolto dal redivivo
Miccichè (quello del 61 a 0) fino a Renato Schifani e Saverio Romano e così
via.
Queste dichiarazioni annunciano il pericoloso reingresso nella scena politica del Cuffaro, con
un ricatto di stile mafioso nei
confronti dei suoi complici e sostenitori a Palermo, in Sicilia e a Roma. Il suo percorso politico lo ha portato, prima
a rompere con il centro destra
vittorioso, che lo aveva sistemato all’Ass. all’Agricoltura, per
favorire l’ascesa dell’esponente “migliorista” Capodicasa alla Presidenza regionale
(sempre restando padrone dell’Assessorato), e poi, dopo pochi mesi, a
utilizzare il ritiro del sostegno al Capodicasa in cambio della promessa, poi
realizzata, della Presidenza della Regione da parte di Berlusconi e compagni.
Negli Stati Uniti Al Capone, responsabile di centinaia di omicidi e di reati
di mafia, fu condannato, finalmente, soltanto per “evasione fiscale”, l’unico
reato per il quale i tribunali americani poterono, sulla base di indagini
particolari, incastrarlo. Analogamente Totò
Cuffaro, con un processo svoltosi
attraverso lunghi anni nelle varie istanze di giurisdizione, è stato condannato
“soltanto” per avere avvertito alcuni capi mafiosi di indagini a loro carico, notizie che aveva ricevuto per la sua carica e
documentate attraverso intercettazioni telefoniche. Di tutto il resto delle
attività del Cuffaro il Tribunale non lo ha potuto giudicare e assumere i
provvedimenti del caso perché, pur essendo conclamata dalla stampa e
dall’opinione pubblica la sua responsabilità in atti che pesano ancora oggi, e
potrebbero pesare per lunghi anni ancora sulla vita e sull’economia del popolo
siciliano, non c’erano al momento dell’inizio del processo riscontri altrettanto validi.
Voglio portare un esempio che riguarda le energie
rinnovabili e l’acqua pubblica, proprio nel momento in cui, dopo la conferenza
di Parigi, questi temi sono all’ordine del giorno dell’umanità intera per
evitare il rischio del disastro ecologico irreversibile.
E’ stato condannato con sentenza passata in giudicato e
sottoposto a confisca di oltre un miliardo di euro un capomastro alcamese Vito Nicastri,
che ha ottenuto, prima da Cuffaro e poi da Lombardo, concessioni eoliche e
solari fotovoltaiche che poi ha ceduto a sua volta a grossi complessi
oligopolistici italiani e stranieri.
Nicastri è stato condannato in quanto prestanome di Matteo
Messina Denaro latitante da decenni e successore, come capo riconosciuto dalla
mafia, di Riina e di Provenzano.
Per quanto riguarda l’acqua pubblica Cuffaro
e Lombardo, luogotenenti dell’ex ministro Calogero Mannino,
hanno concesso, in modo truffaldino per pochi spiccioli, alla società Veolia,
multinazionale francese dell’acqua, la maggioranza della società pubblica
regionale, “Siciliacque”. Veolia attraverso questa società impone un prezzo di
monopolio agli acquedotti comunali.
Ultimamente ha
destato clamore il caso della crisi
idrica che ha subito il Comune di
Messina. Il sindaco Accorinti, del
Movimento NoPonte ed ambientalista, si è
visto costretto a rinunziare all’uso dell’acqua del maggiore acquedotto che poteva
garantire la piena e totale sufficienza idrica del Comune, per non sottostare al
prezzo imposto da Veolia superiore di oltre il 50% a quello richiesto in
bolletta dall’amministrazione comunale. La frana dell'acquedotto pubblico di Fiumefreddo, all'altezza di
Calatabiano, frana indotta dal mutamento climatico che ha travolto anche
abitazioni che erano state costruite e abitate da decenni sul costone
sovrastante, ha provocato una lunga interruzione idrica con grandi disagi per la popolazione.
E si potrebbe continuare con la gestione dell’azienda
forestale, delle altre aziende pubbliche come l’ERAS, dell’assunzione di
personale e così via.
Se Cuffaro, invece di lanciare avvertimenti ricattatori,
confessasse questi suoi crimini ottenendo i benefici riservati ai pentiti, si potrebbe facilitare la revisione e l’annullamento
delle concessioni eoliche e fotovoltaiche e l’eliminazione di Veolia dalla
gestione di “Siciliacque”. Ciò naturalmente non avverrà e allora per la
magistratura, per tutte le forze ambientaliste, per il Parlamento siciliano (in questi ultimi due anni di legislatura) e
per lo stesso Crocetta, (che ha, ad esempio, tuonato contro Veolia in occasione
dell’approvazione parziale del Progetto di legge di iniziativa popolare
promosso dal “Forum per l’acqua pubblica e dei beni comuni”) si delinea una fase che può sconfiggere il disegno di
Cuffaro e dei suoi complici e creare la prospettiva per un rilancio dell’Autonomia siciliana che nei
suoi inizi, bisogna ricordarlo, fu capace di realizzare l’unica Riforma Agraria
della Repubblica e soprattutto, attraverso l’Ente Siciliano dell’Elettricità, il primo Ente pubblico della storia d’Italia
del settore dell’utilizzazione idroelettrica, d’irrigazione e ora del consumo
civile con oltre un miliardi di mc invasati nelle dighe.
Un ruolo decisivo, in questo processo, potrà avere il “Comitato per la conversione
ecologica della Sicilia” se saprà mobilitare, sotto la guida dell’ANCI, la stragrande maggioranza
dei Comuni siciliani che hanno adottato Piani Energetici Comunali, capaci di
superare il 100% dei consumi di elettricità, gas e carburanti e, d’accordo con
i sindacati, realizzare la trasformazione, come è avvenuto a Gela, delle
raffinerie e delle centrali elettriche di energie fossili in aziende che producono
biofuel e un domani anche biocherosene con l’aumento dell’occupazione. La
Sicilia diventerebbe così un esempio per
tutta l’area del Mediterraneo per utilizzare le poche aperture contenute nei
deludenti, per altro verso, accordi di
Parigi per salvare il pianeta dal disastro ambientale irreversibile.
Nicola
Cipolla
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