domenica, settembre 27, 2015

Morto Pietro Ingrao, uno dei padri della Repubblica



Pietro Ingrao
Dalle battaglie nel Pci alla presidenza della Camera. I cento anni di vita dell'uomo che di sé diceva: "C'è una cosa che mi definisce: la pratica del dubbio"
"Per noi militanti di sinistra è stato sempre un mito ed un punto di riferimento. La sua pratica del dubbio è un invito valido sempre: significa credere nelle proprie idee ma ammettere che anche nelle idee degli altri possono esserci delle ragioni. Il contrario del dommatismo. E dio sa quanto ce n'è bisogno di questi tempi!"(d.p.)
di ANDREA DI NICOLA
 ROMA - "Volevo la luna", il titolo del suo ultimo libro raccoglie e descrive in modo perfetto i 100 anni di vita di Pietro Ingrao. Rivoluzionario di professione, comunista, intellettuale dei più critici, poeta, appassionato di cinema, uomo delle istituzioni nei momenti peggiori della vita della Repubblica. O anche "eretico senza scisma", secondo la definizione di Fausto Bertinotti. Pietro Ingrao è stato tutto questo e molto altro. Nasce a Lenola il 30 marzo del 1915 ed è a Roma a metà degli anni '30 che inizia la sua lunga attività politica. Dopo la laurea in Giurisprudenza ed in Lettere entra al Centro sperimentale di cinematografia ma la Guerra di Spagna nel 1936 lo strappa alla sua passione: si avvicina ai gruppi antifascisti con altri giovani intellettuali come Lucio Lombardo Radice (di cui sposerà la sorella Laura) e quindi all'organizzazione clandestina del Pci.



Ormai la sua strada è segnata. Durante la Resistenza lavora fra Milano e la Calabria, nel 1947 viene nominato direttore dell'Unità. E in questa veste si trova ad affrontare la grande crisi ungherese del 1956. Il grande cruccio della sua vita. Togliatti schiera il Pci con i russi contro gli insorti ungheresi e mentre grandi intellettuali come Italo Calvino, Eugenio Reale, Antonio Giolitti lasciano il partito Ingrao sta con il movimento comunista internazionale, l'ortodossia sovietica, e il 25 ottobre 1956 firma un'editoriale di fuoco dal titolo che non lascia adito a dubbi: "Da una parte della barricata a difesa del socialismo". Una scelta di cui poi si pentirà amaramente: "L'errore più grande", dirà nel 2001.

Ma, probabilmente, è anche il momento in cui nasce "l'eretico" del comunismo italiano, il dirigente per cui stravederanno i giovani comunisti degli anni '70 e '80 che nei cortei cantavano "Ingrao, Ingrao sei tu il nostro Mao". Da quel momento Ingrao vota a favore della radiazione del gruppo de "Il Manifesto" di cui era il punto di riferimento ideologico ed umano ("Errore persino assurdo. Esitai a rompere per una gretta e anche stupida disciplina di partito"). Eppure fu sempre Ingrao, con meno caratteri di un tweet, nel 1966 all'XI Congresso del Pci a pronunciare la famosa frase: "Non sarei sincero se dicessi a voi che sono rimasto persuaso". Una frase apparentemente diplomatica, in realtà la prima vera rottura pubblica della ritualità leninista. Ed arrivò anche a rivendicare il "diritto al dissenso". E fu sempre lui a pubblicare la notizia del Rapporto Krusciov sulla condanna dello stalinismo mentre Togliatti continuava a tacere e a negare, e a condannare nel 1968 l'invasione di Praga da parte dell'Armata Rossa. Fu sempre minoranza nel vertice del partito ma le sue riflessioni, da quella sul “modello di sviluppo”, alla attenzione da rivolgere al dissenso cattolico e ai movimenti giovanili, sono rimaste patrimonio del Pci prima e dei partiti della sinistra poi.

Poi ci fu la stagione da presidente della Camera, primo comunista sulla poltrona più alta di Montecitorio negli anni bui dal 1976-1979 mentre le bande armate di destra e di sinistra spargevano sangue nel Paese, e il corpo di Aldo Moro fu scaricato dalle Brigate Rosse in un vicolo vicino alle sedi del Pci e della Dc in quel momento alleate nel governo di unità nazionale. Incarico che lasciò nonostante le pressioni di Enrico Berlinguer che lo voleva ancora presidente della Camera. Poi la lunga militanza da presidente del Centro studi per la riforma dello Stato e l'attività da autore. "Masse e potere", del 1976 diventa un libro imprescindibile per una generazione poi nel 1986 il debutto nella poesia con "Il dubbio dei vincitori". Un titolo non casuale per l'uomo che nonostante la granitica militanza comunista ha praticato il dubbio. "Se dovessi dare una definizione di me stesso - disse in un'intervista - la prima cosa che direi è: la pratica del dubbio".

L'ultima sua battaglia è contro lo scioglimento del Pci. Avversa Achille Occhetto ma da comunista non partecipa alla scissione e diventa il leader dell'ala sinistra del Pds. Dal 1992 si allontana dalla Camera dei Deputati, e anche dalla vita attiva di partito ma resterà sempre un punto di riferimento della sinistra inquieta. La lontananza dalla politica attiva non gli impedisce di continuare ad indagare il mondo in continua evoluzione e, quasi centenario, ("uomo dell'altro secolo" si definisce) apre un suo sito internet dal quale saluta i lettori con una poesia di Brecht e con la frase: "Il mondo è cambiato, ma il tempo delle rivolte non è sopito: rinasce ogni giorno sotto nuove forme. Decidi tu quanto lasciarti interrogare dalle rivolte e dalle passioni del mio tempo, quanto vorrai accantonare, quanto portare con te nel futuro".

La Repubblica, 27 settembre 2015

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