di SANDRA
FIGLIUOLO
Imprenditori
sempre più «resistenti» e «pronti a denunciare» le richieste di pizzo, assieme
al «contrasto serrato delle forze dell’ordine» avrebbero reso la vita dura alla
Cosa nostra di oggi
PALERMO. «Ora appena tu chiami a uno e
lo stringi e gli dici: ”Senti, tu devi portare le cose che sei andato a
prendere”, appena tu non lo lasci stare… Puoi andarti a fare la valigia a
casa», cioè finisci in carcere. Imprenditori sempre più «resistenti» e «pronti
a denunciare» le richieste di pizzo, assieme al «contrasto serrato delle forze
dell’ordine» avrebbero reso la vita dura alla Cosa nostra di oggi, «non più in
grado di effettuare lo stesso controllo del territorio al quale aveva abituato
la popolazione» in passato, anche nelle sue roccaforti storiche, come quella di
Corleone.
Dati che non
emergono in questo caso da una relazione della Commissione antimafia, da
un’informativa dei carabinieri o dalle analisi di magistrati ed esperti: a
parlare delle difficoltà con le quali boss e gregari sarebbero costretti a fare
i conti sul territorio è infatti Carmelo Gariffo, nipote del boss Bernardo
Provenzano, già condannato anche lui per mafia, che, tornato libero - secondo
gli investigatori - avrebbe voluto reinserirsi nell’organizzazione criminale,
ma sarebbe stato soppiantato da Rosario Lo Bue, arrestato venerdì con il terzo
troncone dell’operazione «Grande passo».
GdS, 22
Novembre 2015
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