I NOMI e le FOTO degli arrestati
CORLEONE, 20
novembre - Nella mattinata odierna, i Carabinieri del Nucleo Investigativo di
Monreale e della Compagnia di Corleone, hanno eseguito sei fermi di indiziato
di delitto nei confronti di altrettanti presunti boss e gregari, indagati per il
reato di associazione per delinquere di stampo mafioso, danneggiamento,
illecita detenzione di armi da fuoco. I provvedimenti odierni arrivano a
conclusione di una complessa ed articolata indagine sul mandamento mafioso di
Corleone, coordinata dalla Dda di Palermo (Procuratore aggiunto Leonardo
Agueci, Sostituto Procuratore Sergio Demontis Caterina Malagoli e Gaspare
Spedalele. I provvedimenti scaturiscono da un’attività investigativa sviluppata
in prosecuzione delle indagini denominate Grande Passo e Grande Passo 2, che
tra il settembre 2014 ed il gennaio del 2015, avevano colpito gli esponenti
delle famiglie mafiose di Corleone e Palazzo Adriano.
Le
acquisizioni investigative hanno permesso di individuare il capo mandamento in
Rosario Lo Bue, fratello di Calogero, già condannato per il favoreggiamento di
Bernardo Provenzano, nonché di ricostruire l’assetto del mandamento mafioso di
Corleone (uno dei più estesi) ed in particolare delle famiglie mafiose operanti
sul territorio dell’Alto Belice dei Comuni di Chiusa Sclafani e Contessa
Entellina. Rosario Lo Bue era già stato tratto in arresto nel 2008 nel corso
dell’operazione “Perseo”. Successivamente assolto in via definitiva in virtù
dell’inutilizzabilità delle intercettazioni, Lo Bue faceva immediato rientro a
Corleone.
Nel corso
delle indagini si è dimostrato essere capo assolutamente carismatico e fautore
di una linea d’azione prudente, continuando così nella linea di comando
lasciatagli da Bernardo Provenzano. Proprio questo suo modo di condurre le
attività del mandamento ha creato non poche fibrillazioni in seno alla famiglia
mafiosa di Corleone. In particolare Antonino Di Marco, arrestato a settembre
2014, da sempre ritenuto vicino alle posizioni tenute dall’altro storico boss
corleonese Salvatore Riina, in più occasioni aveva modo di lamentarsi del modo
con il quale Rosario Lo Bue gestisse gli affari dell’organizzazione.
In tale
contesto nel corso dell’indagine emergeva come Vincenzo Pellitteri e Pietro
Paolo Masaracchia, capo della famiglia di Palazzo Adriano, arrestato nel
settembre 2014, nutrissero l’ambizione di costituirsi in una articolazione
criminale autonoma, distaccando i propri territori di pertinenza ed influenza,
ossia Palazzo Adriano, Chiusa Sclafani e Contessa Entellina, dal mandamento mafioso
di Corleone, con la convinzione di creare un nuovo mandamento.
Queste
divergenze tra soggetti riconducibili alle storiche famiglie Riina – Provenzano
si manifestavano allorquando i Lo Bue tentavano invano di estromettere la
famiglia Di Marco dalla gestione di alcuni terreni al confine tra Monreale e
Corleone, in località Tagliavia, estesi per circa due ettari. Per dirimere
questa controversia e per ristabilire l’ordine, si richiedeva l’intervento in
prima persona di Ninetta Bagarella, moglie di Salvatore Riina, la quale, con
ferma autorevolezza, rimproverava il capo mandamento.
In
conclusione è stata accertata tuttora l’esistenza delle due anime contrapposte
all’interno dell’organizzazione criminale, storicamente patrocinate da Bernardo
Provenzano e Salvatore Riina.
Inoltre
veniva nuovamente acclarata la costante e rigida applicazione di una
fondamentale ed inderogabile regola di Cosa Nostra, ovvero quella di
garantire il sostentamento economico agli affiliati detenuti, a maggior ragione
se il sostentamento è a favore dei familiari del capo indiscusso
dell’associazione mafiosa, Salvatore Riina.
In passato,
già nelle indagini “Apice” e “Grande Passo” venivano documentati episodi
concernenti il costante sostentamento alla famiglia Riina, attraverso l’elargizione
di somme di denaro.
Le recenti
attività hanno rivelato l’elargizione di ulteriori contributi di solidarietà a
favore dei familiari di Riina, in specie a favore del figlio Giuseppe
Salvatore, a cui Pietro Paolo Masaracchia faceva pervenire, almeno in una
circostanza, una somma di denaro.
Nell’agosto
2014 veniva ricostruita una riunione di mafia nel corso della quale Lo Bue
Rosario nominava Vincenzo Pellitteri quale reggente della famiglia mafiosa di
Chiusa Sclafani in sostituzione del vecchio rappresentante Gaspare Geraci, oggi
89enne, e quindi impossibilitato a gestire in prima persona gli affari della
famiglia mafiosa.
Nella
gestione dell’organizzazione operante a Chiusa Sclafani, Pellitteri poteva
contare dell’apporto del figlio Salvatore, 28 anni, e dei nipoti Roberto e
Salvatore, 39 anni. Per quanto riguarda Contessa Entellina è stato accertato
che non operando sul territorio una vera e propria famiglia mafiosa, Pietro
Pollichino, organicamente inserito nella famiglia di Chiusa Sclafani, era stato
individuato responsabile d’area sul quel territorio. L’associazione mafiosa ha
continuato a mantenere saldamente in mano il controllo del territorio
esercitando una costante pressione sul tessuto sociale, attraverso i classici
metodi intimidatori del danneggiamento di mezzi d’opera e degli incendi. Sono
tuttora in corso indagini volte a verificare ulteriori attività illecite
riconducibili agli indagati.
