di Antonio
Mazzeo
Dalle guerre in Afghanistan e Libia alla vigilanza di
piazze, cortei, manifestazioni e azioni di lotta contro le politiche di
austerity del governo italiano. I “Predator” dell’Aeronautica militare, dopo
essere stati schierati nei principali scacchieri di guerra mediorientali e
africani saranno messi a disposizione delle forze di Polizia e dei Carabinieri
per interventi d’ordine pubblico e vigilanza del territorio. Nei giorni scorsi
è stato firmato a Roma un accordo che prevede il “concorso con i velivoli senza
pilota Predator ad attività istituzionali della Polizia di Stato e dell’Arma
dei Carabinieri”, riferisce il Comando dell’Aeronautica italiana. Il protocollo
d’intesa, mai discusso in sede parlamentare, è stato siglato dal capo di Stato
Maggiore dell’Aeronautica gen. Pasquale Preziosa, dal Capo della Polizia
Alessandro Pansa e dal Comandante Generale dei Carabinieri, gen. Leonardo
Gallitelli.
L’uso dei “Predator” in funzione di controllo interno
rappresenta l’ennesimo salto di qualità nella gestione “militare” dell’ordine
pubblico, in linea con le più recenti elaborazioni strategiche in ambito Nato
(le cosiddette Urban Operations) che
propongono l’intervento in future operazioni urbane anti-sommossa di reparti
super-specializzati e super-armati di professionisti formatisi nelle operazioni
di “guerra asimmetrica” in Iraq e Afghanistan. I velivoli a pilotaggio remoto
che l’Aeronautica metterà a disposizione di Polizia e Carabinieri saranno gli
RQ-1A e RQ-9B in possesso del 32° Stormo con sede ad Amendola (Foggia). La
versione più vecchia del “Predator” è lunga 8,2 metri, ha una larghezza alare
di 14,8 m e può raggiungere una
velocità di crociera di 135 km/h e un’altitudine di
7.800 metri. L’RQ-9B,
noto anche come “Reaper”, è una versione più aggiornata e sofisticata del drone
prodotto dall’holding statunitense “General Atomics”: ha una lunghezza di 11 metri,
un’apertura alare di 20 e può volare a 440 Km/h e a 15.000 metri dal suolo.
I “Predator” hanno la capacità di rimanere in volo per
lungo tempo (oltre 20 ore) nell’area di operazione, con possibilità di essere
dirottati in qualsiasi momento verso nuovi obiettivi. I velivoli senza pilota
vengono impiegati normalmente in missioni d’intelligence, sorveglianza e
acquisizione dei target, grazie all’impiego di avanzati sistemi di scoperta
elettro-ottici ed infrarosso, diurno e notturno, e di potenti radar per
l’individuazione di obiettivi di superficie. In via secondaria i “Predator”
sono impiegati dalle forze armate
nell’ambito di operazioni di pattugliamento aeronavale, ricerca e
soccorso. “Questi velivoli a pilotaggio remoto sono in grado di assolvere
un’ampia gamma di compiti dimostrando elevate doti di flessibilità, versatilità
ed efficacia”, spiega il Comando generale dell’Aeronautica militare. “È
possibile, ad esempio, rilevare la presenza di minacce quali ordigni esplosivi
improvvisati che rappresentano il pericolo più insidioso e diffuso nei teatri
operativi odierni. Possono inoltre essere effettuate missioni in ambienti
operativi ostili, in presenza di contaminazione nucleare, biologica, chimica o
radiologica, oppure acquisire dati ed informazioni relativi ad obiettivi di
piccole e grandi dimensioni in zone potenzialmente oggetto di operazioni. Le
caratteristiche di autonomia, velocità, persistenza e raggio d’azione, unite ai
bassi costi di esercizio, rendono il Sistema uno degli strumenti migliori per
il controllo dei confini, l’attività diretta all’antiterrorismo, il monitoraggio
ambientale, il supporto alle forze di polizia, l’intervento in caso di calamità
naturali e la sorveglianza del fenomeno dell’immigrazione clandestina”.
Nei mesi passati i “Preadator” del 32° Stormo di
Amendola sono stati impiegati per il pattugliamento del Mediterraneo centrale
nell’ambito dell’operazione aeronavale “Mare Nostrum” condotta dalle forze
armate per contenere il transito delle imbarcazioni di migranti e richiedenti
asilo in fuga dal Nord Africa e il Medio oriente. Anche dopo il recente passaggio
di consegne all’operazione Triton a guida Frontex, l’agenzia europea di
contrasto all’immigrazione, i droni dell’Aeronautica continuano a volare nei
cieli mediterranei con sortite fino ai confini meridionali della Libia con Ciad
e Sudan. Anche in passato, i droni dell’Aeronautica militare erano stati
impiegati in operazioni di “sicurezza interna” e controllo dell’ordine pubblico
a favore della Polizia di Stato e dell’Arma dei Carabinieri: ad esempio,
durante il vertice intergovernativo Russia–Italia, tenutosi a Bari nel marzo
2007 o il G8 dell’Aquila del 2009. Con l’accordo dei
giorni scorsi, l’Aeronautica militare entra a pieno diritto nella “prevenzione
anti-crimine” in territorio italiano: i suoi droni grandi fratelli, potranno spiare liberamente comunità e singoli
cittadini, 24 ore al giorno, 365 giorni l’anno.
La prima batteria di “Predator” fu utilizzata dal 32°
Stormo di Amendola dalla base di Tallil, in Iraq nel gennaio 2005, in supporto
del contingente terrestre della missione “Antica Babilonia”. Nel maggio 2007 i
droni furono trasferiti pure nella base di Herat, sede del Comando regionale
interforze per le operazioni in Afghanistan (RC-West), dove hanno continuato ad
operare ininterrottamente sino ad oggi. Nel corso delle operazioni belliche
contro la Libia della primavera-estate 2011, i velivoli a pilotaggio remoto
hanno avuto un ruolo guida per consentire i bombardamenti dell’Aeronautica
italiana e dei partner della coalizione internazionale anti-Gheddafi. Lo scorso
mese d’agosto, due “Predator” sono stati schierati a Gibuti, in Corno d’Africa,
nell’ambito della missione antipirateria dell’Unione Europea “Atalanta” e a
supporto delle forze governative somale in lotta contro le milizie di Al
Shabab. A fine ottobre, altri due velivoli senza pilota dell’Aeronautica
militare sono stati trasferiti nello scalo aereo di Kuwait City per operare a
favore della coalizione internazionale anti-Isis in Iraq e Siria. Adesso è
l’ora della guerra sul fonte interno.
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