Il caseificio di contrada Noce a Corleone |
C'era un
gran via vai di mafiosi fra Corleone e la provincia di Agrigento. Il boss
Vincenzo Pellitteri utilizzava l'auto di un amico per arrivare fino a un ovile sperduto
tra le campagne di Santa Margherita Belice. Ma i suoi viaggi non sono passati
inosservati, grazie a un Gps piazzato dai carabinieri del nucleo investigativo
di Monreale dentro quella vettura. Così si è scoperto che uno dei nuovi padrini
del mandamento di Corleone incontrava il patriarca della mafia agrigentina
Pietro Campo. Pellitteri era orgoglioso della rinnovata alleanza fra le due
province. Era nata con la presentazione di un altro vecchio di Cosa nostra,
Gaspare Geraci, don Aspano, capomafia di Chiusa Sclafani. «Don Aspano mi ha
portato - così Pellitteri raccontava il primo incontro nell'ovile gliel'ha
detto a Pietro Campo davanti a me. Gli ha detto, tu ne conosci due o tre di
cristiani, ma l'interlocutore di tutte queste situazioni vedi che è solo lui».
Il 31 agosto
2014, Pellitteri tornò nell'ovile di Campo per discutere di un affare che stava
a cuore ad alcuni imprenditori romani, la trasformazione del caseificio di
proprietà del Comune di Corleone in una grande centrale del latte. Due giorni
dopo, Pellitteri raccontava a suoi l'ennesimo summit: «No Pietro Campo... il
numero non lo so se lo ha perché mi ha detto, telefoni niente». Era prudente il
vecchio padrino di Agrigento, già arrestato nel 2002. Ma un numero Pellitteri
glielo lasciò comunque: il suo. «Così se chiama questo Impiccichè gli dice che
chiama lui e gli do appuntamento ». Giovanni Impiccichè, imprenditore agricolo
e presidente del consiglio di amministrazione del Consorzio per la tutela dei
formaggi tipici di Trapani era la persona a cui gli imprenditori romani si
erano rivolti. E lui - scrivono i pm Sergio Demontis e Caterina Malagoli - si
era rivolto a Pietro Campo, che aveva convocato il boss di Corleone per
attivare il contatto.
Storia
emblematica di come Cosa nostra continua ad esercitare la sua antica funzione
di mediare. Pellitteri era davvero la persona giusta, parlò subito con il suo
amico Giovanni Savona, il fratello del sindaco di Corleone. E fu organizzato un
sopralluogo. Così, poi, Pellitteri poteva commentare dopo l'ennesimo viaggio
nell'ovile: «Niente, per quella cosa al Comune, tutto a posto, glielo sono
andato a dire». Il boss di Corleone aveva stretto rapporti anche con un altro
mafioso della provincia di Agrigento, residente a Bivona. C'erano nuovi affari
in ballo. E con gli agrigentini, i corleonesi avrebbero parlato anche del
progetto di attentato al ministro Angelino Alfano. Ce n'è abbastanza per
parlare di un nuovo asse mafioso fra la provincia di Palermo e quella di
Agrigento. Già cinque anni fa, un giovane boss di grande carisma, Michele
Sciarabba, andava nell'Agrigentino per incontrare un grande amico di Pietro
Campo, Leo Sutera. Quella volta, Agrigento era lo snodo delle comunicazioni fra
Palermo e Trapani, fra Palermo e il superlatitante Matteo Messina Denaro.
La
Repubblica, 29 novembre 2015
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