Da sx: Luciano Silvestri, Enzo Campo, Mario Ridufo |
La Cgil, che assiste i
lavoratori di numeros
e aziende confiscate, chiede l’applicazione di
modelli gestionali che superino i limiti e gli errori di un passato
condizionato da una visione troppo “burocratica” e poco imprenditoriale, ai
fini di una corretta conduzione delle vertenze. Rivendicando
un’esperienza ormai decennale nei sequestri seguiti, il sindacato
propone la sua collaborazione come punto di riferimento nell’elaborazione
tecnica, per evitare che con la confisca definitiva, come accade
nel 90 per cento dei casi, le aziende chiudano. “In un’economia
debole e fragile come la nostra, non possiamo permettere la perdita
di posti di lavoro ma dobbiamo fare di tutto perché queste aziende
abbiano un futuro - ha detto il segretario della Cgil Enzo Campo – Noi
faremo la nostra parte. Con Cisl e Uil e altri soggetti della partecipazione
attiva lavoreremo a un protocollo da sottoporre al Tribunale di Palermo. E
programmeremo iniziative comuni con le associazioni, come è
accaduto per il sit-in di sostegno a Gelato In, a Bagheria. L’idea del
sindacato è di coinvolgere nel coordinamento anche le Rsu delle
aziende”.
L’obiettivo è far si che le quasi 400
aziende sequestrate a Palermo restino in attività. Dopo aver superato
i “costi della legalità”, la messa in regola de dipendenti,
l’evasione contributiva, i permessi sanitari, il passaggio alla confisca
per le aziende che ci arrivano è il più delicato. “Ma non è mai
accaduto che un’azienda sequestrata sia stata messa in condizioni di
partecipare a una gara d’appalto – ha aggiunto il componente di
segreteria Mario Ridulfo – Lo Stato, per fare un esempio, ha investito sull’Ati
Group pagando, in 13 anni, 1 milione in ammortizzatori sociali. Anche per
questo, non è ammissibile fare chiudere le imprese. Spesso alcune aziende
sequestrate, come le Immobiliari, si sono rivolte a ditte esterne per le
manutenzioni e le ristrutturazioni, non attingendo alle aziende edili in
amministrazione giudiziaria. Attorno alle confische di solito scatta il cordone
sanitario della mafia. Noi vogliamo invece creare una rete di protezione ancora
più forte. Un circuito virtuoso in cui l’antimafia aiuti l’antimafia”.
La realtà denunciata dalla Cgil ha
visto il sindacato chiamato a intervenire spesso troppo tardi, amministratori
non disponibili a fornire i dati dei libri contabili delle aziende, e
amministrazioni giudiziarie che nei momenti di difficoltà di un’azienda hanno
scaricato sui lavoratori la responsabilità, spingendoli a costituire
cooperative per tentare di evitare una chiusura o un fallimento.
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