Sessant’anni fa, il 16 maggio 1955, fu ucciso dalla mafia di Sciara Salvatore Carnevale, sindacalista della CGIL, socialista. Si stava recando al lavoro presso una cava, nella proprietà dei Notabartolo, gestita dalla Lambertini, impresa emiliana, che forniva materiale inerte per il raddoppio della ferrovia della tratta di Termini. Come i Piaggio dei Cantieri Navali di Palermo e altri gruppi capitalistici italiani, Lambertini aveva accettato i buoni uffici della mafia della zona guidata dal Panzeca di Caccamo, capo ascoltato, uomo di chiesa (era fratello del prete locale) e ammanigliato con la politica, prima del partito liberale poi democristiano.
Turi Carnevale era considerato una testa calda eversiva, secondo i canoni
del quieto vivere dominante. Aveva organizzato le lotte contadine sul feudo dei
Notabartolo per la riforma agraria; emigrato al Nord, per sfuggire alle minacce
di morte dei campieri mafiosi, era tornato e aveva trovato lavoro in quella
cava, dove sotto la protezione della mafia, non si rispettava né salario né
orario di lavoro contrattuale. Quel testa calda, cosa fa? Organizza con
successo i lavoratori della cava per far rispettare leggi e contratti nazionali
di lavoro.
La barbara uccisione con ben sei colpi di lupara che lo straziano in pieno giorno
doveva servire a ripristinare quel potere che lui aveva saputo sfidare e
battere come avevano fatto quelle decine di capilega, capipopolo comunisti,
socialisti e anche democristiani di sinistra, uccisi in quegli anni del
dopoguerra contrassegnati dalla conquista della Costituzione repubblicana
fondata sul lavoro e dall’emancipazione del mondo del lavoro e dal ruolo
progressista degli intellettuali. L’assassinio di Carnevale diventa subito un
caso nazionale, suscita una reazione immediata della CGIL guidata da Pio La
Torre a livello provinciale e da Emanuele Macaluso a livello regionale, è
seguito personalmente dal futuro Presidente della Repubblica, Sandro Pertini.
Lo scrittore Carlo Levi gli dedica luminose pagine del suo libro ‘Le parole
sono pietre’, una ballata dedicatagli dal nostro grande poeta dialettale
Ignazio Buttitta viene recitata dai cantastorie in tutte le piazze d’Italia. La
mamma di Turi, Francesca Serio, che lo aveva riconosciuto dai calzini che gli
aveva lavato la sera prima, quando ancora era riverso con la faccia a terra
straziato dai pallettoni, diventerà, sino alla fine dei suoi giorni,
l’implacabile accusatrice dei mandanti e dei presunti killer che furono visti
da tanti. Un testimone fu interrogato e messo a riflettere nella stessa cella
del carcere di Termini con i presunti assassini, intimidito, ritrattò.
Gli esecutori condannati in primo grado furono assolti in appello. Verità e
giustizia, come per tutti gli altri delitti mafiosi sino alla legge antimafia
La Torre, attendono ancora. Perché non possiamo dimenticare nessuno di quei
delitti impuniti? Perché vi troviamo le radici delle mafie di oggi, della loro
espansione nel paese, di quello infame intreccio di potere che lega tuttora
parti della classe dirigente alle mafie generate dal perverso rapporto storico,
dall’Unità a oggi, tra mafia, affari, politica. Otto giorni dopo il delitto,
una grande manifestazione indetta dalla CGIL e dai partiti di sinistra innalzò
un cippo sul luogo dell’assassinio, ma dovette cancellare per ordine del
prefetto le parole ‘in nome del popolo siciliano’ perché non era chiara la
natura politico-mafiosa del delitto.
A quella manifestazione Sandro Pertini, che aveva accompagnato
Francesca Serio dal Presidente della Corte d’Appello al quale aveva riferito le
sue accuse, disse’ Turiddu è morto come Cristo per la redenzione
dell’umanità……. Mafiosi, l’avete assassinato perché intendeva difendere i suoi
compagni di lavoro, perché aveva sempre difeso i poveri’. Soltanto
cinquant’anni dopo, il 16 maggio del 2005, grazie a un accorto processo
educativo degli studenti della scuola locale guidato da illuminati insegnanti,
tutta la cittadinanza tributò alla memoria di Carnevale il riconoscimento
dovuto e ufficiale organizzato dall’amministrazione comunale, dalla scuola e
dal Centro studi Pio La Torre. Da quell’evento, ogni anno si è rinnovata la
memoria senza scadere nella retorica.
Il sessantesimo anniversario sarà ricordato dagli studenti e docenti
delle scuole del comprensorio assieme ai cittadini, al Centro La Torre, agli
amministratori comunali della zona, alla CGIL che partecipa con i suoi massimi
dirigenti provinciali e regionali e con la segretaria nazionale della Flai
CGIL- Stefania Crogi. Dalla Casa alla Cava, dopo un dibattito nella Chiesa
madre, tutti i partecipanti faranno il percorso di Turi verso il sacrificio. I
ragazzi reciteranno e interpreteranno propri componimenti, brani di Levi e di
Buttitta. Così testimonieranno il ruolo educativo della scuola, ma anche i
grandi mutamenti dell’impegno antimafia. Nel 1955 nessuno dell’amministrazione
comunale espresse solidarietà, le indagini furono condotte da corpi dello Stato
ancora impregnati di cultura fascista che guardavano con odio o diffidenza di
classe chiunque osasse mettere in discussione lo stato di subalternità delle
classi deboli.
Dopo tanti anni non è più così, tanto è vero che tra le vittime si
annoverano uomini di cultura politica diversa, esponenti delle istituzioni e
del mondo delle imprese che si ribella alle mafie. Allora perché siamo costretti
a parlare ancora di mafie? Perché il nodo politico non è ancora sciolto. Non è
considerato una priorità politica. Una parte della classe dirigente politica,
finanziaria, economica, sociale è pienamente compartecipe, (vedi mafia
capitale, scandali Expo, traffici illeciti- dalla droga alla tratta dei
migranti, ai reati ambientali, al riciclaggio, ai reati finanziari). Abbiamo
fiducia che usando il coraggio che fu degli uomini come Turi riusciremo dal
basso a imporre un rovesciamento delle priorità politiche e imporle come
priorità di ogni governo locale, nazionale e europeo
di Vito Lo
Monaco
14 maggio 2015
14 maggio 2015
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