Monsignor Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale |
Monsignor Pennisi, che nella sua diocesi ha negato
funerali solenni ai capi della mafia, commenta "quel funerale trasformato
in una sceneggiata napoletana che aveva come scopo non tanto quello di invocare
la misericordia di Dio su un uomo che aveva tanti peccati da farsi perdonare,
ma quello di esaltare un capo di un clan di stampo mafioso”.
I funerali
in pompa magna per i boss indignano monsignor Michele Pennisi, arcivescovo di
Monreale, da sempre
impegnato contro la mafia e contro i suoi tentacoli nel mondo della politica e
delle istituzioni. Per anni sotto scorta a causa delle minacce e delle
intimidazioni, in qualità di vescovo di Piazza Armerina, Pennisi
aveva proibito il funerale pubblico e solenne del boss di Gela Emmanuello. Dopo
essere stato nominato alla guida della Curia di Monreale, invece, ha stabilito,
con decreto, che le confraternite della sua Diocesi non possono accogliere nei
loro organigrammi, tra gli altri, gli autori di “reati disonorevoli” e “gli
appartenenti ad associazioni mafiose”.
Impedire beatificazioni dei boss attraverso funerali ostentati e grandiosi,
nonché evitare infiltrazioni nelle confraternite e nelle processioni, sono,
dunque, da sempre due chiodi fissi del prelato, preoccupato di
salvaguardare i sacramenti e la religiosità popolare da chi li strumentalizza
per fini di potere e di consenso. Per questo l'arcivescovo non ha gradito la
cerimonia hollywoodiana per le strade di Roma in onore di Luciano Casamonica,
esponente del clan di origini abruzzesi trapiantato nella capitale sin dagli
anni Settanta. “Sono rimasto disgustato – spiega senza mezzi termini
monsignor Pennisi - nel vedere il video e le foto di un
funerale trasformato in una sceneggiata napoletana che aveva come
scopo non tanto quello di invocare la misericordia di Dio su un uomo che aveva
tanti peccati da farsi perdonare, ma quello di esaltare un capo di un clan di
stampo mafioso”. L’ indignazione non si esaurisce qui: “Sono rimasto poi negativamente colpito dagli striscioni appesi alla facciata della Chiesa in cui il defunto veniva rappresentato come un papa con tanto di croce pettorale e come un re che, dopo aver spadroneggiato nella capitale, doveva regnare anche in cielo. Era necessaria maggiore vigilanza e coordinamento tra pubblici poteri e parrocchia. Bisogna ricordare che già nel 1900, oltre un secolo fa, don Sturzo scriveva che la mafia aveva i piedi in Sicilia ma la testa a Roma”. Monsignor Pennisi rievoca la sua decisione presa circa 8 anni fa: “A Gela, conoscendo il costume dei mafiosi, ho proibito il funerale solenne del capo mafia in accordo con le autorità ma ho permesso il funerale privato al cimitero per i soli parenti. Nessuno può essere escluso dalla misericordia di Dio, ma occorre ricordare che essa ci è stata donata a caro prezzo con il sacrificio di Cristo e non può essere svenduta a prezzo di liquidazione. Per evitare simili episodi ci vorrebbe maggior coraggio e chiarezza da parte del clero e una maggiore collaborazione con le autorità che potrebbero vietare simili manifestazioni”.
Il messaggio di monsignor Pennisi è chiaro e inequivocabile: tutti hanno il diritto alla sepoltura e alla misericordia di Dio, ma non tutti meritano il funerale pubblico e solenne.
Famiglia Cristiana, 21/08/2015
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