Mentre il
governo approva il piano di stabilità e sono prossime la nuova legge elettorale
e i decreti attuativi del Jobs act, la scena politica italiana è oscurata dalle
imminenti dimissioni del Presidente Napolitano. Chi succederà al Quirinale?
Facciamo qualche ipotesi.
Le
dimissioni di Napolitano sono imminenti. Una cosa sgradita al PD, specie ai renziani, che
avrebbero voluto più tempo, almeno per far approvare le prime riforme i cui
iter sono ormai in dirittura d’arrivo. La riforma del Senato, l’Italicum, la
scuola, la giustizia. Se ne dovranno fare una ragione. A quasi novanta anni il
Presidente, con quel senso dello Stato che ne ha contraddistinto i suoi
mandati, ha diritto, ha bisogna umanamente, di potersi ritirare dalla scena
politica.
Questo apre
i giochi sul prossimo inquilino del Quirinale. Un ruolo quello del Presidente,
che in Italia, negli ultimi anni, ha sempre più perso il suo significato di
pura rappresentanza e che, senza stravolgere le prerogative costituzionali
previste, ha riscoperto funzioni di sempre maggior peso nella vita politica
italiana.
Già il
“picconatore” Cossiga, partito in modo molto soft, come si voleva nella
tradizione democratica o democristiana del nostro paese, fini negli ultimi mesi
del suo mandato (si dimetterà prima della conclusione), per essere un autentico
flagellatore delle abitudini politiche della prima repubblica, prima di lui
l’emotivo Pertini che, in diverse occasioni, uscì fuori dai protocolli e dalle
convenzioni italiane (si veda il caso Vermicino, il terremoto in Irpinia, i
mondiali di calcio vinti nel 1982).
Ma è
soprattutto con la seconda repubblica e con l’insorgere dell’anomalia berlusconiana, che
nell’ottica costituzionale del bilanciamento dei poteri che il Quirinale ha dovuto
accentuare il suo ruolo e la sua presenza, specie nel richiamo al parlamento,
spesso rinviando leggi troppo accondiscendenti al ex cavaliere, intervenendo, a
volte anche a gamba tesa, per il rispetto delle prassi costituzionali e delle
regole del gioco democratico. Scalfaro addirittura, nel rispetto di quanto
previsto dalla nostra carta fondamentale, si rifiutò di nominare ministro della
giustizia Cesare Previti, allora avvocato di Berlusconi, una prassi più che
rara per il Quirinale.
Del resto,
diversamente da quanto si considera nell’opinione pubblica, il Capo dello Stato
è figura centrale nel delicato sistema di equilibri di potere tra le
istituzioni e non è un
caso che le attraversa tutte, agendo sul parlamento con la possibilità di
comunicazione e di richiamo sulle Camere, deve promulgare sanzionando le leggi
del parlamento, sottoponendole ad un primo esame di costituzionalità e direi di
opportunità politica, potendo finanche rinviarle al parlamento, emana decreti
presidenziali, nomina il capo del governo e i ministri, sia pure sotto il
suggerimento del nominato presidente del consiglio, tenendosi spesso in
contatto con la sua presidenza. E’ alla testa delle forze armate e dichiara,
ascoltato il parlamento, lo stato di guerra. Ma incide anche sul potere
giudiziario, sempre nel rispetto dell’autonomia della magistratura, nominando
in parte e presiedendo il Consiglio Superiore di Magistratura (il CSM),
rappresenta l’Italia all’estero ed è al comando della diplomazia italiana.
Insomma,
davvero non si può parlare di una figura di mera rappresentanza.
La
fotografia dello stato di debolezza della politica nostrana, si ebbe con la débâcle dell’aprile
2013, al termine del primo mandato di Napolitano, con un parlamento che dopo
essere stato per decenni incapace di fare le riforme, si dimostrava finanche
incapace di scegliere un nuovo Capo di Stato, con gli insuccessi prima dei
candidati Marini e Rodotà, poi con Prodi affondato da ben 101 franchi tiratori
di cui numerosi dalle fila del PD.
Tanto
indusse alla soluzione, inevitabilmente provvisoria, del ritorno di Napolitano,
caso unico nella nostra storia repubblicana, il quale tenne un discorso
veemente e carico di rimprovero verso una classe politica inconcludente nello
scegliere, nell’innovare e riformare il Paese, il tutto in un clima surreale,
dove i fustigati parlamentari applaudivano compiaciuti, ad ogni passaggio, al
loro invocato fustigatore.
