ROBERTO LAGALLA*
Il dolore, la sofferenza e la morte attraversano tutte le culture. Ogni cultura li vive e li interpreta secondo i parametri che le sono propri e i tempi della storia ne registrano le diversità e gli sviluppi. La consapevolezza di un tempo per vivere e un tempo per morire ha fatto sì che gli atteggiamenti dell’uomo di fronte alle malattie e alla morte si siano plasmati di volta in volta a seconda degli orientamenti delle diverse sensibilità. Se è vero che il destino ultimo da sempre l’uomo lo ha subìto, è pur vero che l’ineluttabile da sempre l’uomo lo ha ostacolato, combattuto ed esorcizzato. La malattia, segno dell’umana fragilità, diventa il nemico da sconfiggere con i rimedi della “mente” prima (credenze magiche) e i rimedi della “razionalità” poi (lo sviluppo di una scienza medica). La storia della medicina è la storia di un libro che sembra non esaurirsi mai, tante sono state le intuizioni, le cure, i tentativi, gli esiti e le delusioni che ne hanno segnato il suo divenire da empiria a scienza nel ciclico riproporsi delle vicende umane.
* Rettore dell'Università di Palermo
Se ad Empedocle si deve il primo tentativo di studiare la medicina
come scienza naturale, a un gruppo di medici, affini ai sofisti, riuniti nella
figura di Ippocrate, con medici filosofi quali Alcmeone e Filolao, si deve la
capacità di gettare le basi dell’odierna disciplina scientifica, nel senso che
compresero che, insieme alle generali teorie filosofiche, l’arte medica dovesse
fondarsi sulla anatomia e fisiologia umana.
Al tema dell’arte lunga Antonino Giuseppe Marchese dedica
il suo ultimo lavoro L’immagine artistica della medicina in Sicilia dalla
preistoria al XX secolo, ultimo di una serie di pubblicazioni che consente
alle carte d’archivio di continuare a raccontare storie lontane. L’autore,
però, non si limita a guardare indietro nella storia: accanto a un excursus
dettagliato e preciso dei luoghi demandati a nosocomi in Sicilia, dei momenti
che hanno fatto progredire la scienza medica e degli uomini che ne hanno
consentito gli sviluppi, si sofferma a scandagliare il mondo delle
rappresentazioni e delle raffigurazioni sul tema preso in esame. Ne nasce una
vera e propria disamina che si presta a essere letta come proiezione delle
mentalità che nel corso del tempo hanno ostacolato e talvolta negato lo sviluppo
della scienza medica e il sapere scientifico. Mentalità che hanno pesato non
poco nell’impedire che si squarciasse il velo della conoscenza e
dell’applicazione scientifica.
I nosocomi, luoghi dove convogliare i malati, legano la loro
costituzione e diventano istituzioni sociali e religiose solo con lo sviluppo
degli ordini religiosi, che vengono a costituirsi dopo la fuga di monaci
dall’Africa invasa dai Vandali. Nei nosocomi del tempo vengono accolti i malati
ma anche i pellegrini. La malattia in questo periodo della storia è intesa
piuttosto come giusta punizione al comportamento umano e alle sue trasgressioni
verso il divino.
Nel XII secolo il diffondersi di un certo benessere e l’affermarsi
di valori nuovi determinano il mutare dell’atteggiamento dell’uomo di fronte
alla malattia e alla morte: l’uomo avverte la bellezza del mondo, riscopre le
gioie della vita e si avvia a un progressivo allontanamento dai beni del cielo,
cosa che spinge, come spiega Jacques Le Goff, a utilizzare la paura della dannazione,
più della morte stessa. Da qui la presenza in nosocomi, lazzaretti e chiese di
gigantografie pittoriche inneggianti alla caducità della vita quali, ad
esempio, Il trionfo della morte, note anche come Danze macabre perché
il corpo è destinato a morire, le cure allontanano di poco l’inevitabile che in
ogni caso è presenza che incombe. È memento mori. Le raffigurazioni che fanno propria questa tesi esprimono in
tutta la loro drammaticità le conseguenze di una morte serena o di una morte in
peccato.
Certamente, preoccuparsi di dare una buona morte sembrava
essere l’unico valido rimedio in un tempo in cui le conoscenze e i medicamenta,
che costituivano la “profilassi” (se così vogliamo definirla) del sistema
concettuale sanitario del tempo, poggiavano le basi sulla ignoranza pressoché
totale del contagio della morbosità. Si pensi al fatto che non c’era una
separazione dei malati per tipologia di afflizione e che prima di ogni cosa si
pensava a confessare e comunicare il “degente”, così come recitano le carte
dell’Ospedale Maggiore di Palermo, oggi Caserma “Rosolino Pilo”.
L’alchimia predomina su quanto non può
essere spiegato razionalmente, tanto è vero che, sosteneva Tommaso Campanella,
quando l’uomo comprende i meccanismi del fenomeno che ha di fronte, eccoli
diventare scienza, anzi volgar scienza. Quando si visita il Museo della
Scienza di Parigi, dove Umberto Eco ha ambientato il suo Pendolo di Foucault,
si rimane stupiti dalla coincidenza tra lo spazio degli strumenti scientifici
della chimica e i tavoli alchemici provenienti dalle xilografie e manoscritti
tramandatici, si rimane stupiti dallo spreco di intelligenza per un fine
prettamente magico.
Alla scienza medica Antonino Giuseppe
Marchese ricorda essersi ispirati artisti e grandi maestri dell’arte che si
sono cimentati nella pittura, nella scultura e nelle raffigurazioni incisorie.
Ma non solo. A questi, infatti, vanno aggiunti taluni “artigiani” che con la
ceroplastica, ritenuta per troppo tempo un’arte minore che fa uso di un
materiale umile, hanno saputo riprodurre organi del corpo umano – note, in
tutti gli ambienti scientifici, le realizzazioni di Zumbo – dove questo si
disvela nella sua ordinata complessità per lasciar comprendere i meccanismi che
“animano” la vita. Perfetti nella resa visiva e nel colorito tali da consegnare
una vividità realistica senza pari.
L’autore, nell’affiancare anche la lettura della produzione
artistica della scienza medica, originale ed esaustiva nella disamina, va a
costituire un vero e proprio palinsesto su cui leggere quanta strada l’arte
medica abbia percorso, bruciando le tappe soltanto in tempi a noi relativamente
vicini.
Il volume di Antonino Giuseppe Marchese, dunque, si pone come
impegno meritorio e meritevole, perché si fa rapporto dialogico tra conoscenza storica e conoscenza
artistica su di un tema tanto vasto quanto complesso, che regala di poter
passeggiare tra le pieghe del tempo accompagnati da maestri e artisti che hanno
contribuito a rendere grande la lezione dell’arte italiana anche in uno
specifico ambito che non si perimetra soltanto nella pertinenza sanitaria.
Roberto Lagalla
Rettore dell’Università
degli Studi di Palermo
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