Pippo Civati e Nichi Vendola |
di Daniela Preziosi
Pippo Civati, cosa succederà sul jobs act?
Siamo ancora in alto mare. La situazione è un non senso: si parla di un emendamento del governo che però non è stato ancora presentato, si parla di una mediazione che però già chiaramente pasticciata. In realtà nel Pd è chiaro che c’è un malessere che attaversa le coscienze, più che le correnti. Al senato la votazione non è scontata. Dipende da cosa arriverà al voto finale.
Nella minoranza ’riformista’ ex bersaniana però in molti apprezzano le aperture di Renzi sull’art.18 e sul reintegro per i licenziamenti disciplinari.
Nella corrente bersaniana apprezzano? Mi pare che Bersani non sia così sereno e soddisfatto, tant’è che ha votato no in direzione. E voglio dire una cosa: se Renzi dovesse mettere la fiducia sulla legge delega sarebbe una sconfitta per lui. Vorrebbe dire che non ha convinto nessuno dei contrari. Io vorrei parlare di politica, più che di numeri. E la fiducia sarebbe una prova di fragilità, non di forza.
Pippo Civati, cosa succederà sul jobs act?
Siamo ancora in alto mare. La situazione è un non senso: si parla di un emendamento del governo che però non è stato ancora presentato, si parla di una mediazione che però già chiaramente pasticciata. In realtà nel Pd è chiaro che c’è un malessere che attaversa le coscienze, più che le correnti. Al senato la votazione non è scontata. Dipende da cosa arriverà al voto finale.
Nella minoranza ’riformista’ ex bersaniana però in molti apprezzano le aperture di Renzi sull’art.18 e sul reintegro per i licenziamenti disciplinari.
Nella corrente bersaniana apprezzano? Mi pare che Bersani non sia così sereno e soddisfatto, tant’è che ha votato no in direzione. E voglio dire una cosa: se Renzi dovesse mettere la fiducia sulla legge delega sarebbe una sconfitta per lui. Vorrebbe dire che non ha convinto nessuno dei contrari. Io vorrei parlare di politica, più che di numeri. E la fiducia sarebbe una prova di fragilità, non di forza.
A proposito di numeri. È di ieri Repubblica ha raccontato il crollo del numero dei tesserati Pd.
Mi sorprendo che ci si sorprenda. Stefano Fassina parla di un partito trasformato in comitato elettorale. Io non mi voglio spingere fin qui. Ma da tempo dico che, senza che ci sia una discussione esplicita, il partito si sta trasformando. Mi sorprendo che persino i cultori della materia, e cioè del partito e della sua sacralità, non considerino questo dato come rilevante. Vedo il presidente dell’assemblea Orfini dire che è un dato ’fisiologico’. Non mi sembra che il calo della partecipazione e delle tessere così forte possa essere rubricato alla fisiologia.
Perché questo calo, secondo lei?
Perché il partito a vocazione maggioritaria è stato tradotto così: non importa quello che succede in basso, importa solo quello che succede in alto. Vale anche a Roma, per cui figuriamoci nelle regioni.
Lunedì scorso, entrando nella direzione Pd, lei ha detto: potrebbe essere il mio ultimo intervento. Si sta preparando a uscire dal Pd,?
Mi hanno chiesto se intervenivo, ho detto poteva essere il mio ultimo intervento. Perché la tensione e anche il tono espulsivo di alcune dichiarazioni dei renziani facevano pensare a una rottura non sanabile. Poi è stata un po’ ammorbidita da questa cosiddetta mediazione presentata da Renzi. Per me resta un pasticcio. C’è un clima pesante, anche inutilmente pesante nel Pd.
Ha l’impressione che qualcuno la voglia spingere fuori?
Ho l’impressione che qualcuno cerchi di riposizionare il Pd da un’altra parte. Quando a Renzi scappa di dire ’quella è una battaglia della sinistra’ fa un lapsus, tradisce la sua posizione verso certe aree culturali. In direzione c’è stata una discussione sulla nostra cultura politica, più che sull’articolo 18.
Lei è il sospettato numero uno di scissionismo.
No, non io. Ce ne sono anche altri. Molti guardano con curiosità a quello che sta facendo e dicendo D’Alema, che non è esattamente d’accordo con me. E comunque non sono io a volere la scissione, ma il comportamento di Renzi che rischia di allontanare pezzi di partito, come dimostrano anche i dati del tesseramento. Io non lavoro a dividere il Pd ma è un fatto che Renzi guarda altrove e non nel nostro campo. Il mio orizzonte resta il centrosinistra. Questo governo sceglie di fare sue le proposte della destra.
Vendola propone una «coalizione dei diritti e del lavoro». E lei oggi sarà sul palco con lui, e con altri.
È un’idea che abbiamo lanciato a Livorno, quest’estate, non a caso con Vendola. In quel caso c’era anche Gianni Cuperlo. Se Renzi ha fatto il patto del Nazareno, vuol dire che noi faremo il patto degli Apostoli. E lo facciamo sul programma su cui siamo stati eletti in parlamento: pensate che strani che siamo.
Vuole fare il La Fontaine italiano, che nel 2005 lasciò l’Spd per fondare la Linke tedesca?
Mi viene in mente una battuta di Benigni, ’mi piacerebbe essere l’Anna Magnani svizzera’. Io voglio una sinistra repubblicana, non è una cosa particolarmente radicale. Una sinistra che abbia a cuore l’alternanza e un rapporto diretto con i propri concittadini, non in senso populistico ma in senso politico. Io vorrei un Pd e un centrosinistra diverso, non vorrei una forza di opposizione tout court. E vedo che Vendola l’ha capito bene.
Il Manifesto, 4 ottobre 2014
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