di Marco
Travaglio
Dipendesse da me, il crocifisso resterebbe appeso nelle scuole. E non per le penose ragioni accampate da politici e tromboni di destra, centro, sinistra e persino dal Vaticano. Anzi, se fosse per quelle, lo leverei anch’io.
Dipendesse da me, il crocifisso resterebbe appeso nelle scuole. E non per le penose ragioni accampate da politici e tromboni di destra, centro, sinistra e persino dal Vaticano. Anzi, se fosse per quelle, lo leverei anch’io.
Fa ridere Feltri quando,
con ignoranza sesquipedale, accusa i giudici di Strasburgo di “combattere il
crocifisso anziché occuparsi di lotta alla droga e all’immigrazione selvaggia”:
non sa che la Corte può occuparsi soltanto dei ricorsi degli Stati e dei
cittadini per le presunte violazioni della Convenzione sui diritti dell’uomo.
Fa tristezza Bersani che parla di “simbolo inoffensivo”, come dire: è una statuetta che non fa male a nessuno, lasciatela lì appesa, guardate altrove. Fa ribrezzo Berlusconi, il massone puttaniere che ieri pontificava di “radici cattoliche”. Fanno schifo i leghisti che a giorni alterni impugnano la spada delle Crociate e poi si dedicano ai riti pagani del Dio Po e ai matrimoni celtici con inni a Odino. Fa pena la cosiddetta ministra Gelmini che difende “il simbolo della nostra tradizione” contro i “genitori ideologizzati” e la “Corte europea ideologizzata” tirando in ballo “la Costituzione che riconosce valore particolare alla religione cattolica”. La racconti giusta: la Costituzione non dice un bel nulla sul crocifisso, che non è previsto da alcuna legge, ma solo dal regolamento ministeriale sugli “arredi scolastici”.
Fa tristezza Bersani che parla di “simbolo inoffensivo”, come dire: è una statuetta che non fa male a nessuno, lasciatela lì appesa, guardate altrove. Fa ribrezzo Berlusconi, il massone puttaniere che ieri pontificava di “radici cattoliche”. Fanno schifo i leghisti che a giorni alterni impugnano la spada delle Crociate e poi si dedicano ai riti pagani del Dio Po e ai matrimoni celtici con inni a Odino. Fa pena la cosiddetta ministra Gelmini che difende “il simbolo della nostra tradizione” contro i “genitori ideologizzati” e la “Corte europea ideologizzata” tirando in ballo “la Costituzione che riconosce valore particolare alla religione cattolica”. La racconti giusta: la Costituzione non dice un bel nulla sul crocifisso, che non è previsto da alcuna legge, ma solo dal regolamento ministeriale sugli “arredi scolastici”.
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Alla stregua
di cattedre, banchi, lavagne, gessetti, cancellini e ramazze. Se dobbiamo
difendere il crocifisso come “arredo”, tanto vale staccarlo subito. Gesù in
croce non è nemmeno il simbolo di una “tradizione” (come Santa Klaus o la zucca
di Halloween) o della presunta “civiltà ebraico-cristiana” (furbesco gingillo
dei Pera, deiFerrara e altri ateoclericali che poi non
dicono una parola sulle leggi razziali contro i bambini rom e sui profughi
respinti in alto mare).
Gesù Cristo
è un fatto storico e una persona reale, morta ammazzata dopo indicibili
torture, pur potendosi agevolmente salvare con qualche parola ambigua, accomodante,
politichese, paracula. È, da duemila anni, uno “scandalo” sia per chi crede
alla resurrezione, sia per chi si ferma al dato storico della crocifissione.
L’immagine vivente di libertà e umanità, di sofferenza e speranza, di
resistenza inerme all’ingiustizia, ma soprattutto di laicità (“date a Cesare
quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”) e gratuità (“Padre, perdona
loro perché non sanno quello che fanno”).
Gratuità: la
parola più scandalosa per questi tempi dominati dagli interessi, dove tutto è
in vendita e troppi sono all’asta. Gesù Cristo è riconosciuto non solo dai
cristiani, ma anche dagli ebrei e dai musulmani, come un grande profeta.
Infatti fu proprio l’ideologia più pagana della storia, il nazismo – l’ha
ricordato Antonio Socci– a scatenare la guerra ai crocifissi. È
significativo che oggi nessun politico né la Chiesa riescano a trovare le
parole giuste per raccontarlo.
Eppure basta
prendere a prestito il lessico familiare di Natalia Ginzburg, ebrea
e atea, che negli anni Ottanta scrisse: “Il crocifisso non genera nessuna
discriminazione. Tace. È l’immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso
per il mondo l’idea dell’uguaglianza fra gli uomini fino ad allora assente…
Perché mai dovrebbero sentirsene offesi gli scolari ebrei? Cristo non era forse
un ebreo e un perseguitato morto nel martirio come milioni di ebrei nei lager?
Nessuno prima di lui aveva mai detto che gli uomini sono tutti uguali e
fratelli.
A me sembra
un bene che i bambini, i ragazzi lo sappiano fin dai banchi di scuola”.
Basterebbe raccontarlo a tanti ignorantissimi genitori, insegnanti, ragazzi: e
nessuno – ateo, cristiano, islamico, ebreo, buddista che sia – si sentirebbe
minimamente offeso dal crocifisso. Ma, all’uscita della sentenza europea,
nessun uomo di Chiesa è riuscito a farlo. Forse la gerarchia è troppo occupata
a fare spot per l’8 per mille, a batter cassa per le scuole private e le
esenzioni fiscali, a combattere Dan Brown e Halloween, e le
manca il tempo per quell’uomo in croce. Anzi, le mancano proprio le parole.
Oggi i peggiori nemici del crocifisso sono proprio i chierici. E i clericali.
da Il Fatto
Quotidiano n°38 del 5 novembre 2009
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