Allora c’era
Bersani, oggi c’è Renzi che spera di chiudere la partita dell’elezione al Quirinale con poche e
precise mosse. Ma allora, c’era anche Berlusconi, il quale godeva ancora di un
forte sostegno popolare e di un partito coeso, mentre oggi la destra appare
un’entità oscura, per certi versi indecifrabile, frammentata e divisa in mille
rivoli, che faticano ad avere una sintesi.
I desideri
del nostro attuale premier potrebbero, ancora una volta, scontrarsi con una
realtà politico parlamentare che è figlia di un’altra fase politica, verrebbe
da dire, per certi versi di un’altra epoca.
Gli italiani
si sa amano giocare, prevedere,
scommettere, come quando il sabato si parla delle partite di calcio della
domenica e poi amano commentare, dire la loro, sulle previsioni che giornali e
televisioni arrischiano.
Ci
adattiamo, con qualche riflessione, dicendo la nostra sui numerosi nomi che
vengono lanciati sul tappeto del Quirinale.
Vediamo che
a destra, ma non solo, sono gettonate alcune personalità che hanno
contraddistinto gli ultimi anni della nostra storia politica.
Mario Draghi. Il potente capo della BCE,
piacerebbe, si dice al cavaliere ma era in lizza anche per partiti politici un
tempo di un certo peso, si pensi ad Italia dei valori. Si tratta di persona di notevole
statura internazionale, esperto economista specie sui temi di politica
monetaria, fine conoscitore delle lingue straniere (cosa non sempre scontata
nella diplomazia italiana). Ma la realtà è che Draghi ha dichiarato la sua
contrarietà a questa ipotesi, nella consapevolezza di essere un importante
catalizzatore nelle politiche europee ed un argine allo strapotere attuale
tedesco. Certamente sarebbe il candidato ideale per Angela Merkel, visti i
continui scontri avuti tra la BCE e la Bundesbank tedesca. Volentieri la
Germania vorrebbe liberarsi di Draghi, una cosa che obbiettivamente non
conviene né all’Italia, né all’Europa.
Paola
Severino.
Stimatissima avvocatessa già collaboratrice di Giovanni Maria Flick alla Luiss,
curiosamente piace a Berlusconi, malgrado sia stata la fautrice di quella legge
sull’anticorruzione che di fatto lo escluderà fina alla metà del prossimo
febbraio dalla politica attiva. Viene dal mondo della giustizia, essendo stata
anche un’apprezzata ministro nel governo Monti. Il suo limite è in una scarsa
conoscenza della politica internazionale, un ambito essenziale per una figura
istituzionale di questo tipo, specie in tempi di globalizzazione. Un tecnico
più che un politico proprio ora che con il nuovo corso “renziano” si cerca di
riabilitare l’immagine della politica rendendola più vicina ai cittadini.
Mario Monti. Piace ai centristi di destra e
sinistra. Prima della salita in politica godeva di un credito enorme e per un
certo tempo è stato visto come il successore ideale di Napolitano. Oggi la sua
figura appare un po’ decotta. Troppi errori politici, con la sua presentazione
alle elezioni ed il flop, inevitabile, quando da figura nuova finì per
compromettersi con personaggi che nell’immaginario collettivo rappresentavano
la vecchia politica dei palazzi e degli inciuci, come piaccia o no, era ed è
considerato Pierferdinando Casini, che nel centro destra è una sorta di swinger
al pari di Rutelli per il centrosinistra. Insomma la coerenza e il rigore
montiano finirono per scontrarsi e annullarsi nell’abbraccio con il pragmatismo
e l’incoerenza dell’ex delfino di Forlani.
Altri
“papabili” a destra sarebbero proprio Casini, Sergio Mattarella (potrebbe
piacere anche a sinistra) Violante (che curiosamente potrebbe non piacere a
sinistra). Si tratta tuttavia, di figure che ci sembrano abbiano poca
possibilità di riuscire, ma la storia dell’elezioni a Presidente della
Repubblica è piena di sorprese, come, ad esempio, fu l’elezione di Scalfaro e
quindi non si può mai dire.
Veniamo a
sinistra.
