Sergio Mattarella |
Pubblichiamo l'articolo di Agostino Spataro del dic. 2003 (La Repubblica/Pa), nel
quale si rileva la posizione dell'on. Sergio Mattarella unica, fra gli esponenti
politici siciliani del tempo, a chiedere l'abolizione dell'Autonomia speciale
siciliana.
L'autonomia non serve più
di Agostino Spataro
In un clima di preoccupante infiacchimento democratico, comincia a prendere
forma l' atteso confronto sulle proposte di revisione dello statuto speciale.
Il dibattito si sta svolgendo sottotono e fra addetti ai lavori. Una
sottocommissione dell'Ars ha già abbozzato un testo che, nella sostanza,
conferma mirabolanti promesse di sviluppo e prerogative che ormai la gente
considera come ingiustificati privilegi. Il primo problema dei legislatori
sembra quello di difendere, dalla minaccia incombente del federalismo
livellatore, la comoda nicchia di potere costruita dietro il paravento dell'
autogoverno e del progresso del popolo siciliano. Principi nobilissimi,
esaltati a parole e mortificati dall' azione concreta, che nel tempo hanno
ingenerato un madornale equivoco nel quale sono cadute tantissime persone in
buona fede che hanno creduto nell' autonomia come strumento di emancipazione
economica e di partecipazione democratica.
In realtà, nella sua fase iniziale l' autonomia aprì spazi interessanti per
il rinnovamento delle arcaiche strutture della società siciliana, si accese una
speranza nuova ben presto vanificata da una gestione della Regione e dei suoi
enti di tipo clientelare e subalterna agli interessi forti e parassitari.
Intorno al collo della giovane Regione venne teso un nodo scorsoio che la sta
soffocando lentamente. In 56 anni, vi sono stati solo due tentativi (entrambi
falliti) di rompere questo cerchio opprimente: la confusa rivolta milazziana
sul finire degli anni Cinquanta e 20 anni dopo le intese di "solidarietà
autonomistica" che videro impegnate due prestigiose personalità: il
presidente comunista dell' Ars, Pancrazio De Pasquale, e il presidente
democristiano della Regione, Piersanti Mattarella, assassinato nel gennaio del
1980, dopo meno di due anni dal clamoroso assassinio del suo maestro, Aldo
Moro. Per il resto nulla. Soltanto la linea piatta di una gestione burocratica
e sprecona, la cui più significativa performance è stata la politica del
"consociativismo", ovvero il tentativo maldestro di omologare l'
opposizione al potere dominante. Il bilancio dell' autonomia speciale è,
dunque, negativo. Lo statuto ha subito una sorte infelice: in parte inapplicato
e in gran parte distorto rispetto alle legittime aspirazioni. La Sicilia non ha
avuto né l' autogoverno né il promesso sviluppo per recuperare il divario
esistente col resto del Paese. Nei fatti, l' Autonomia è divenuta un
asfissiante recinto che impedisce lo scambio fecondo e innovativo fra la
Sicilia, l' Italia e il mondo. Tutto ciò, mentre si assiste quotidianamente a
fatti e vicende che aggravano il penoso decadimento, morale e funzionale, delle
istituzioni e dell' amministrazione regionali. La prova più evidente e
drammatica di questo fallimento è la ripresa del flusso migratorio che vede decine
di migliaia di giovani lavoratori, intellettuali e anche studenti costretti a
lasciare l' Isola perché non trovano un lavoro degno e giuridicamente tutelato
e non accettano di vivere (e di studiare) in una realtà disgregata, sottoposta
a una sorta di regime a sovranità limitata. E così, dopo i braccianti, gli
operai e gli artigiani, stanno partendo i diplomati, i laureati non
raccomandati, gli intellettuali, i tecnici e i manager veri, mentre restano
quelli inventati e debitamente lottizzati che stanno portando al disastro
interi comparti dell'amministrazione, dei servizi e dell' economia. Si vuole
conservare e, se possibile, rafforzare l' Autonomia speciale perché è l' unica
fonte di legittimazione di questo intollerabile stato di cose. Il binomio specialità-democrazia
non ha funzionato, anzi si è ampliato il distacco fra cittadini e Regione. è
tempo di prendere atto di una realtà evidente: l'autonomia speciale è morta nel
cuore della stragrande maggioranza dei siciliani. Per altro, una specialità così
esasperata e inconcludente viene percepita come uno strumento arcaico (più
adatto a società irredenti e/o minorate), in contrasto con la visione moderna e
dinamica dell' organizzazione amministrativa che si sta definendo ai livelli
nazionale (federalismo), europeo ed euromediterraneo. In un contesto di
globalizzazione, la Sicilia è chiamata a misurarsi con le grandi sfide del
tempo presente: in particolare con quelle della pace e della cooperazione nell'
area mediterranea e nel Medioriente, dell' innovazione tecnologica e
scientifica, di uno sviluppo diffuso e compatibile con l' ambiente e con le
tradizioni storiche e culturali, per creare una rete efficiente di servizi e un
autentico mercato concorrenziale al posto dell'attuale, avvilente sistema segnato
dal condizionamento clientelare, parassitario e familistico. Rispetto alle
angustie della tragica illusione separatista, l' orizzonte del nostro futuro
autonomistico si è, infatti, enormemente ampliato e ci accomuna con quello
delle più importanti regioni italiane ed europee. D' altra parte, sappiamo che
la specialità degli statuti non garantisce automaticamente lo sviluppo, anzi -
come nei casi della Sicilia e della Sardegna - può diventare una pesante
remora. In ogni caso, la "specialità" non è un tabù e se ne deve
parlare senza recondite ipocrisie. L'occasione potrebbe essere, appunto, il
dibattito sulla revisione che, invece di essere orientato nella ricerca di
nuovi espedienti normativi, dovrebbe puntare a una scelta di rottura col
passato, rinunziando (sì, rinunziando!) alle residue competenze specialistiche,
allineando la Regione siciliana alle altre che, pur avendo uno statuto
ordinario, hanno raggiunto un livello davvero invidiabile di sviluppo economico
e civile. Una tesi ardita destinata a cozzare contro un muro di gomma.
Tuttavia, è confortante sapere di condividerla con Sergio Mattarella che di
riforme istituzionali se ne intende, l'unico deputato siciliano ad avere avuto
il coraggio di sostenerla pubblicamente.
AGOSTINO SPATARO
"La Repubblica" del 06 dicembre 2003 sez.
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