Antonio Bassolino |
Antonio Bassolino è rientrato l'altra notte dalle
Dolomiti, dove ha scalato il Putia e ha orgogliosamente postato la foto su
Facebook. A valle, nella sua Napoli che ha altitudini più difficili da scalare,
s'è ritrovato nel pieno di una doppia bagarre: la polemica sulle dichiarazioni
di Rosy Bindi e l'eterna domanda sulla sua candidatura a sindaco. La seconda lo
perseguita. È stato l'argomento politico dell'estate. L'ex-sindaco è stato
tirato per la giacca un po' da tutti. È nata persino una pagina su Facebook che
lo invita a candidarsi. Sua moglie, Annamaria Cartoni, politica e parlamentare
di lunga esperienza, interpellata ha risposto in modo secco; «Abbiamo già
dato».
Male pressioni pubbliche su Bassolino continuano. È evidente che sia
diviso e combattuto. «Sono in riflessione con me stesso e in ascolto della
città» ha spiegato più volte e ripete anche adesso. Ora, presidente, si entra
nel vivo. «Ma per me è prematuro parlarne». Sta ricevendo molte pressioni?
«Dalla società civile e da persone che neanche conosco. Ma questo è sotto gli
occhi di tutti. Però, per piacere lasciamo perdere, parliamo della Bindi». C'è
anche chi come Antonio Polito le sconsiglia di riprovarci. La campagna
elettorale si trasformerebbe in una rissa sul suo periodo da sindaco e governatore
e non sugli anni di Luigi de Magistris. Sarebbe cosi? «Sono argomenti che
appassionano la stampa. Però, questa argomentazione da negativa potrebbe essere
capovolta in positiva. Invito davvero a discutere seriamente sul mio periodo da
sindaco. Per piacere, però, veniamo all'attualità, a quello che è successo e
non a quello che immaginate che succeda». Dirà di no anche se verranno a
chiederglielo con il cappello in mano? «E chi le dice che verranno? Sono
scenari che state facendo voi giornalisti, da soli». Toccherà vederla nel ruolo
di sfinge ancora per molto tempo, va bene. Veniamo alla polemica sulle
dichiarazioni __ della presidente della Commissione Antimafia, Rosy Bindi. Lei
che cosa ne pensa? «Nella discussione, molto aspra, si sono mescolatele legittime
e differenti valutazioni sulla camorra con altre questioni politiche o legate a
polemiche pregresse su altri temi». Ma lei condivide il pensiero della Bindi su
una camorra «costitutiva» della società napoletana? Che cosa pensa delle
dichiarazioni della Bindi? «La Bindi non voleva offendere Napoli e non avrebbe
avuto un motivo per farlo. Ha voluto secondo me, calcare la mano sul fenomeno
camorra e sottolineare la gravita dei fatti accaduti a Napoli negli ultimi mesi
e che la stampa cittadina e " II Mattino" hanno raccontato
diffusamente. È evidente che il termine usato dalla Bindi,
"costitutiva", si presta a discussione. Può dare involontariamente
l'idea di qualcosa di "eterno". Però anche la Bindi sa bene che, come
ci ha insegnato Giovanni Falcone, la mafia, e quindi la camorra, come tutti i
fenomeni umani, ha un inizio e una fine. Ha una propria storicità». + Perché
proprio «costitutiva», allora? «La Bindi l'ha usata come sinonimo di
"forte", di particolarmente grave, anche per lanciare un allarme. In
questo senso la sua valutazione è fondamentalmente giusta». Lei che termine
avrebbe usato? «Avrei usato "strutturale" per far capire che il
radicamento della camorra è profondo, ma anche per dire che le strutture
possono essere modificate, scalfite, vinte in una prospettiva, purtroppo,
lunga». Quindi, secondo lei, la camorra è «strutturale»? Cambia poco. «La
camorra fa parte da molto tempo della realtà napoletana, come la mafia fa parte
da molto tempo della realtà meridionale. Oggi possiamo e dobbiamo aggiungere
che la mafia è diffusa anche in altre parti d'Italia. In Campania, la camorra
ha rafforzato molto la propria presenza. Uno dei volani principali della sua
espansione è stato il terremoto e gli affari della ricostruzione». Ma non
ritiene che la camorra di oggi si sia trasformata? «Certo. Siamo di fronte a
una nuova emergenza, direi escrescenza, di questo fenomeno strutturale. Ma
dagli anni Ottanta in poi è avvenuto tante altre volte. È accaduto con la faida
di Scampia, quando era sindaco la lervolino e prima ancora, negli anni Novanta,
nel pieno rinnovamento della città, quando ero sindaco io. In quel periodo
abbiamo avuto un numero impressionante di omicidi di camorra. Ma c'era una
differenza». Quale differenza? «Questi episodi gravissimi venivano controbilanciati
da uno sforzo politico e civile, nella città e fuori della città. Gli anni che
vanno tra il 1996 e il 2000 sono stati gli unici anni in cui la crescita del
Mezzogiorno è stata, sia pure di poco, superiore alla media del Paese. Tutti
gli indicatori economici avevano un leggero segno positivo. Il numero enorme di
omicidi veniva contrastato da una tendenza, un clima incoraggiante. L'emergenza
criminale di oggi è dentro una grave crisi sociale del Sud e di Napoli». La
camorra viene efficacemente contrastata? «Oggi siamo in presenza di una
criminalità diffusa e giovanile e servirebbe una nuova e maggiore conoscenza
sul campo. Magistratura e forze dell'ordine, ma anche da parte della stessa
Commissione Antimafia, stanno facendo. L'auspicio è che la Commissione tomi più
spesso a Napoli. Questa nuova criminalità giovanile è paradossalmente anche
l'effetto dei successi che ci sono stati, dell'azione di contrasto che ha
decapitato molte strutture classiche della camorra. E, aggiungo, oggi la
camorra è meno presente in alcune grandi istituzioni come il Comune. È
risultato dell'azione politica di contrasto indubbiamente fatta dalla giunta di
Luigi de Magistris e in precedenza dalle giunte Iervolino e dalle mie giunte».