Romano Prodi. E’ certamente il primo della lista
ed in quanto tale rischia fortemente di bruciarsi. Uno dei principali
costruttori dell’Ulivo, non a caso, dopo la drammatica sconfessione dei 101, ha
tenuto a precisare che non è interessato. Eppure Renzi l’ha convocato a palazzo
Chigi, una mossa che si offre a diverse interpretazioni. Rasserenare il clima
con la minoranza PD, minacciare Berlusconi, che vorrebbe frenare sulle riforme,
per essere della partita al Quirinale. Personalmente credo che Renzi pensi a
Prodi per un ruolo nella politica internazionale. Una cosa da considerare
tenendo conto che l’economista che fu alla guida dell’IRI, che ha sostenuto ben
due incarichi (con scarsa fortuna e non per sua sola colpa) di presidente del
Consiglio, lavora da qualche tempo sulla scena internazionale. Fosse vera
l’ipotesi che per lui si pensa alla presidenza dell’ONU? Magari con il sostegno
dell’Europa? La salita al colle di Prodi appare, sinceramente faticosa, la
persona meriterebbe, ma finanche i cinque stelle oggi si dichiarano contrari
(del resto, sarebbe davvero bislacco che i promotori dello sconcertante
referendum contro l’euro sostenessero poi per il Quirinale, il padre dell’euro
in Italia), certamente Forza Italia non avallerebbe, sulla vanità di Berlusconi
pesano le due sconfitte su due subite nei confronti con il Professore. Io
faccio un’ipotesi. E se Prodi, stesse lavorando per un altro? Magari per il suo
delfino Veltroni?
Walter
Veltroni. Non mi
stupirebbe la sua elezione. Veltroni può mettere d’accordo quasi tutti. Intanto
il PD perché qualora non fosse possibile l’elezione di Prodi, credo che anche
le ali più dure ed ortodosse del PD faticherebbero a dire no al suo più leale
sostenitore. La stessa destra, potrebbe in parte dire si, visto che Veltroni
non è la rappresentazione del “nemico” del cavaliere come fu Prodi. Si tratta
di una figura gradita ai cittadini, ancora “abbastanza giovane”, il suo
“buonismo” è figlio di un’indubbia sensibilità umana e politica. Gode di una
certa considerazione anche in sede internazionale, è stato colui che più di
tutti ha costruito le premesse per una sinistra nuova in Italia. Certamente
saprebbe farsi carico del suo ruolo superpartes. Certo non gradito agli M5S, ma
di questi tempi anche da lì potrebbero esserci diverse adesione, nel segreto
del voto, sul suo nome. Staremo a vedere.
Stefano
Rodotà. L’illustre
giurista, ha poco appeal su Renzi, ne ha fustigato a lungo le scelte e i metodi
(a volte al di là dei suoi effettivi demeriti), inoltre, Rodotà, non è un
politico che possa sintetizzare e riunire le diverse anime del paese, nella sua
“irrequietezza” è figura che divide che suscita passioni e contrapposizioni, è
stato sempre cosi sin dai tempi in cui si presentava come indipendente nelle
liste del PCI, il rischio è che possa essere un intralcio alle politiche di
modernizzazione del governo. Del resto la seconda repubblica è stata una
contrapposizione ventennale sulle cui basi non si è costruito nulla. Certo un
presidente opera in un settennato e bisognerebbe guardare oltre le contingenze
attuali. E’ un intellettuale, uno studioso, fautore di diversi movimenti nel
corso degli ultimi anni, attento e rigoroso difensore della nostra
Costituzione, ha diversi punti che lo renderebbero un candidato ideale, piace e
molto ai grillini e alla estrema sinistra, che ne hanno fatto una bandiera. Ma
potrebbe essere conciliante ed aiutare l’attuale governo? che già fatica per il
suo piano di riforme, visto le resistenze del sindacato, della stessa sinistra
ortodossa, nonché dei classici avversari della destra? Oppure rischierebbe di
essere un elemento in più per bloccare la già farraginosa macchina
istituzionale italiana?
Altri a
sinistra. Giuliano Amato (l’eterno candidato, la promessa che non arriva mai),
Pierluigi Bersani, oggi conciliante con Renzi, potrebbe essere gradito anche
alla destra, visto che lo smacchiatore, non riuscì mai nella sua impresa. Pier
Carlo Padoan, il ministro dell’economia, sull’esempio Ciampi, potrebbe essere
un buon candidato bipartisan, figura ben nota anche all’estero ma non di grande
popolarità in Italia.
