Il Santuario di Tagliavia e i terreni circostanti |
PALERMO
- Totò Riina dettava legge su tutto e tutti. Ogni decisione doveva passare dal
capo dei capi. Era il padrino a decidere persino quali animali dovessero
pascolare sui terreni del Corleonese. E non importa che i terreni non fossero
suoi. Sorprendente, però, è il fatto che appartenessero, allora come oggi, alla
Chiesa.
Il
blitz dei carabinieri del Gruppo Monreale, che ieri ha portato in carcere
cinque presunti boss di Corleone e Palazzo Adriano, racconta anche la vicenda
di una mafia antica. Rurale. Una mafia che si sarebbe arrogata il diritto di
comandare su un immenso appezzamento di terreno - 84 ettari - attorno al
santuario di Maria Santissima del Rosario di Tagliavia. E i diritti, sul solco
di una tradizione feudale, non si perdono mai. Si tramandano. Figuriamoci se
c'è di mezzo uno come Totò Riina. I terreni, poco distanti da Ficuzza e lungo
la strada che conduce a Corleone, sono intestati alla Mensa arcivescovile di
Monreale e alla Parrocchia Santa Maria del Rosario.
Le
microspie hanno captato la controversia fra Rosario Lo Bue e Antonino Di Marco
sulla gestione del pascolo. Lo Bue, classe 1953, è un nome noto alle cronache
giudiziarie. Nei giorni del blitz Perseo - dicembre 2008 - veniva indicato come
il nuovo capo mandamento di Corleone. Da quel mega processo uscì assolto perché
le intercettazioni che lo riguardavano furono dichiarate inutilizzabili. Il 3
gennaio 2012 Di Marco, arrestato ieri, raccontava a Nicola Parrino, pure lui in
manette, che erano sorti contrasti fra Leoluca Lo Bue, figlio di Rosario, e
Vincenzo Di Marco, fratello di Antonino. Anche Vincenzo non è un nome nuovo
alle cronache: fu arrestato all'indomani della cattura di Totò Riina, di cui
favoriva la latitanza.
Pochi
mesi dopo della questione terreni parlavano Di Marco e il nipote Francesco. E
veniva a galla l'interesse di cognomi pesanti: Giuseppe Salvatore Riina,
Ninetta Bagarella e Franco Grizzaffi. Sono il figlio, la moglie e il nipote del
capo dei capi. Dalla conversazione fra i Di Marco, zio e nipote, saltava fuori
che i terreni sarebbero utilizzati da Francesco, ma Leoluca Lo Bue vi
pascolerebbe gli animali vantando antichi diritti. Eppure sembrerebbe che i Di
Marco avessero il benestare proprio dal padrino corleonese.
Antonino
Di Marco informava il nipote di aver incontrato “Franco” a cui avrebbe chiesto
un parere. “Franco” gli avrebbe consigliato di parlarne con ”Rosario”. Da
“Rosario” Di Marco avrebbe poi appreso che della questione erano stati
informati “Salvuccio", "la signora" e "Franco”. Che vengono
identificati in Giuseppe Salvatore Riina, che ha finito di scontare la condanna
per mafia (Di Marco avrebbe fatto pure un esplicito riferimento alla partenza
di Salvuccio, che da tempo si è trasferito a vivere a Padova), Ninetta
Bagarella, moglie di Riina, e Francesco Grizzaffi, nipote del padrino,
arrestato, condannato per mafia, scarcerato nel 2012 e sorvegliato speciale.
Grizzaffi è anche cognato di Rosario Lo Bue, visto che hanno sposato due
sorelle.
Lo Bue si era detto disponibile a garantire anche i diritti di Salvuccio, Ninetta e Franco, ma si era beccato i rimbrotti di Di Marco per non essere riuscito a trasmettere al figlio l'educazione dei "vecchi". Le incomprensioni sui terreni, a suo dire, nascevano dalla contemporanea assenza di Bernardo Provenzano (“Binnu”), Salvatore Riina (“Totò”), Leoluca Bagarella (“Luca”) e Giovanni Grizzaffi, altro nipote di Riina. Alla fine Lo Bue avrebbe fatto un passo indietro, lasciando il diritto di comandare sulle terre a Di Marco, nonostante, diceva, Giuseppe Salvatore Riina, ritenesse sbagliata l'antica scelta di impedire ai Lo Bue l’utilizzo di quelle terre. Terre che non appartenevano, allora come oggi, ai mafiosi ma alla curia di Monreale. Un caso che rischia di non essere isolato e su cui si stanno concetrando il procuratore aggiunto Leonardo Agueci e i sostituti Sergio Demontis e Caterina Malagoli.
Lo Bue si era detto disponibile a garantire anche i diritti di Salvuccio, Ninetta e Franco, ma si era beccato i rimbrotti di Di Marco per non essere riuscito a trasmettere al figlio l'educazione dei "vecchi". Le incomprensioni sui terreni, a suo dire, nascevano dalla contemporanea assenza di Bernardo Provenzano (“Binnu”), Salvatore Riina (“Totò”), Leoluca Bagarella (“Luca”) e Giovanni Grizzaffi, altro nipote di Riina. Alla fine Lo Bue avrebbe fatto un passo indietro, lasciando il diritto di comandare sulle terre a Di Marco, nonostante, diceva, Giuseppe Salvatore Riina, ritenesse sbagliata l'antica scelta di impedire ai Lo Bue l’utilizzo di quelle terre. Terre che non appartenevano, allora come oggi, ai mafiosi ma alla curia di Monreale. Un caso che rischia di non essere isolato e su cui si stanno concetrando il procuratore aggiunto Leonardo Agueci e i sostituti Sergio Demontis e Caterina Malagoli.
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