La Bindi Lei non voleva offendere ma calcare la mano sul fenomeno camorra e
sottolineare la gravita dei fatti accaduti Che fa? Concede l'onore delle armi a
un avversario? «Le do un'anticipazione. Nel libro che ho scritto quest'estate
faccio esplicito riferimento a questa azione di contrasto da parte del Comune e
all'elemento di continuità, sotto questo aspetto, tra le mie giunte e quella di
de Magistris. Questa considerazione l'ha fatta pure Rosy Bindi. Avrebbe potuta
farla lo stesso de Magistris che ha rivendicato questa azione solo per le sue
giunte e per se stesso». Avrebbe dovuto farlo il Pd? «Lasciamo stare. Ma,
attenzione, la camorra è tuttora presente in diverse istituzioni come dimostra
l'alto numero di comuni sciolti per infiltrazione camorristica. Guai a
qualsiasi sottovalutazione della connivenza politica. Capisco de Magistris
quando dice che Napoli non è Bagdad, ma lasci perdere paragoni impropri con
Milano e con Bruxelles. Nella nostra città il senso di insicurezza è forte,
addirittura fisico. E in molti quartieri l'atmosfera è opprimente, in quartieri
del centro, non solo nelle periferie più popolari. Si respira un'aria pesante
persino in molte parti di Ghiaia». Nella polemica sulla Bindi c'è chi ha
parlato di camorra come patologia, malattia. È d'accordo? «Questa violenta
camorra giovanile, ma anche quella gerarchizzata del passato, non è solo una
malattia dentro un corpo sano. Se fosse stato un virus, separato dal corpo,
sarebbe stato più facile eliminarlo chirurgicamente». Invece? «C'è una vasta
zona grigia di comprensione e di connivenza. Quindi oltre alla sempre
fondamentale azione repressiva che ha bisogno di avere più mezzi, forze e
risorse, acquista ancora più importanza, rispetto a ieri, la risposta sodale e
civile. Una cura preventiva deve essere partedi una più generale azione delle istituzioni locali e di una più generale strategia del governo nazionale per il Sud». Sembra una prospettiva lontana, a vedere come de Magistris attacca il premier. «La polemica tra le istituzioni è sbagliata. Ed è preoccupante la zuffa dialettica tra Commissione Antimafia, Comune e Regione. Il dialogo e la collaborazione sono Renzi Inammissibile parlare di città derenzizzata ma inaccettabile anche che il governo non si faccia carico del problema Napoli indispensabili in ogni campo e a maggiore ragione bisogna collaborare nella lotta alla camorra, Per me sarebbe molto importante l'apertura di un positivo confronto, in primo luogo tra il Comune e il governo, un rapporto che deve andare ben al di là dei necessari, ma del tutto insufficienti, 50 uomini in più». Ma, come si dice a Napoli, da tempo si sono rotte le giarretelle. Come si fa a ricomporre i cocci? «Il primo passo avrebbe dovuto farlo il sindaco. Spetta a lui. La lotta alla criminalità non è strettamente di sua competenza, ma l'iniziativa per un positivo confronto non può che partire dalla città». Ma se de Magistris non lo fa? «Allora lo faccia Renzi. È il premier, si assuma lui l'onore di un'iniziativa capace superare l'impasse, come è stato fatto in altri periodi. Renzi prenda in mano la situazione in prima persona. Lo faccia a Napoli alla prefettura, ma anche a Roma, a Palazzo Chigi, convocando tutti gli interessati: de Magistris, De Luca, Alfano e i ministri del Lavoro, dell'Istruzione, della Cultura. Tra istituzioni è doveroso collaborare. I partiti possono combattersi tra di loro, nella ricerca del consenso, ci possono anche essere divisioni dialettiche all'intero dei partiti, ma le istituzioni non possono farsi opposizione tra di loro. È assurdo che il sindaco possa proclamare che Napoli è un Comune "derenzizzato", ma è altrettanto inammissibile che il governo non si faccia pienamente carico di quanto sta avvenendo in una grande città come Napoli».
Pietro Treccagnoli
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