Antonino Di Matteo |
PALERMO -
"In due diverse lettere Messina Denaro ci chiese di fare un attentato al
pm Nino Di Matteo, che andava eliminato perché si era spinto troppo avanti in
un processo. Poi capimmo
che si trattava del processo sulla trattativa Stato-mafia". Lo ha detto,
deponendo in aula, il pentito Vito Galatolo, che ha raccontato ai magistrati
del piano, risalente alla fine del 2012, per eliminare il magistrato che
sostiene l'accusa al processo sulla trattativa Stato-mafia. "Quando
sapemmo che l'artificiere che doveva partecipare all'attentato al pm Di Matteo
non era di Cosa Nostra - continua Galatolo -, capimmo che dietro al piano
c'erano soggetti estranei alla mafia, apparati dello Stato, come nelle stragi
del '92. Messina Denaro - ha aggiunto - ci rassicurò scrivendoci che, comunque,
avevamo le giuste coperture. Per l'attentato al pm Di Matteo raccogliemmo
500mila euro per acquistare il tritolo: 360mila ne misi io, 140 Girolamo
Biondino e Alessandro D'Ambrogio. Il canale per l'approvvigionamento
dell'esplosivo erano i calabresi".
In origine l'agguato si sarebbe dovuto organizzare nei pressi del tribunale,
ma i boss non trovarono una base logistica per sorvegliare la zona e allora
si decise di puntare sui luoghi in cui il pm trascorreva le vacanze. Cosa
nostra, secondo quanto riferisce il pentito, avrebbe, pur di eliminare il
magistrato, pensato di colpirlo a Roma. "Contattammo perciò Salvatore
Cucuzza (collaboratore di giustizia che viveva a Roma dove gestiva un
ristorante, ndr) - ha aggiunto - che ci mise a disposizione il suo locale.
Avrebbe dovuto dire a Di Matteo che voleva parlargli della trattativa per farlo
andare da lui". Ma il progetto di attentato, risalente al 2012 non è mai
stai portato a termine. "Perché?" chiede il pm Vittorio Teresi al
pentito. "Perché poi - ha spiegato Galatolo - tra novembre 2013 e dicembre
2014 arrestarono Alessandro D'ambrogio, Girolamo Biondino e Vincenzo Graziano
che erano quelli che con me avrebbero dovuto organizzare l'attentato".
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