Il 5 aprile
del ’92 la moglie di Provenzano si materializza a sorpresa a Corleone dopo
vent’anni passati alla macchia a fianco del marito, il superlatitante Bernardo
Provenzano. Il collaboratore Filippo Malvagna rivela di aver saputo da un
carabiniere ”amico” che nel periodo tra le due stragi siciliane la donna si
incontrava con un capitano dell’Arma. Una vicenda che oggi viene riletta nel
quadro della trattativa Stato-mafia
Questa è la
storia di una donna che torna a casa, nella sua casa di Corleone, dopo
vent’anni passati alla macchia accanto al capo della mafia trattativista, alla
vigilia delle stragi siciliane del ’92.
E’ la storia di Saveria Benedetta
Palazzolo, ex camiciaia di Cinisi, il paese di don Tano Badalamenti,
ma soprattutto moglie del boss Bernardo Provenzano, che il 5 aprile di
quell’anno, il giorno delle ultime elezioni politiche della Prima Repubblica,
si presenta alla stazione dei carabinieri del paesino tra le montagne del
palermitano: “Sono la donna di Provenzano – dice – non ho conti aperti con la
Giustizia. Voglio vivere a Corleone in santa pace”. La vicenda è raccontata in
un articolo pubblicato l’11 aprile del ’92 dal quotidiano L’Ora, pochi giorni
prima della chiusura definitiva di quel giornale: ”La donna del padrino –
scrive il cronista de L’Ora – è protetta: le hanno dato una scorta. Gli
investigatori hanno paura che questo ritorno significhi qualcosa di più. Temono
che ai vertici di Cosa Nostra sia avvenuta una spaccatura insanabile”.
Perchè
Provenzano spedisce la moglie e i due figli Angelo e Francesco Paolo in
paese poco dopo l’omicidio Lima, il giorno dopo l’agguato mortale al
maresciallo Giuliano Guazzelli e proprio alla vigilia della strage di
Capaci? E’ l’interrogativo che oggi si pongono i pm che indagano sulla
trattativa Stato-mafia, ipotizzando che quel ritorno a sorpresa della donna e
della famiglia del boss nella casa di Corleone possa essere legato al dialogo tra
pezzi di Cosa nostra e gli apparati dello Stato. Due mesi dopo, nel giugno ’92,
il capitano del Ros Giuseppe De Donno aggancia Massimo Ciancimino
per avviare i colloqui con suo padre, alter ego di Provenzano. Sono gli
incontri ai quali parteciperà, qualche giorno dopo, anche il generale del Ros Mario
Mori che, secondo la ricostruzione dei pm, farà partire da quel momento la
trattativa con don Vito Ciancimino che parla per conto dello
stesso Binnu, il famigerato ”ingegner Lo Verde”.
Il rientro
di Saveria Palazzolo può essere letto come il prologo
dell’interlocuzione tra mafia e Stato? E’ possibile che il dialogo tra
Provenzano e gli apparati fosse cominciato subito dopo l’omicidio Lima? E cosa
succede dopo il rientro di Saveria a Corleone? La risposta probabilmente
la fornisce il pentito Filippo Malvagna, boss catanese ritenuto dagli
inquirenti ”altamente attendibile”. Due anni dopo le stragi siciliane, nel’ 94,
Malvagna racconta: “Tra la bomba di Capaci e quella di via D’Amelio,
si avvicinò il carabiniere Cosimo Bonaccorso, che era sul libro paga sia
di Cosa nostra palermitana che di quella catanese, per consegnarmi un biglietto
dove c’era scritto che da lì a poco ci sarebbe stato un incontro tra la moglie
di Bernardo Provenzano, Saveria Benedetta Palazzolo, e un capitano dei
carabinieri, per un’eventuale collaborazione, in una località di campagna”. Malvagna
dice di aver portato quel biglietto a Catania, di essere stato convocato dal
Gotha di Cosa nostra etnea che dopo aver letto il contenuto dell’appunto, lo
congedò con l’ordine di dimenticare tutta la vicenda: ”Questa storia muore
qui”. I boss catanesi, in pratica, erano stati informati in diretta da un
carabiniere amico che la moglie di Provenzano si incontrava con uomini
dell’Arma negli stessi mesi in cui don Vito parlava con l’allora colonnello Mori
e l’allora capitano De Donno. Ecco perchè anni dopo, il pentito Nino
Giuffrè racconterà che ”da Catania arrivava la voce che Provenzano
fosse sbirro”. Giuffrè, tra l’altro, aveva parlato di un avvio di
collaborazione tra Provenzano e i carabinieri, sempre proprio attraverso
la moglie del capomafia.
Malvagna fa le sue dichiarazioni nel ’94, ma
nessun inquirente ordina un approfondimento di indagine su quel biglietto e
sugli incontri tra la compagna di Provenzano e il carabiniere. Bisognerà
aspettare altri vent’anni, quando nel 2014 il collaboratore ripeterà il suo
racconto nel processo sulla trattativa Stato-mafia. Ora gli inquirenti
non possono non interrogarsi sulla possibile esistenza di un nesso tra quel
rientro di Saveria Palazzolo a Corleone e l’avvio dell’interlocuzione
tra i boss e le istituzioni.
Ma non è
tutto. Un dato altrettanto interessante riguarda le intuizioni profetiche
degli investigatori in quella primavera del ’92: come si legge
nell’articolo de L’Ora dell’11 aprile di quell’anno, qualcuno sospettava
già all’epoca ”una spaccatura insanabile ai vertici di Cosa nostra”. Prima
ancora delle stragi, come mai si ipotizzava già quella rottura tra
Riina e Provenzano che nove mesi dopo avrebbe portato alla cattura di Totò
u curtu? In realtà, qualche mese dopo, subito dopo Capaci e via D’Amelio,
rileggendo il rientro di Saveria Palazzolo a Corleone, gli
investigatori ritennero addirittura che Provenzano potesse essere morto:
ed è per questo che Binnu non figura tra i mandanti dell’omicidio
Lima, nel processo aperto a Palermo nel ’94. Ma Binnu in quei giorni
era vivo e attivo più che mai: e muovendosi dietro le quinte delle stragi,
lavorava al nuovo patto tra Stato e mafia.
L’Ora
quotidiano, 19 gennaio 2015
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