Una donna?
Emma Bonino. La radicale, maestra di coerenza
su molte battaglie civili, gode di una certa popolarità anche internazionale
(tra l’altro parla finanche l’arabo), ma per lei vale il discorso di Amato. E’
un’eterna candidata, per la serie vorrei ma non posso. Eppure credo che
potrebbe piacere sia a destra che a sinistra, avendo peraltro frequentato nel
gioco delle alleanze politiche i due cantoni. Tuttavia, non è gradita
particolarmente a quella parte del mondo cattolico più conservatrice che già
fatica a digerire Papa Francesco. Indubbiamente potrebbe dare una scossa su
quei temi etici, verso i quali l’attuale governo ha dimostrato, almeno nelle
intenzioni, di essere sensibile.
Anna
Finocchiaro
Anna
Finocchiaro. Nelle
ultime ore, parrebbe addirittura anche su proposta Berlusconi, avanza il nome
della tessitrice del PD, colei che media tra le anime inquiete del partito e
che negli ultimi anni si è data un ruolo quasi di chioccia accompagnando
ministri come la Boschi e la Madia. Donna sanguigna, celebri i suoi veementi
interventi alla Camera come capogruppo, quando negli anni difficili del
berlusconismo, si contrapponeva con forza allo strapotere parlamentare
dell’uomo di Arcore. Fedele bersaniana, ha dimostrato di essere, avvenuta la
successione con Renzi, fedele al partito e alle sue regole muovendosi al più
nell’ombra ma senza dare in pasto ai media i suoi eventuali dissensi, come
invece altri fanno quasi quotidianamente. Una possibilità che magari ai
renziani più oltranzisti e dalla memoria lunga può non piacere ma si sa la
scelta del capo dello Stato è frutto di compromesso, come è giusto che sia.
Laura
Boldrini. L’attuale
presidente della Camera, giornalista e già alto commissario per le Nazioni
Unite per i rifugiati politici, nonché eletta in SEL, è figura suggestiva, ma
sarebbe la sua una carriera a dir poco napoleonica, già destò sorpresa la sua
elezione a Presidente del secondo ramo del parlamento. Peraltro, nel suo
incarico si è dimostrata efficacie, ma ha spesso smosso le ire dell’opposizione
specie dei cinque stelle che sono numericamente rilevanti ed inoltre non è
graditissima alla destra. La sua elezione sarebbe solo il frutto di un voto di
maggioranza ma non favorirebbe la coesione tra le diverse forze politiche, cosa
che tuttavia, è bene ricordare, accadde anche con Napolitano.
Altre donne
sembrano difficili da pronosticare. Caduta nell’oblio la Cancellieri, tenuta appena un
paio di anni fa in grande considerazione, resta Roberta Pinotti giovane
combattiva ministro della difesa, ma sono in flessione le sue azioni. C’è
finanche chi pensa a Rosy Bindi, ma francamente non sembra una candidata
possibile.
Insomma,
questi potrebbero essere dei nomi, ma la soluzione che Renzi promette rapida e
che potrebbe essere invece lunga, risiede tutta nella capacità politica dei
pontieri dei vari partiti di stilare una rosa di possibili nomi e di
concentrarsi su quelli evitando il pressapochismo che fu di Bersani, dove i
nomi venivano lanciati a caso, smuovendo le tensioni e le passioni dei
cittadini, in quella che fu la prima elezione a colpi di post su twitter e
giocata nella piazza del Quirinale e nelle piazze di internet con i
parlamentari, molti giovani ed inesperti, che venivano strigliati ad ogni passo
dagli elettori specie attraverso i social network.
Napolitano
parla d’imminenza delle sue dimissioni, ma fino alla fine del semestre europeo
(13 gennaio) resterà al suo posto. Diciamo che si ha ancora un mese di tempo.
Un tempo sufficiente per evitare improvvisate ed avere un presidente che ci
aiuti a completare il sempre accidentato percorso delle riforme.
Nicola
Guarino
Altritaliani.net
Altritaliani.net
2 commenti:
No dai veltroni no vi prego. é troppo cretino politicamente.
Rosaruio Accordino
Oddio c'è ne sia uno/a candidato/a buona
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