Un momento del dibattito |
Mario
Zito (direttore
dell’Accademia di Belle Arti di Palermo):«Mi sento onorato di presentare nella
nostra Accademia questa opera dell’urbanista Giancarlo De Carlo: un libro
complesso, che mi ha veramente appassionato, di cui abbiamo suggerito la
ripubblicazione e con il quale inauguriamo un percorso cui crediamo, con
povertà di mezzi ma con impegno autentico e con modalità interdisciplinari.
Pensiamo, in particolare, ad attività formative, organizzate in primo luogo dal
consiglio di Biblioteca, con l’impegno diretto del responsabile, prof.
Romanelli e di altri docenti. Queste attività sono finalizzate allo studio e
alla conoscenza di problematiche specifiche, legate non solo alle culture
artistiche, ma anche al sapere scientifico e ai contesti intellettuali e
sociali di riferimento. È inoltre motivo di orgoglio l’avere stabilito un
contatto sinergico con una casa editrice di indirizzo scientifico come Edizioni
di Storia e Studi Sociali, che ripropone il libro dopo venti anni dalla prima
edizione. Il progetto Kalhesa di De
Carlo è un’opera importante, non solo per Palermo e non solo per il mondo
dell’urbanistica. Per questo abbiamo deciso di esprimere, con l’organizzazione
del dibattito di stasera, la nostra piena condivisione».
Toni
Romanelli (docente di
Anatomia artistica all’Accademia): «Questo è un momento straordinario che pone
al centro un libro straordinario. Ci si può chiedere perché un testo come
quello di De Carlo sia presentato in un’Accademia di Belle Arti. Ma l’idea di
ripubblicare Il progetto Kalhesa
nasce da un momento magico che ha avuto luogo proprio in questa aula, quando
tramite un allievo dell’Accademia, Leonardo, ho avuto modo di entrare in
contatto con la casa editrice Edizioni di Storia. L’interesse per questo libro
è nato da una mia visita al convento dei Benedettini a Catania, quando mi sono
reso conto che l’intervento di restauro operato da Giancarlo De Carlo, insieme
con quello di Carlo Scarpa allo Steri di Palermo, definisce più di ogni altro
l’identità dell’architettura italiana contemporanea. È stata per me una
scoperta importante. Il libro nasce da un’esperienza tormentata nella capitale
siciliana, e ha una storia tormentata a sua volta, di cui l’autore dà conto
nell’introduzione. Esso è stato pubblicato venti anni fa da Marsilio, dopo che
l’editore siciliano che doveva pubblicarlo, mi dicono Sellerio, a bozze
corrette si era ritirato. Il fatto che adesso una casa editrice siciliana abbia
deciso di ripubblicarlo, peraltro in bella veste grafica, curata da Maurizio
Accardi, qui presente, costituisce allora una occasione storica, per la
scottante attualità del messaggio, che parla all’Italia intera, e per
sollecitare un dibattito che negli anni novanta, all’uscita della prima
edizione, è stato soffocato».
Carlo
Ruta (direttore di
EdS e saggista):«Abbiamo raccolto con slancio la proposta del prof. Romanelli,
perché il libro di Giancarlo De Carlo si situa con pienezza nel progetto che
abbiamo intrapreso negli ultimi anni, che non vuol essere editoriale nel senso
tradizionale: si tratta di un’esperienza, di un percorso di studi e di
sollecitazioni conoscitive che intende affrontare problemi irrisolti, rimuovere
luoghi comuni, intervenire sulle aree di rimozione che persistono nel tessuto
delle idee del nostro Paese. Ci siamo lasciati ispirare per certi versi
dall’Einaudi del secondo dopoguerra, entro cui sono confluite energie
intellettuali in grado di elaborare progetti civili di indubbio spessore. Ecco,
ritengo che dal Mezzogiorno, dalla Sicilia, sia opportuno proporre percorsi ed
esperienze di questo tipo, tentare strade difficili, elaborare idee e cercare
di rimuovere tutto ciò che opprime la conoscenza delle cose. Il progetto Kalhesa di De Carlo parla
una lingua che ci interpella: pone in discussione paradigmi, denuncia le
regressioni della politica, le logiche e i travestimenti del potere, indica
strade aperte. In sostanza, come ha ben detto il prof. Romanelli, il libro
dell’urbanista genovese porta con sé un messaggio importante, che non
appartiene solo a quegli anni e che rimane per certi versi attualissimo. Le
cronache, non soltanto politiche, testimoniano del resto più del necessario
quanto l’Italia dei nostri giorni sia omologa alla Palermo rappresentata da De
Carlo».
