di SALVATORE PARLAGRECO
Da Palermo a
Napoli, poi a Genova, per citare le tappe più significative, sono trascorsi tre
anni fra le primarie democratiche del capoluogo siciliano e quelle liguri,
quanto basta perché l’aspirazione alla democrazia compiuta sia, forse,
definitivamente archiviata. Le primarie per la scelta del candidato sindaco del
centrosinistra a Palermo furono una calamità. Vennero chiamati in causa
i carabinieri, i magistrati, fu evocata la mano della mafia, denunciati
brogli, intrighi. Un teatrino davvero deprimente, con un copione volgare di
insulti. La lezione sarebbe dovuta servire a qualcosa. Pareva che la babilonia
avesse seppellito l’esperimento e che nel Pd si trovasse il tempo per
ridiscutere le primarie, invece non è accaduto niente. Di quelle giornate
furibonde si è anzi persa la memoria, non c’è traccia nemmeno degli
interventi ordinati dall’autorità giudiziaria.
Capitò di
peggio a Napoli. Ma non è servita nemmeno l’esperienza campana per mettere
giudizio. Per quale ragione? Le primarie per scegliere il segretario nazionale
del partito – con Bersani prima e Renzi poi – filarono lisce come l’olio,
dando anzi al Pd uno slancio notevole, che avrebbe provocato, con la scelta del
segretario tuttora in carica, un ricambio generazionale senza precedenti nella
storia politica d’Italia.
Grazie alle
perfomances “nazionali”, le primarie hanno ripreso fiato. Fino a che non è
arrivata la sfida di Genova fra Cofferati e Paita, persa dall’ex segretario
della Cgil, con il suo strascico pesante. Cofferati, uno dei 45 fondatori del
Pd, si è sentito tradito dai vertici del Pd. Credendo di avere subito un
grave torto, per le modalità con cui sono state celebrate le primarie, ha
deciso di lasciare il partito, dopo avere denunciato, inascoltato, presunti
brogli, e il plateale intervento dell’opposizione di centrodestra a favore del
suo avversario.
In consiglio
regionale, è Cofferati a ricordarlo in una intervista a Sky 24, i consiglieri
di Forza Italia avrebbero detto chiaro e tondo di partecipare alle primarie del
Pd per dare una mano allo sfidante di Cofferati, con lo scopo dichiarato
di costruire, all’indomani del voto, una maggioranza ed un governo di larghe
intese. Non lo sanno, ma così facendo, hanno firmato la morte “civile” delle
primarie.
Che i gazebo
del Pd siano stati invasi dal nemico non è stato provato (ma come potrebbe
essere provato?), ma acquista rilevanza la scelta pubblica delle opposizioni.
Che Cofferati non ha affatto digerito la sconfitta, tra l’altro, è
comprensibile, e potrebbe spiegare la sua severa ricostruzione dei fatti. Abbia
ragione o meno, tuttavia, poco importa. Ciò che conta è che per la prima volta
le primarie non sono state “solo” il consueto campo di battaglia di militanti
ed agit prop, il terreno dei colpi bassi e degli intrighi, insulti e
espedienti, ma il luogo dell’imbroglio politico “palese”. Si sarebbe compiuto,
infatti, con successo il tentativo dichiarato di determinare dall’esterno, le
scelte del Pd. Ciò che è avvenuto a Genova, prova dunque in modo
incontrovertibile che le primarie, senza paletti e regole rigide, sono un
boomerang, “inaffidabili” e dannose. La democrazia, invece che celebrare il suo
apogeo, viene tradita in modo spettacolare.
I forzisti
che hanno aiutato l’avversario di Cofferati a vincere forse non si sono nemmeno
posti il problema, affatto secondario, degli effetti dirompenti della loro
iniziativa, ma hanno messo k.o. uno degli elementi di novità, il più
importante, della vita politica italiana. La partecipazione ai non iscritti
allarga gli spazi di democrazia nel Paese, e non va quindi, archiviata, ma
non si potrà fare a meno di modificare le regole, affinché il diritto di
voto non sia concesso agli “infiltrati”.
Ora tocca al
gruppo dirigente del Pd correre ai ripari, al di là della querelle genovese.
Sarà inevitabile segnare una linea di demarcazione fra iscritti da una parte e
simpatizzanti, in modo da offrire ai primi il diritto di scegliere i dirigenti,
ai secondi, di indicare le rappresentanze istituzionali.
Insomma,
primarie politicamente corrette, altrimenti finisce che da qui a poco, a
dettare legge nel Pd, siano gli altri, quelli che hanno interessi
contrapposti. Un maledetto imbroglio da cancellare, anche per non giustificare
gli schieramenti politici che hanno abolito la democrazia interna.
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