Giovanni Panepinto |
di GIOVANNI PANEPINTO
Si decide
sull’acqua l’ultimo sprezzo della dignità costituzionale del nostro Statuto,
approvato dai padri costituenti contemporaneamente alla Carta Costituzionale. Sulla
riforma del servizio idrico si gioca un grande affare, in Italia e in Sicilia: tra
novelle Cassandre e multinazionali dei salotti della finanza si
consuma l’ennesimo scontro sul grande affare dell’acqua, con il governo
nazionale che promuove l’impugnativa per la sostanziale abrogazione della legge
regionale 19 dell’agosto scorso, la cosiddetta “riforma dell’acqua pubblica”. Ma
i redattori dell’impugnativa promossa nel Consiglio dei Ministri del 10 ottobre
2015 sono sfacciatamente in malafede. Il richiamo, infatti, alla tutela della
concorrenza è lo stesso trucco messo in campo dalla legge “Fitto-Berlusconi”
(legge poi bocciata dalla Corte Costituzionale) per svuotare il risultato
referendario del 2011.
La
Regione Siciliana ha potestà legislativa esclusiva in materia di acqua pubblica
e affermare il contrario significa tutelare gli interessi privati piuttosto che
quelli di carattere generale. Andiamo al merito dei rilievi. La frammentazione
dell’ambito ottimale? Va detto senza giri di parole che l’assessorato
all’Energia (che ha vessato e commissariato i comuni che hanno difeso il
risultato referendario) non è stato in grado, nel corso dell’approvazione della
legge, di presentare uno studio di bacini idrografici omogeneo. I bacini
idrografici omogenei e i Comuni che ne fanno parte devono costituire il governo
del sistema idrico integrato. Il primo comma dell’articolo 3 affida proprio
all’assessore il compito di individuare, entro 60 giorni dall’approvazione
della legge, ambiti territoriali ottimali coincidenti con le zone omogenee dei
bacini idrografici. Questo è il principio fondante della Legge Galli.
L’idea
dell’ambito unico rischia di incarnare la stessa filosofia del sovrambito, che
nel 2014 portò il governo della Regione a “regalare” ad una multinazionale
francese tutto il sistema idrico dell’isola stabilendo contrattualmente il
costo dell’acqua all’ingrosso ad € 0,59 circa a metro cubo. Il prezzo più caro
del mondo. A tal proposito l’assessorato non ha mai dato attuazione alle
disposizioni dell’articolo 49 della legge finanziaria del 2010. Non sappiano se
l’assessore abbia provveduto a verificare la conformità delle norme del
contratto stipulato con Siciliacque con l’ordinamento giuridico nazionale e
comunitario ai sensi dell’articolo 6 della legge. Nella Regione Friuli Venezia
Giulia è previsto che le tariffe siano stabilite dagli ambiti territoriali
ottimali. L’autorità nazionale dell’Energia e del Gas rivendica una potestà
esclusiva che non le è riconosciuta da nessuna norma costituzionale o dal
sistema giuridico comunitario. La sentenza della Corte Costituzionale n. 255
del 2014 a firma del Presidente Mattarella, cancellando la figura del
Commissario dello Stato riconosce il peso costituzionale dell’Autonomia
Speciale della Sicilia e ribadisce il rango costituzionale dello Statuto.
La Sicilia
ricorra dunque alla Corte Costituzionale per difendere la propria riforma e
nessuno pensi di riportare in aula un testo rimaneggiato per accontentare la
lobby dell’acqua.
Quanto, poi,
alle esternazioni del mio amico Davide Faraone, gli suggerisco di analizzare
cosa è accaduto in Sicilia: gli investimenti nel settore idrico sono al palo
perché, così come nei rifiuti, interi apparati della Regione non hanno mai
controllato nulla. Sono falliti i gestori di Palermo e Siracusa lasciando
debiti e disoccupati. In Sicilia, la regione più povera d’Italia, l’acqua è la
più cara d’Italia. L’articolo 9 della legge, se applicato, farebbe partire i
lavori per rifare le reti idriche e adeguare i depuratori. Ogni ritardo
nell’attuazione del predetto articolo comporta danni alla Sicilia e la
responsabilità è in carico al vertice politico e al vertice amministrativo
dell’assessorato all’Energia. La questione “acqua” divide i due modi di
intendere la politica. L’assessore Contrafatto ha dichiarato in un’intervista
che l’importante è garantire l’acqua ai cittadini. Sono d’accordo, ma a quale
prezzo? Io e lei guadagniamo molto di più di un pensionato con 500 euro al
mese, per cui dobbiamo garantire che il concetto di acqua pubblica coincida con
l’accessibilità a questo bene primario per tutti, a tariffe basse. Bisogna
abbattere i costi all’ingrosso dell’acqua e della distribuzione. Ciò può
avvenire solo con la gestione pubblica da parte dei comuni. Non c’è residualità
ideologica ma è l’etica della politica e il principio fondamentale del Partito
Democratico. Sono certo che nelle sedi politiche del PD regionale e nazionale
ci si potrà confrontare su questo tema. La legge è in vigore e deve essere
rispettata e fatta rispettare dall’assessore, dal dirigente generale e dai
funzionari. Il presidente Crocetta, in nome e per conto della maggioranza dei
siciliani, resista davanti la Corte Costituzionale per difendere l’Autonomia e
lo Statuto della Regione. L’acqua è un diritto per tutti, non un affare per
pochi.
Mercoledì, 21 Ottobre 2015
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