Maia
Rosa Mancuso (docente
di Elementi di architettura e urbanistica all’Accademia): «L’interesse di
Giancarlo De Carlo per la città mediterranea nasce dal tipo di complessità che
essa esprime. Kalhesa è Palermo: è un luogo particolare, che rappresenta
tuttavia, nello stesso tempo, una condizione universale. Nella città
mediterranea il disordine è in realtà un ordine di segno diverso: una
differente modalità di ordine. Questo tipo di città è perciò quello che ha
sentito meno le conseguenze della cultura dello standard e della zonizzazione. Per
una resistenza all’attuazione della norma si apre infatti a un processo di
autogenerazione degli spazi. Quando De Carlo parla della città mediterranea
parla di una condizione. Nelle mappe di questi centri urbani esiste una
equivalenza e una continuità tra pieno e vuoto, con le strade che continuano
nei cortili, negli atri e così via. Ne deriva un processo vivificante di
attività e di relazioni umane, che per De Carlo è di grande interesse. E questo
interesse non manca di ragioni biografiche. Egli nasce a Genova, ma da un padre
che è nato a Tunisi da genitori siciliani. Ha una madre nata in Cile ma da
genitori piemontesi. Vive inoltre gli anni della prima formazione a Tunisi.
Quindi la cultura delle molteplicità e delle differenze la porta dentro di sé e
forgia il suo carattere, la sua indole di teorico e di acuto osservatore. Tutto
questo spiega il suo interesse per lo spazio, che reinterpreta come vita e area
di relazione sociale. Alle politiche di una cultura dell’astrazione oppone
perciò il paradigma del radicamento nei luoghi, che trova peraltro degli utili
spunti di elaborazione nel rapporto che stabilisce con Elio Vittorini e Italo
Calvino».
Teresa
Cannarozzo (docente
di Urbanistica all’Università di Palermo): «Il contesto del Comune di Palermo
di quegli anni era estremamente opaco. Era ancora attivo Vito Cincimino, con i
suoi diktat e le sue emanazioni, anche a livello di burocrazia comunale. In
modo calcolato, il Comune optò per un suo studio ed evitò di ricorrere a un
nuovo strumento urbanistico. Le regole vigenti del centro storico restavano
perciò quelle del piano regolatore del 1957, che fu funzionale al sacco della
città. Questo però non venne compreso a sufficienza, né dai miei colleghi della
facoltà di Architettura né da Giuseppe Samonà, il quale, sospinto dalla sua
passione, dal suo impeto e dalle sue certezze, sembrava non rendersi conto che
per mettere mano a un’area tanto importante e tanto degradata, occorrevano
conoscenze oggettive e nuove regole operative. Samonà preferiva passeggiare tra
le vie del centro storico con un codazzo di giovani, cui indicava gli edifici
“belli”, da conservare, e quelli “brutti”, da demolire. Era inoltre dell’idea
che tutti gli alberi dovessero essere abbattuti perché impedivano la vista
delle architetture. Si dimostrava insomma abbastanza pericoloso. Disponeva
inoltre di carte molto approssimative dell’area su cui si doveva intervenire;
le previsioni del suo studio risultarono perciò altrettanto vaghe. Si trattava
in realtà di una grande recita, che avrebbe lasciato intatte le cose. Il Comune
quindi lasciava fare. L’ingegnere Biondo, educato alla scuola di Ciancimino e a
capo del settore urbanistico al Comune di Palermo, continuava a dare le sue
indicazioni. E in tale quadro, il rapporto tra De Carlo e Samonà fu per forza
di cose estremamente conflittuale, tale da indurre il primo a “ritagliare” per
sé un pezzo di centro storico, l’Albergheria, su cui lavorò con un gruppo di
giovani».
Alfredo
Pirri (docente di
Pittura all’Accademia):«Perché si presenta in questa sede istituzione, in una
Accademia di Belle Arti, Il progetto
Kalhesa di Giancarlo De Carlo? La risposta ci è data con chiarezza dallo
stesso autore, quando dice, nel libro Conversazioni
su architettura e libertà, scritto poco prima della morte, che “l’architettura
è troppo importante per lasciarla in mano agli architetti”. Fin qui si è
parlato soprattutto degli eventi che hanno fatto da sfondo e da premessa al
libro di De Carlo, ma mi preme sottolineare alcuni contenuti di questa opera.
Si tratta sicuramente di un libro politico, molto critico. Sono straordinari i
termini in cui De Carlo maschera i protagonisti, i partiti, le altre entità in
causa: i Reliquiari, Ghermiglioni, gli Austeri, l’Organika. Ma proprio questi
termini danno plasticamente l’idea di cosa sia Il progetto Kalhesa di De Carlo. Non si tratta solo di un libro di
denuncia politica ma anche di un romanzo. Motivo della narrazione non è solo la
difficile elaborazione di un progetto di recupero che mascherava in realtà la
volontà di lasciare tutto inalterato. Ad un certo punto De Carlo accenna,
seppure velatamente, a una sua fonte d’ispirazione, che è Il gioco delle perle di vetro di Hermann Hesse. E a ben vedere,
questi due libri hanno delle similitudini, perché ambedue danno nome, intanto,
a cose di cui non si coglie l’esistenza. Il gioco delle perle di cui parla
Hesse rimane al lettore un enigma, ed enigmatici appaiono i meccanismi di
potere narrati da De Carlo».
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