Con un atto di fede e di affetto, lo scrittore Gino Pantaleone ha dedicato una recente biografia al grande storico della mafia Michele Pantaleone.
Il libro, intitolato “Il gigante controverso. Michele Pantaleone:
una vita contro la mafia”, è pubblicato da SCe (Spazio Cultura edizioni). La
figura di Pantaleone in pratica è stata rimossa dalla memoria collettiva e condannata
all’oblio. Uomo di straordinario spessore umano e culturale, coraggioso combattente
controcorrente, Pantaleone fu l’antesignano di una antimafia vera, da far
sedimentare nelle coscienze più che da declamare nelle conventicole del potere
mascherato da cultura. Purtroppo è
pressocché sconosciuto dalle nuove generazioni. Nato e vissuto per gran parte della sua esistenza a
Villalba, regno del famigerato “don Calò” Vizzini, icona di una mafia
onnipotente e onnicomprensiva alla quale le persone comuni erano pure obbligate
a pagare un tributo di sottomissione e di ossequio formali, Michele Pantaleone fin
da ragazzo manifestò un totale rigetto verso una condizione sociale per lui
inaccettabile.
Da questo rigetto nascono le sue prese di posizione nette, che
lo rendono scomodo agli occhi dei concittadini e, in seguito, anche a quelli
dei partiti politici e persino delle istituzioni. Emblematica a tale riguardo è
la vicenda delle 164 schede di mafiosi (schede che scottano, con nomi, cognomi
e fatti documentati) che Michele consegna nel 1988 alla Commissione Antimafia,
per poi vederle affogare dalla stessa in un generico e pletorico elenco di 2870
nominativi.
Nel 1962 esce “Mafia e Politica” edito da Einaudi con
prefazione di Carlo Levi. Costituisce una pietra miliare sulla vera natura
della mafia e su i suoi rapporti organici con una parte della politica. Segue,
nel 1966, “Mafia e droga”, in cui Pantaleone, facendo leva su ricerche e
conoscenze a livello internazionale, mette in luce il meccanismo perverso
dell’iter della droga dalla Sicilia agli Stati Uniti d’America.
Un’ultima sottolineatura è stata fatta riguardo i
rapporti tra Michele Pantaleone e il mondo del cinema. Egli condannò sempre un
certo cinema satirico e folkloristico che tanto male ha fatto alla Sicilia
perché ha deviato l’attenzione su aspetti superficiali e anche banali del fenomeno
mafioso invece di focalizzare il cuore del problema. Pantaleone era più favorevole ai documentari
che alle fiction. L’unica consulenza cinematografica la fornì al regista
Giuseppe Ferrara quando girò ”Il sasso in bocca”, film prodotto da Cine 2000 e
uscito nelle sale nel 1970. Ferrara attraverso fatti documentati e con una voce
fuori campo esprime una condanna non solo nei riguardi dei mafiosi, ma di
collusi a vario titolo: borghesi, baroni e anche una certa America compromessa
con Cosa Nostra.
Pippo La Barba
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