Il premier Matteo Renzi |
Con tutta
‘sta pippa della crisi dell’ideologia, e che l’ideologia è morta, e che
ormai “ideologico” pare un insulto peggio che “pedofilo” o “truffatore”, si sta
perdendo di vista un piccolo dettaglio: che l’ideologia è viva e lotta insieme
a noi. Anzi, contro di noi. E un caso di scuola ci viene dalle recenti imprese
del governo Renzi, prima tra tutte quella del blocco degli stipendi del
pubblico impiego: circa tre milioni di lavoratori per una
“manovra” (un pezzettino di quella manovra correttiva che “non ci sarà”, ma
invece c’è eccome) da circa tre miliardi. Non si entrerà qui nel merito del
provvedimento: secondo la Cgil l’introito medio perso da ogni lavoratore sarà
di circa 600 euro nel 2015, come dire che gli statali renderanno nel 2015 i
famosi 80 euro ricevuti nel 2014, e vabbè. Si vuole invece affrontare qui il
discorso, per l’appunto, ideologico.
Come si sa,
il governo Renzi gode di grande sostegno e popolarità, e come si sa è sostenuto
quasi militarmente da alcune falangi di fedelissimi piuttosto acritici,
soldatini sempre in piedi dei social network. È bene ascoltarli, perché sono
loro a tradurre in parole nette l’ideologia corrente. Il più chiaro esempio di vulgata
renzista di fronte al blocco degli stipendi pubblici (praticamente un
taglio, specie se si pensa che il 2015 sarà il quinto anno consecutivo di
blocco) è il seguente: “Gli statali hanno un lavoro”. Di più: “Un lavoro
fisso”. Che sia un lavoro pagato poco, sì, lo dicono anche loro (specie quando parlano
di docenti, maestri e professori, notevole base elettorale) ma per ora è quel
“posto fisso” che disturba, che offende, che indigna.
Prima
lezione di ideologia: invece di battersi per un “posto fisso”, o almeno
dignitoso e minimamente garantito per tutti, si demonizza chi ce l’ha. Insomma,
il meccanismo è semplice: si prende un diritto che a molti è
ingiustamente precluso e lo si chiama “privilegio”, additandolo al pubblico
ludibrio. Ora ci sono due componenti di questa posizione altamente ideologica
che si sposano mirabilmente. Il primo è la lenta, ma inesorabile, distruzione
dell’immagine del dipendente pubblico. Una cosa che prosegue da anni e anni: è
ladro, non lavora, va al bar, eccetera.
Il secondo
dato ideologico è la vera vittoria del renzismo: aver trasferito
l’invidia sociale ai piani bassi della società. Quella che una volta si
chiamava lotta di classe (l’operaio con la Panda contro il padrone con la
Ferrari) e che la destra si affannava a chiamare “invidia sociale”, ora si è
trasferita alle classi più basse (il precario con la bici contro l’avido e
privilegiato statale con la Panda). Insomma, mentre le posizioni
apicali non le tocca nessuno (né per gli ottanta euro, né per altre
riforme economiche è stato preso qualcosa ai più ricchi), si è alimentata
una feroce guerra tra poveri. Una costante corsa al ribasso che avrà effetti
devastanti. Perché se oggi un precario può dire al dipendente pubblico che è
privilegiato, domani uno che muore di fame potrà indicare un precario come
“fortunato”, e via così, sempre scavando in fondo al barile. Si tratta
esattamente, perfettamente, di un’ideologia. Chissà, forse qualcuno farà notare
che considerare privilegiato un professore a 1.500 euro al mese non è sano né
giusto. Specie se a quel “posto fisso” così scandaloso sono aggrappati figli
precari o mogli sottopagate, se quel “posto fisso”, insomma, è – oltreché un
diritto che dovrebbero avere tutti – un surrogato del welfare che dovrebbe
esserci e non c’è.
@AlRobecchi
Il Fatto Quotidiano, 11 settembre 2014
Nessun commento:
Posta un commento