Novanta anni
fa, in ottobre, nasceva la radio pubblica; quaranta anni fa, a cavallo fra il
1974 ed il 1975, nasceva la radio privata. La Rai ha ricordato
l’anniversario con programmi che ne hanno rievocato gli episodi, le
stagioni, le performances più importanti. Un omaggio doveroso, la radio è il
gioiello della Rai, il prodotto più amato e più prezioso. Ha fatto la storia
del Paese, l’ha aiutato a crescere e vivere meglio, a costruirsi una identità,
a non sentirsi mai solo. La radio
privata meriterebbe, tuttavia, qualche riconoscimento. Nacque grazie ai “pirati”
dell’etere, si conquistò il diritto di esserci dopo essere passata per
tribunali e il banco degli imputati. Trascorse un’infanzia inquieta ed incerta:
pionierismo, volontariato puri. Né stipendi, né affari. Solo lavoro,
creatività, spericolate invenzioni. Tanti giovani si cimentarono in un mestiere
che non conoscevano: divennero dj, tecnici, fonici, giornalisti.
Qualcuno è finito in galera, qualche
altro in Sicilia ci ha lasciato la pelle. Un’epopea misconosciuta, dimenticata,
ingiustamente rimossa.
Quando
nacquero, le “private” furono battezzate radio libere. Non solo perché abbattevano il
monopolio della radio pubblica e conquistavano il diritto di abitare l’etere,
ma perché aprivano i microfoni alla gente comune. Le radio libere diedero voce
a quelli che non l’avevano. Cadde un tabù, fu smantellato l’ordine del
discorso, la consuetudine all’emarginazione di coloro che non contano niente:
solo chi ha un ruolo ed un luogo “deputato” ha diritto a parlare, spiegò
Foucault, a ragione.
Con le radio
libere fu permesso alle casalinghe di lamentarsi dei netturbini che non pulivano le strade, a
professori di lamentare della scuola malmessa, alle giovani donne di protestare
contro il maschilismo imperante, agli operai di denunciare l’insicurezza nel
posto di lavoro e ai ragazzi di fare ascoltare la musica che prediligevano. In
ogni comunità – piccola, grande, media – dirigenti politici e sindacalisti,
uomini e donne ebbero l’opportunità di confrontarsi e dire la loro su tutto:
l’arte, la politica, la musica, lo sport.
Fu
un’autentica rivoluzione, un’esplosione di democrazia che cambiò le abitudini degli
italiani e costrinse la radio pubblica ad aprire anch’essa i suoi microfoni a
coloro che non avevano voce. Se la radio Rai conserva ancora oggi l’affetto e
l’interesse degli italiani, lo deve anche alle radio libere, che fecero da
battistrada nel mondo nuovo.
La Sicilia e
la Liguria furono le regioni più prolifiche di radio libere. Ne sorsero come funghi
nell’Isola: a Gela, Ragusa, Palermo, Catania. La Polizia postale denunciava,
perché era suo dovere farlo, ed ai magistrati toccò di giudicare. Alcuni non lo
fecero e mandarono le carte alla Corte costituzionale, aprendo la strada alla
fine del monopolio.
Le radio
libere furono, in definitiva, il prologo della rete. Il primo “social”, un passo
decisivo verso la fruizione di massa degli strumenti di comunicazione. Se la
Rai è la radio mamma, come dice Rosario Fiorello, le radio libere sono i suoi
figlioli più intraprendenti.
Salvatore Parlagreco
Siciliainformazioni.com
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