lunedì, aprile 27, 2015

LIBIA, CON IL SENNO DEL… PRIMA

di Agostino Spataro
Pubblico alcuni brani tratti da un mio libro per  evidenziare l’errore compiuto, intenzionalmente, dalla classe dirigente italiana (governanti, leader politici, parlamentari, giornalisti di grido e loro editori, capitani d’industria, banchieri, ecc. ) per avere voluto o subìto la guerra alla Libia. Solo ora, qualcuno l’ammette senza, per altro, un minimo di autocritica. Le disastrose conseguenze sono sotto gli occhi di tutti e le stanno pagando le masse di disperati in mano a schiavisti ingordi e senza scrupoli e i diversi Paesi del Mediterraneo, in primo luogo la Libia e l’Italia. Se volete, date un’occhiata sotto e non abbassate la guardia poiché, forse, stanno preparando un’altra guerra contro quel che resta della Libia.  
(dal capitolo II “La Libia che ha trovato e che ha lasciato” - pag. 29-33)

“Gheddafi avrebbe dovuto intuire che la sua sorte personale era segnata. Gli ex amici gliela avrebbero fatta pagare con la vita, per tappargli la bocca. In un articolo dell’agosto 2011, in piena guerra civile li­bica, af­frontai questo tema, anche alla luce dell’uccisione di Osama Bin Laden in Pakistan da parte delle forze speciali Usa.
Un articolo, antecedente all’assassinio del Colonnello che, riporto di seguito poiché mi pare conservi tutta la sua amara attua­lità, anche a correre il rischio di apparire il solito “io l’avevo detto”.
A tale proposito, desidero far notare che quando si valutano le re­sponsabilità di un errore, a dare spiegazioni non deve essere chi lo aveva preavvertito, ma chi lo ha compiuto, nonostante l’avviso.
Se a compiere l’errore è una personalità pubblica, questi non può tentare di cambiare le carte in tavola e/o mostrarsi infastidito con chi gliene ricorda la responsabilità, ma dovrebbe semplice­mente ammettere la colpa e lasciare  l’incarico.
Purtroppo, l’esperienza insegna che i previdenti sono spesso emar­ginati, dileggiati, mentre gli imprevidenti persistono nell’errore e nel comando. 
Ma andiamo all’articolo, apparso in “Il Dialogo. org” dell’agosto 2011. E’ un po’ lungo, ma forse aiuterà a riflettere.
“Gheddafi farà la stessa fine di Osama Bin Laden? Probabilmente, sì. Alcuni lo auspicano, taluni ministri degli esteri lo minacciano, apertamente.
Se ciò dovesse accadere, non sarà certo per “spirito di vendetta degli “insorti”. Quali ragioni avrebbero di vendicarsi quei suoi sodali che fino all’altro ieri, per 42 anni, hanno comandato e con­diviso col dittatore potere e ricchezza?
Sarebbe ucciso per tappargli la bocca, per evitare che in un pro­cesso equo e pubblico potesse chiamare in correità i suoi ex amici, libici e internazionali.
Del resto, tale soluzione sarebbe in linea con la sorprendente deci­sione, assunta dalla presidenza Usa, di far assassinare Bin Laden, facendone addirittura sparire (in mare) il corpo.
Per tale decisione molti hanno esultato per lo scampato pericolo...
Con Gheddafi bisognava chiudere qualche anno fa, invece…
“Con Gheddafi il copione potrebbe ripetersi, per evitare che parlando in un processo possa creare molti imbarazzi e bloccare fulminanti carriere politiche in Libia e all’estero.
Soprattutto, di tanti capi di Stato occidentali i quali, nonostante il dittatore libico avesse ammesso la tremenda responsabilità per i due attentati agli aerei civili nei quali perirono circa 600 persone innocenti, lo hanno premiato accogliendolo nel club esclusivo dei loro amici e protetti..
Con Gheddafi, bisognava chiudere allora, isolandolo e invocando il principio di giustizia. Invece, non se ne fece nulla. Nemmeno al solerte Tribunale dell’Aja hanno aperto un fascicolo di atti rela­tivi.
È bastato che il colonnello pagasse un indennizzo alle famiglie delle vittime (che era la conferma agghiacciante della sua respon­sabilità) per fare esattamente il contrario di quanto andava fatto.
Si è avviata, infatti, fra i capi di Stato e di governo dell’Occidente una gara a chi per prima riusciva a “sdoganare” un terrorista reo confesso, a riceverlo presso le più prestigiose cancellerie, bacian­dogli persino la mano. Tutti, non solo Berlusconi.
Compresi i signori Sarkozy, Obama e i premier inglesi che come “cadeau” gli hanno consegnato libero l’unico imputato libico de­tenuto in Gran Bretagna per la strage di Lockerbie.
Il problema, dunque, che si pone non è nominalistico, ma di coe­renza politica e morale e di rispetto dei principi della legalità in­ternazionale e della nostra civiltà giuridica che condannano le in­gerenze esterne e la barbarie delle esecuzioni sommarie e i proces­si- farsa...
Missioni umanitarie più disastrose dei crimini dei ditta­tori
