Un momento del convegno sull'islam |
Il convegno
di Buccheri sul rapporto tra musulmani e cristiani nella Sicilia normanna si è
dimostrato pari alle attese, per l’ampia partecipazione di pubblico e per il
tenore molto qualificato della discussione, su una vicenda storica che, per
quanto lontana nel tempo, non manca di agganci significativi con l’attualità.
Gli studiosi invitati a relazionare, Carlo Ruta, Ferdinando Raffaele e
Sebastiano Tusa (Ferdinando Maurici non è potuto essere presente ma la sua
relazione sarà presente negli atti), si sono trovati a dipanare una tematica
complessa, e la complessità è stata, a tutti gli effetti, il motivo dominante
delle loro relazioni.
Entrata nel vivo, dopo il saluto del sindaco Alessandro Caiazzo e
dell’assessore alla Cultura Francesco Interlandi, la discussione è stata aperta
da Carlo Ruta, saggista e studioso del mondo Mediterraneo, che ha tracciato un
quadro dei problemi che sul piano storiografico restano aperti, mettendo in
rilievo cinque dati di fatto, storicamente documentati, che collidono con
l’immagine di una Sicilia normanna pacifica e interculturale: 1) il graduale e
inesorabile impoverimento economico e materiale dell’etnia musulmana nel Regnum;
2) il lento ma continuo arretramento dell’Islam siciliano dalle città e dalle
campagne; 3) gli assalti e le stragi subiti dai musulmani di Sicilia in alcuni
frangenti particolari, segno di una irriducibile conflittualità di terreno; 4)
l’assenza dell’Islam siciliano nelle cronache e nei resoconti di viaggio
successivi al XIII secolo, indizio di una dissoluzione etnica già avvenuta; 5)
l’assenza, contestuale, di resti materiali che riconducano con certezza ai
circa due secoli di storia arabo-islamica nell’isola: indizio di una
continuativa opera di dissoluzione e rimozione. Il relatore ha quindi
argomentato sui modi in cui progredì il paradigma violento che i dominatori
adottarono nei riguardi delle etnie sottomesse e in particolare di quella
arabo-berbera: paradigma che, sostenuto a vari livelli dai tre poteri ufficiali
dell’epoca, le aristocrazie, gli episcopati e in modo più mimetico la Corona,
ha finito per esporre l’etnia arabo-berbera di Sicilia a un destino tragico.
È seguita
quindi la relazione di Ferdinando Raffaele, filologo e storico delle
letterature romanze, che ha tracciato, con dovizia di dettagli, il quadro delle
contaminazioni e dei «prestiti» linguistici e lessicali dall’arabo nella lingua
siciliana e le sedimentazioni che ne derivarono già a partire dall’epoca
normanna. Il relatore si è soffermato sull’ampio vocabolario di queste
contaminazioni, illustrando l’entità, non indifferente, del debito linguistico
che l’idioma siciliano ha contratto con la lingua parlata dai musulmani di
Sicilia, che soprattutto nelle fasce medio alte fu l’arabo classico, cioè la
lingua del Profeta e del Corano. Raffaele ha documentato quindi il peso che
queste contaminazioni hanno avuto nell’evoluzione sociale della lingua parlata
siciliana, con effetti di interculturalità che hanno finito con l’arricchirne
la struttura. L’idioma dell’isola, come è noto, godrà di non poca
considerazione nell’esperimento di volgare letterario illustre condotto nella
prima metà del XIII secolo da Federico II. Il relatore ha sottolineato infine
che nel «catalogo» delle contaminazioni, mancano alcuni campi specifici, e in
primo luogo proprio quello religioso, a sottolineare che su questo piano
l’interculturalità dovette registrare una sorta di default. E secondo Raffaele
in questo vuoto possono essere ravvisati dei nessi di tipo causale con il clima
etnico-religioso non proprio pacifico che, come aveva già spiegato Ruta, corse
sotto il dominio degli Altavilla.
Ha
relazionato infine l’archeologo Sebastiano Tusa, soprintendente al Mare della
Regione Siciliana, entrando ancora nel merito della complessità che
caratterizzò i rapporti tra Islam e cristianità in epoca normanna e illustrando
in primo luogo la prospettiva scientifica e tecnologica. Raccordandosi con le
analisi di Ruta e Raffaele, Tusa ha spiegato che le conoscenze tecniche già
patrimonio degli arabi ebbero in Sicilia effetti notevolissimi, che, lungi
dall’esaurirsi nei due secoli in cui i musulmani amministrarono e colonizzarono
la Sicilia, riversarono i loro benefici nel Regnum normanno e cristiano
degli Altavilla. Anche i commerci e le attività produttive dei musulmani
divennero di fatto un patrimonio irrinunciabile per i nuovi signori della
Sicilia. Il relatore osserva perciò che, al di là degli atti di benevolenza che
pure non mancarono, anzitutto per ragioni d’interesse economico e materiale i
monarchi normanni dovettero accordare la loro «protezione» all’etnia
arabo-berbera: cioè la formale tolleranza civile e religiosa in cambio di un
forte tributo economico, che tuttavia – osserva il relatore – non salvò l’Islam
da una fine tragica. L’archeologo chiarisce poi i modi in cui la cultura
materiale araba si sedimentò nel Regno di Sicilia, anzitutto sul piano
architettonico, con l’adozione di stilemi arabo-islamici nella edificazione di
chiese e palazzi, che hanno contribuito non poco alla rappresentazione
sincretica e scenografica che gli Altavilla predilessero, anche per conferire
slancio alla loro politica egemonica nel Mediterraneo.
Il convegno
si è concluso con alcune domande del pubblico ai relatori e con l’annuncio del
sindaco Caiazzo di un progetto di spessore: la creazione a Buccheri di un
istituto di alti studi sul medioevo siciliano.
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