di PASQUALE HAMEL
Sicuramente
un merito questo volumetto l’ha ed è quello di avere reso, in un certo qual
modo, giustizia – …e non è poco! -, a cinque innocenti vittime
di vergognosi pregiudizi e di esacrabili odi figli, questi ultimi,di
egoismi e di avidità. Ma la
tragedia di Tellulah, un
oscuro e semisconosciuto villaggio della Luisiana, che Deaglio racconta con
dovizia di particolari, introduce anche una pagina di storia dell’emigrazione
italiana anch’essa poco nota e sulla quale si dovrebbe ritornare a
riflettere. La vicenda si colloca alla fine del secolo XIX, quando dalla
Sicilia, e non solo, si scappava per fame per raggiungere quel “mondo nuovo”
che aveva urgente bisogno di braccia. Verso la Luisiana e gli stati del Sud,
dopo la devastante Guerra di Secessione americana che aveva fatto ben 700.000
morti, si spostano infatti quasi in centomila e prendono il posto, nelle grandi
piantagioni di cotone, degli schiavi neri liberati dai nordisti che quel
lavoro, umiliante, avevano definitivamente abbandonato.
La speranza
di riscatto economico-sociale che aveva motivato quegli italiani alla partenza si scontra però
con un ambiente ostile, classista e fortemente segnato da pregiudizi razziali.
Soprattutto i meridionali, spregiativamente chiamati dagos, sono sfruttati e
discriminati e, pur appartenenti alla “razza” bianca, vengono considerati, con
il supporto di cervellotiche teorie positiviste che trovavano anche nel sud entusiasti
seguaci, alla stregua degli ex schiavi neri. A Tellulah, quell’anno 1899, si
ripete il copione di quanto era accaduto a New Orleans qualche anno prima,
cinque uomini, fra cui un ragazzo, tutti emigranti siciliani e fra loro
imparentati, vengono linciati da una folla inferocita aizzata da chi aveva in
odio i nuovi arrivati e non si fece scrupolo di condannarli a morte imbastendo,
come riesce a dimostrare Deaglio, perfino una vergognosa menzogna.
Quelle
vittime innocenti, nonostante certa indignazione delle autorità italiane del
tempo, si
registrano flebili proteste delle nostre autorità diplomatiche, non riescono ad
avere giustizia ed i loro nomi e la loro vicenda per oltre cento anni vengono
oscurate dall’ipocrisia, dalle reticenze e dalle falsità che finiscono per
seppellire definitivamente la verità e lasciare i colpevoli impuniti . Deaglio,
imbattutosi casualmente nella notizia di questa terribile vicenda scrive il
presente libro-verità, adottando il metodo del giornalismo d’inchiesta. Un
libro che spesso scivola nella retorica antiunitaria e a tratti
evidenzia una struttura poco organica che lo fa ripetitivo e che, tuttavia, per
le ragioni che ho sinteticamente evidenziato, merita a mio giudizio di essere
letto e meditato.
Da: Siciliainformazioni.com
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