domenica, novembre 29, 2015

Corleone. Asse fra cosche per gli affari: "corleonesi" alleati degli agrigentini



Il caseificio di contrada Noce a Corleone
di SALVO PALAZZOLO
C'era un gran via vai di mafiosi fra Corleone e la provincia di Agrigento. Il boss Vincenzo Pellitteri utilizzava l'auto di un amico per arrivare fino a un ovile sperduto tra le campagne di Santa Margherita Belice. Ma i suoi viaggi non sono passati inosservati, grazie a un Gps piazzato dai carabinieri del nucleo investigativo di Monreale dentro quella vettura. Così si è scoperto che uno dei nuovi padrini del mandamento di Corleone incontrava il patriarca della mafia agrigentina Pietro Campo. Pellitteri era orgoglioso della rinnovata alleanza fra le due province. Era nata con la presentazione di un altro vecchio di Cosa nostra, Gaspare Geraci, don Aspano, capomafia di Chiusa Sclafani. «Don Aspano mi ha portato - così Pellitteri raccontava il primo incontro nell'ovile gliel'ha detto a Pietro Campo davanti a me. Gli ha detto, tu ne conosci due o tre di cristiani, ma l'interlocutore di tutte queste situazioni vedi che è solo lui».

Il 31 agosto 2014, Pellitteri tornò nell'ovile di Campo per discutere di un affare che stava a cuore ad alcuni imprenditori romani, la trasformazione del caseificio di proprietà del Comune di Corleone in una grande centrale del latte. Due giorni dopo, Pellitteri raccontava a suoi l'ennesimo summit: «No Pietro Campo... il numero non lo so se lo ha perché mi ha detto, telefoni niente». Era prudente il vecchio padrino di Agrigento, già arrestato nel 2002. Ma un numero Pellitteri glielo lasciò comunque: il suo. «Così se chiama questo Impiccichè gli dice che chiama lui e gli do appuntamento ». Giovanni Impiccichè, imprenditore agricolo e presidente del consiglio di amministrazione del Consorzio per la tutela dei formaggi tipici di Trapani era la persona a cui gli imprenditori romani si erano rivolti. E lui - scrivono i pm Sergio Demontis e Caterina Malagoli - si era rivolto a Pietro Campo, che aveva convocato il boss di Corleone per attivare il contatto.
Storia emblematica di come Cosa nostra continua ad esercitare la sua antica funzione di mediare. Pellitteri era davvero la persona giusta, parlò subito con il suo amico Giovanni Savona, il fratello del sindaco di Corleone. E fu organizzato un sopralluogo. Così, poi, Pellitteri poteva commentare dopo l'ennesimo viaggio nell'ovile: «Niente, per quella cosa al Comune, tutto a posto, glielo sono andato a dire». Il boss di Corleone aveva stretto rapporti anche con un altro mafioso della provincia di Agrigento, residente a Bivona. C'erano nuovi affari in ballo. E con gli agrigentini, i corleonesi avrebbero parlato anche del progetto di attentato al ministro Angelino Alfano. Ce n'è abbastanza per parlare di un nuovo asse mafioso fra la provincia di Palermo e quella di Agrigento. Già cinque anni fa, un giovane boss di grande carisma, Michele Sciarabba, andava nell'Agrigentino per incontrare un grande amico di Pietro Campo, Leo Sutera. Quella volta, Agrigento era lo snodo delle comunicazioni fra Palermo e Trapani, fra Palermo e il superlatitante Matteo Messina Denaro.
La Repubblica, 29 novembre 2015

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