“Andiamo ora a questo ennesimo intervento militare “umanita­rio” che in realtà si sta dimostrando per quello che è: una guerra della Nato, con gli “insorti” al seguito, i quali  come ha detto effi­cacemente Edward Luttwak:“sparano per i cameraman delle tele­visioni”.
E poi, conti alla mano, si è dimostrato che questi interventi hanno provocato più morti e distruzioni di quelle provocate dai carnefici che si vorrebbero bloccare e punire.
Basta guardare l’abisso in cui sono stati trascinati l’Iraq, la So­malia, l’Afghanistan e ora la Libia.
Il caso dell’Iraq è davvero emblematico: Saddam Hussein è stato impiccato perché accusato di avere ordinato la strage di alcune migliaia di poveri sciiti, mentre la guerra di Bush junior, fino ad oggi, ha provocato diverse centinaia di migliaia d’innocenti vit­time irachene.
C’è chi parla di circa 600.000!
Anche la soppressione ingiusta di una sola persona dovrebbe far inorridire la coscienza di ognuno di noi. Tuttavia, se i numeri e la vita degli uomini hanno ancora un senso, tremila o cinquemila vit­time di Saddam non sono la stessa cosa delle trecento o cinque­centomila provocate dall’invasione militare di Bush e della coali­zione internazionale che com’è comprovato hanno deliberatamente falsato le prove per invadere l’Iraq.
Se Saddam ha pagato i suoi crimini con l’impiccagione, perché non devono pagare coloro che hanno provocato questo più grande sterminio? Perché l’ineffabile tribunale dell’Aja non ha aperto un fascicolo, un’inchiesta?”
La guerra a debito delle grandi potenze
“Tutto ciò è inaccettabile, immorale per una società libera e democratica. Si stanno devastando i bilanci degli Stati, contraendo debiti sopra debiti per finanziare guerre, nient’affatto umanitarie.
Perché deve essere chiaro che queste “grandi potenze” fanno le guerre a debito ossia con i soldi prestati dalla Cina e dai rispar­miatori nazionali e stranieri…
Inoltre, ribadisco che l’Italia partecipando alla guerra in Libia ha solo da perdere sul piano dell’immagine politica e su quello delle sue relazioni economiche e commerciali. Per certi aspetti, questa guerra è anche contro l’Italia.
Ovviamente, il nostro discorso è prima tutto politico, umanitario; coerente con il pacifismo insito nell’articolo 11 della nostra Co­stituzione che non può essere oscurato da quel vergognoso codi­cillo introdotto per vanificarlo.
Oggi, anche i grandi giornali italiani che hanno incitato alla guerra scrivono, allarmati, di come si potrà spartire il “bottino” ossia il tesoro del popolo libico: i grandi giacimenti d’idrocarburi e a quanto si dice le cospicue riserve finanziarie, anche in oro, e in titoli azionari, ecc.
Tutto sarà deciso a Parigi, su iniziativa di Sarkozy, il principale promotore del progetto “insurrezionale”, che vorrà fare la parte del leone, in accordo con gli altri due paesi della triade bellicista (GB e USA).”
Si può vincere la guerra, ma perdere il dopoguerra
“Non sappiamo che cosa sia stato promesso alle più alte Auto­rità italiane per indurle a far entrare il Paese in questa avventura, mettendo a disposizione navi, aerei e diverse basi italiane.
A quanto si vede, gli “insorti” preferiscono trattare con la triade e trascurano il governo italiano.
Se la tendenza dovesse essere confermata, si aprirebbero scenari molto problematici per l’Italia.
Il governo e il ceto politico italiano (di destra e di centrosinistra), stranamente unito in questa scelta improvvida, sapevano a quali conseguenze si andava incontro e avrebbero dovuto chiarirlo al Paese, al Parlamento. Non è stato fatto.
Perciò, crescono le inquietudini nell’opinione pubblica. È tempo che i nostri responsabili rispondano ai tanti quesiti che la gente si pone e fra questi alcuni davvero pregnanti e prioritari:
quale sarà il futuro dei nostri rifornimenti d’idrocarburi derivati dalla Libia (circa il 25% del fabbisogno totale italiano);
quali squilibri si potranno determinare nella bilancia commerciale italo- libica, unica in equilibrio con un paese petrolifero;
che fine faranno gli ambiziosi programmi d’investimento (in ri­cerca e produzione) di Eni e il ruolo stesso di questo colosso dell’energia (al 70% privatizzato) che fa ombra a molti all’estero e purtroppo anche in Italia.
cosa ne sarà dell’accordo d'indennizzo e di cooperazione firmato da Berlusconi e Gheddafi con un costo per l’Italia di cinque mi­liardi di euro in 20 anni;
come spiegano, infine, il rifiuto della Germania, paese membro della Nato e locomotiva dell’Unione Europea, di partecipare all’avventura libica.
Insensibilità o preveggenza della signora Merkel?
Le risposte, probabilmente, non verranno poiché questi signori si sentono invincibili con… i deboli. Attenzione, però, perché si può vincere la guerra ma perdere il dopoguerra.” [1]

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[1] A. Spataro in “Il Dialogo.org”, agosto 2011

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