Nel corso
delle indagini veniva ricostruito il progetto omicidiario in danno di una
vittima ancora non identificata. L’omicidio veniva commissionato per 3.000 euro
da due commercianti di Chiusa Sclafani a Vincenzo Pellitteri e Pietro Paolo
Masaracchia, previa autorizzazione ricevuta da Gaspare Geraci. I preparativi
per la commissione dell’omicidio, il cui movente è da ricondurre a dissidi
privati intercorsi tra i committenti e la vittima, venivano prontamente
interrotti dagli investigatori e dalla magistratura il 23 settembre 2014,
allorquando Masaracchia, subito dopo eseguito un ultimo sopralluogo individuando
il luogo preciso dove avrebbe dovuto commettere l’omicidio, veniva sottoposto a
fermo nell’ambito dell’operazione “Grande Passo”.
Emergeva,
inoltre, l’interesse di alcuni imprenditori romani del settore
lattiero/caseario, non potuti identificare, alla raccolta del latte della zona
dell’Alto Belice, da convogliare presso l’impianto sito in contrada Noce di
proprietà del Comune di Corleone per il successivo trasporto a Roma e
l’immissione nella grande distribuzione. Gli imprenditori capitolini si
affidavano ad un altro imprenditore agricolo trapanese, Giovanni Impiccichè.
Per favorire
il gruppo di imprenditori romani Impiccichè si rivolgeva, probabilmente in
virtù di pregressa conoscenza, a Pietro Campo, già condannato per associazione
mafiosa, ritenuto esponente di vertice della famiglia mafiosa di Santa
Margherita Belice, il quale a sua volta decideva di avvalersi sul territorio di
interesse di Vincenzo Pellitteri, reggente della famiglia mafiosa di Chiusa
Sclafani, per la realizzazione del progetto.
A tal fine,
Pellitteri pianificava un sopralluogo presso la citata struttura sita in
contrada Noce di Corleone, ove in il 3 settembre 2014 realizzava un incontro
con Leoluchina, Savona, sindaco di Corleone, Giovanni Savona, fratello del
primo cittadino, Giovanni Impiccichè e Sebastiano Tosto, responsabile dell’area
palermitana del comitato esecutivo del Distretto lattiero-caseario regionale,
fratello di Salvatore Tosto, già condannato per associazione mafiosa in quanto
ritenuto vicino a Salvatore Riina.
In verità, il
progetto non si realizzava forse perché la struttura di contrada Noce veniva
ritenuta sproporzionata rispetto al quantitativo di latte che nel circondario
si sarebbe potuto raccogliere, per cui i costi di gestione venivano ritenuti
eccessivi e non convenienti.
La vicenda
comunque confermava nello sviluppo delle sue dinamiche il vincolo associativo
che lega gli indagati e la loro capacità di condizionamento territoriale ed
ambientale.
Nel giugno
scorso venivano anche intercettate delle conversazioni dalle quali emergeva che
il gruppo criminale di Chiusa Sclafani stava formando un piccolo arsenale di
armi nascoste in una località ancora da individuare per compiere delitti.
Tenuto conto dei progetti omicidiari e delle pericolosità sociale dimostrata
dagli appartenenti a Cosa Nostra, la Dda di Palermo ha ritenuto
necessario procedere ai fermi del potenziale gruppo di fuoco e dei vertici
dell’organizzazione al fine di evitare la commissione di reati più gravi.
ARRESTATI
- LO BUE ROSARIO SALVATORE, NATO A CORLEONE (PA) IL 09.04.1953, IVI RESIDENTE, PREGIUDICATO, PASTORE, CAPO DEL MANDAMENTO DI CORLEONE;
- PELLITTERI VINCENZO, NATO A CHIUSA SCLAFANI (PA) IL 26.04.1952, IVI RESIDENTE, CON PRECEDENTI DI POLIZIA, PASTORE, CAPO DELLA FAMIGLIA MAFIOSA DI CHIUSA SCLAFANI;
- PELLITTERI ROBERTO, NATO A CHIUSA SCLAFANI (PA) IL 24.07.1990, IVI RESIDENTE, OPERAIO, INCENSURATO, FIGLIO DI VINCENZO;
- PELLITTERI SALVATORE, NATO A PALAZZO ADRIANO (PA) IL 25.07.1992, RESIDENTE A CHIUSA SCLAFANI, CON PRECEDENTI DI POLIZIA, OPERAIO, FIGLIO DI VINCENZO;
- PELLITTERI SALVATORE, NATO A CORLEONE (PA) IL 30.08.1976, RESIDENTE A CHIUSA SCLAFANI, CON PRECEDENTI DI POLIZIA, OPERAIO, NIPOTE DI VINCENZO;
- POLLICHINO PIETRO, NATO A CHIUSA SCLAFANI (PA) IL 23.08.1941, RESIDENTE A CONTESSA ENTELLINA (PA), CON PRECEDENTI DI POLIZIA, PASTORE, REFERENTE TERRITORIALE DI CONTESSA ENTELLINA;
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