Emanuele Macaluso |
Dopo una
parte dedicata alla lunga, prestigiosa carriera sindacale e politica di
Macaluso credo che il punto più interessante dell’intervista sia quando Falci
pungola Macaluso affinché dica la sua sull’attuale “scenario”politico. Il
novantunenne Macaluso non le manda a dire e parte dicendo che l’attuale
Esecutivo ignora la questione meridionale. Vero, verissimo come del resto
indifendibile è nel merito e nella sostanza la “ratio” che muove questo Governo
e la sua maggioranza politico-parlamentare che conta, ahinoi, numerosi
meridionali e siciliani.
Macaluso,
poi, con mestiere, passa subito, alla realtà siciliana e si “confronta”
con la Regione e con il suo Governo, guidato da quel Rosario Crocetta, che
almeno sulla carta, sarebbe espressione del progressismo democratico e/o
democraticista.
L’analisi
macalusiana è inappuntabile e condanna, senza se e senza ma, Crocetta, la sua
esperienza di governo e la “formula” politica che questo aveva posto
alla base della sua “discesa in campo”.
Macaluso,
infatti, rispondendo all’intervistatore sottolinea che Crocetta e i “crocettiani”
si sono mostrati inadeguati nel dare visibilità alla questione siciliana,
cioè, detto anche in altri termini, nel dare centralità alla battaglia
per la Sicilia.
Falci a
questo punto lo incalza e gli chiede, apertamente, un giudizio sul PD, che è
stato ed è, non dimentichiamolo, lo “sponsor” e “l’animatore”
politico del fenomeno oramai possiamo dire “localistico” del “crocettismo”.
La risposta
di Macaluso è stentorea ed il canuto leader definisce testualmente il partito
democratico “ un aggregato politico elettorale”. Incalzato ancora
aggiunge che il PD “è interessato”, come il resto di certa classe
politica, da una vocazione e da una prassi trasformista.
L’analisi
del compagno Macaluso è nella sua chiarezza compiuta, senza sbavature.
Ho trovato
se possibile ancor più importante, poi, il fatto che Macaluso ha posto la
questione della lotta alla mafia come problema politico e sociale.
Andando
oltre il detto, direi, senza penso stravolgere troppo il suo pensiero, che
Macaluso distingue tra certa antimafia , che l’intervistatore definisce “farlocca”
e un’esigenza di lotta alla mafia genuina e presente.
Macaluso, in
questo confronto, trova l’elezione a Presidente della Repubblica del siciliano
Sergio Mattarella, un elemento positivo, testimonianza di una Sicilia
diversa che non si rassegna e non si piega al vile ricatto mafioso.
Dopo aver
letto l’intervista titolata in modo azzeccato: “ Che delusione la mia
Sicilia senza leader né antimafia” mi sono interrogato e come cittadino
siciliano e come socialista isolano su quale potesse essere, in termini etici e
politici, il portato di questa, interessante e nella sua chiarezza inusuale,
intervista sia per la sinistra che per l’intera società siciliana.
Il fatto
anagrafico di un Emanuele Macaluso novantunenne ci indica che l’uomo, nella sua
proverbiale, invidiabile lucidità di analisi coglie, scevro da preoccupazioni o
interessi tattici, l’essenza di quanto accade, in termini politici, oggi in
Sicilia. L’esistere, il resistere e il persistere di due modi contrapposti,
antitetici di concepire la politica in Sicilia.
Un modo è
quello rappresentato dalla prassi predominante che in nome degli interessi di
una certa classe politica e dei suoi “clientes” sacrifica, aspirazioni,
bisogni, esigenze della stragrande maggioranza dei siciliani mortificando,
spesso consapevolmente spesso inconsapevolmente, le necessità e le priorità
etiche e politiche della maggioranza dei nostri conterranei, come nel caso,
appunto, della lotta alla mafia, al malaffare o ancora immiserendo e negando
l’idea della Sicilia come Terra libera da ipoteche coloniali e colonizzanti.
Vi è poi un
secondo, altro, diverso modo di pensare e speriamo anche di amministrare
politicamente la Sicilia.
Un modo che
riassumerò per semplicità con una definizione non sua ma che prendo a prestito
dal compianto Massimo Ganci, per cui la Sicilia deve affrontare e risolvere la
questione siciliana che è parte della questione meridionale ma non si risolve
necessariamente in questa.
Questione
quella siciliana che può trovare finalmente soluzione solo se cambierà ,
copernicanamente, il modo di gestire la “cosa pubblica”. Questo “nuovo
modello” di relazioni etico-politiche e socio-economiche richiede però il
superamento di vecchie “prassi” proprie della “politica politicata”.
