di AGOSTINO SPATARO
“Amico degli
amici”. Con questa
espressione, basata su un ambiguo concetto di trasferimento dell’amicizia, si
sogliono indicare personaggi equivoci, malandrini. Quando è nata? Chi la usò
per primo? Difficile
rispondere con precisione. Probabilmente, proviene da un documento storico,
risalente al 1290, citato da Michele Amari (in “Biblioteca arabo-sicula”). Mi riferisco al trattato di amicizia,
sottoscritto il 25 aprile di quell’anno, fra il sultano Al-Malik Mansur e
Alfonso di Aragona (detto “il lione terribile”) e dal fratello
Giacomo, principe della Sicilia, nel quale Alfonso fece mettere per iscritto il
seguente giuramento “sarò amico degli amici del Sultano al Malik
al Mansur e degli amici dei suoi figlioli e sarò nemico dei loro nemici”.
Sono
trascorsi circa 700 anni, è certuni sono ancora fermi a questo giuramento
vindice e barbarico.
La Sicilia
dei “Vicerè”
“Vostra
Eccellenza giudica obbrobriosa l’età nostra, né io le dirò che tutto vada per
il meglio; ma è certo che il passato par molte volte bello solo perché è
passato… L’importante è non lasciarsi sopraffare…
Io mi
rammento che nel Sessantuno, quando lo zio duca fu eletto la prima volta
deputato, mio padre mi disse: “Vedi? Quando c’erano i Vicerè, gli Uzeda erano
Vicerè, ora che abbiamo i deputati, lo zio siede in Parlamento…”
(da “ I Vicerè” di Federico de Roberto)
Osservo che
il romanzo di De Roberto apparve nel 1882 anticipando, di circa 60 anni e con
dovizia di analisi, la teoria del trasformismo politico dell’aristocrazia
siciliana esaltata nel “Il gattopardo”
di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
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