E’ chiaro
che questa è una sfida per tutta la classe politica e dirigente della nostra
amata Sicilia, che, in ogni caso, deve, a mio avviso, anzitutto interessare la
sinistra isolana.
Una sfida
concreta e non solo teorica, che appunto in virtù della sua effettività chiama
in causa noi uomini e donne di sinistra. Dobbiamo, in tal prospettiva, avere
dunque il coraggio di dire che le contraddizioni che indica il compagno
Macaluso sono frutto non solo di contingenze politiche situazioniste ma del
fallimento, insottacibile e conclamato, di un modello di relazioni praticate da
un intera classe dirigente e politica.
Classe che
in buona parte possiamo definire progressista e di provenienza di sinistra,
eredi, diretti ed indiretti, di quelle esperienze organizzate che si
riconoscevano e che militavano nei partiti e nelle organizzazioni politiche e
sociali della sinistra storica siciliana e no, oggi estintesi e da cui poi
hanno preso il largo per le loro lecite quanto personali scelte.
Detto ciò è
evidente che occorre un cambiamento epocale delle e nelle relazioni politiche
se vogliamo sottrarre spazio politico e rappresentanza a fenomeni come il “crocettismo”.
Una
necessità, che è il frutto conseguente di un lungo processo di “oggettivo
incancrenimento” della rappresentanza politica, troppo a lungo e male,
mediata e filtrata da apparati politico-burocratici sempre uguali a se stessi
egoisti ed immarcescibili.
Noi
socialisti siciliani stiamo provando, partendo da noi, dalla nostra area
politica e dalla nostra concreta esperienza a colmare questo “GAP”;
proviamo a farlo cercando di riorganizzare la nostra presenza a partire dai
bisogni e dalle esigenze prioritarie della gente, di quella parte onesta e
lavoratrice, che è la maggioranza dei siciliani. Non ci nascondiamo dietro un
dito: anche noi troviamo resistenze ed incontriamo incomprensioni.
Poniamo,
tuttavia, come centrali, in questa prospettiva di concretezza i temi
della rappresentanza politica.
Un dato
questo che un socialismo, una sinistra credibile deve aggredire.
In
democrazia questo è lo snodo centrale della rappresentanza istituzionale,
che in Sicilia significa, praticamente, affrontare il tema della
rappresentanza autonomista, la cui centralità è innegabile tanto da essere
stata costituzionalizzata.
In concreto
si tratta per noi socialisti e di sinistra della ripresa, senza rachitismi,
pregiudizi e/o callosità, della “linea” d’indirizzo che fu propria
della migliore, più lungimirante tradizione socialista, che vedeva, come ebbe a
dire l’indimenticato Rodolfo Morandi, nel giugno del 1954, nella
costruzione statutaria “ un atto di portata storica nazionale, una
svolta decisiva che si è operata nei sistemi e nelle consuetudini di uno
Stato accentratore e soffocatore delle libertà locali che sono il fondamento ed
il presupposto delle libertà individuali”.
La difesa
non paurosa, dunque, delle prerogative statutarie per non essere intesa e
divenire, di fatto, mera difesa dell’esistente occorre ponga la questione
perentoria della selezione di una nuova classe dirigente politica e di
sinistra, che deve assumersi l’onere ed il ruolo non solo di “difesa” e
di “gestione” dello strumento statutario ma della sua “piena e totale
attuazione” secondo direttive generali e lontane da interessi limitati e
prassi di casta.
Ciò
significa intervenire sia sulle prassi che sui meccanismi di governo,
sulle abitudini inveterate, sulle basse linee di galleggiamento morale.
In poche
parole significa scontentare elitè e camarille, da molto, troppo tempo,
senza limiti etici e direzione e controllo politico.
Se la
sinistra vuole tornare a fare la differenza, se i socialisti vogliono essere
parte di questo processo di ri-organizzazione virtuoso devono scontentare molti
e scardinare equilibri dati.
Può e deve
fare riflettere il fatto che una delle poche analisi lucide sull’oggi, seppure
non esaustiva, venga da un compagno ultranovantenne.
Tutto ciò
pur andando a merito dell’intelligenza umana e politica di Emanuele Macaluso
testimonia della necessità e dell’urgenza politica di dare il via ad una nuova
stagione in cui, le vecchie prassi, i vecchi paludati riti cencelliani e
consociativi siano definitivamente archiviati e sconfitti.
Serve
alla Sinistra isolana, serve alla Società siciliana!
Fabio
Cannizzaro
Coordinatore
della Federazione
per il
Socialismo della Sicilia
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