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Al cimitero di Caccamo sulla tomba di Intili |
di DINO PATERNOSTRO
A Caccamo non c’era nessun familiare di Filippo Intili
alle iniziative dello scorso 7 agosto per ricordare il sindacalista e dirigente
comunista, che la feroce mafia di don Peppino Panzeca assassinò proprio 70 anni
fa in contrada Piani Margi. Non c’era nessuno perché in questi lunghi
settant’anni la compagna di Intili, Giuseppa Campisi, e i loro tre figli
Benedetto, Antonina e Giovanni sono tutti morti. Ma c’era l’amministrazione
comunale, col sindaco Andrea Galbo, diversi consiglieri, l’associazione
“Caccamo domani”, i giovani del circolo Pd, che hanno suggerito l’iniziativa. E
poi c’era lei, l’ospite d’onore, Vera Pegna, arrivata appositamente a Caccamo,
dove negli anni ’60 era stata la prima consigliera comunista donna. E in quegli
anni difficili, lei “straniera”, era riuscita a contrastare la mafia, fino al
punto di far togliere dalla sala consiliare la poltrona riservata al boss
Panzeca. C’ero anch’io, invitato dal sindaco, da Vera e dai giovani del circolo
Pd, perché ho ritenuto doveroso (e gratificante) essere presente all’iniziativa
per ridare memoria e dignità ad una vittima dimenticata della mafia come
Filippo Intili.L'ALBUM DEL VIAGGIO A CACCAMO / L'ALBUM DEL VIAGGIO A CASTELDACCIA
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In contrada Piani Margi, davanti alla targa dedicata a Intili |
La mattina presto eravamo al cimitero, dove il sindaco ha
fatto collocare sulla nuda terra, accanto alla targhetta con la croce e il n.
50, una piccola lapide con la scritta “Qui giace Filippo Intili (1901-1952)
“Ucciso da mano mafiosa si battè per la legalità e la giustizia. La sua memoria
spezzi ogni pavido silenzio”. E proprio accanto a questa lapide l’associazione
“Caccamo domani” ha deposto una corona di alloro, mentre la tromba suonava il
silenzio. Poi la benedizione di padre Giorgio Scimeca, secondo cui Intili fu
assassinato da “mano cruenta” (ma perché, 70 anni dopo, non dire “da mano
mafiosa”?). Per fortuna a contrada “Piani Margi”, a quasi mille metri
d’altezza, dove siamo saliti con i fuoristrada, il frate domenicano Giovanni
Calcara è stato molto più “sciolto” e coraggioso: “siamo qui riuniti – ha
esordito, davanti alla targa collocata sul luogo del delitto - per
riflettere e pregare. Per ricordare un uomo, il nostro fratello Filippo Intili,
trucidato per mano della mafia di Caccamo…”. Un ottimo intervento, chepubblichiamo integralmente, nel corso del quale ha definito Intili “un
crocifisso della storia”. Poi l’intervento dell’assessore regionale Giuseppe
Bruno, che ha rappresentato il governo siciliano, la testimonianza di Vera
Pegna e l’accorato appello del sindaco Galbo a “voltare pagina”, a segnare una
necessaria discontinuità per costruire la Caccamo della legalità e della
giustizia. Per 70 anni a Caccamo nessuno aveva più avuto il coraggio di
parlare/ricordare Intili. E ancora oggi la città ha il liceo intitolato a don
Teotista Panzeca, fratello del boss mafioso don Peppino ed lui stesso
“schedato” mafioso dalla prima commissione antimafia. Da ieri qualcosa è
cominciato a cambiare. Caccamo sta recuperando la memoria e con la memoria sarà
più facile costruire il futuro.
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Il mio intervento a Casteldaccia per ricordare Raia |
Contemporaneamente, nella vicina Casteldaccia, un
comitato cittadino ha voluto ricordare Andrea Raia, assassinato la sera del 5
agosto 1944 da quella stessa mafia della zona di Caccamo, capeggiata da Peppino
Panzeca. Una tre-giorni (5-6-7 agosto), animata dalla presenza dell’anziana
figlia di Andrea, Santa Raia, 87 anni, che è intervenuta ed ha presenziato a
tutti i momenti. Di ritorno da Caccamo, mi sono voluto fermare a Casteldaccia
per partecipare a questo significativo momento. Raia è stata la prima vittima
della violenza mafiosa e padronale nel secondo dopoguerra. Ma non è mai stato
adeguatamente ricordato. Solo nel 2000 gli è stata dedicata una via ed una
targa. Niente nei 56 anni precedenti, niente nei 14 anni successivi. Quest’anno
si è voluto ricominciare, grazie anche ai nipoti di Andrea Raia, che hanno
animato l’iniziativa, chiamando testimoni d’eccezione: Vito Lo Monaco, attuale
presidente del centro Pio La Torre, casteldaccese e primo segretario della
sezione Pci; Adriano Sgrò, dirigente nazionale della Fp-Cgil, Pippo Oddo,
storico del territorio, ex segretario della Federbraccianti Cgil; Nicola
Cipolla, presidente del Cepes, più volte parlamentare regionale, nazionale ed
europeo, che nel ’44 era segretario della Camera del lavoro di Palermo. E
Nicola, 92 anni ben portati, ha avuto anche il coraggio dell’autocritica: “Forse
Raia è stato dimenticato anche per lo scontro all’interno della Cgil tra
comunisti e socialisti e tra comunisti dell’area bordighiana e dell’area
togliattiana”. Raia era comunista bordighiano. Ma oggi, 70 anni dopo, anche
Andrea Raia deve trovare il suo posto stabile nel ricordo e nell’impegno di
coloro che si battono contro la mafia e per la democrazia. L’ho detto nel mio
intervento: proporrò alla Camera del lavoro di Palermo di trovare il modo per
ricordare “tutte” le vittime della lotta contro la mafia, in ogni paese, in
ogni borgata. Perché solo così potremo costruire un futuro vero, senza silenzi
complici”.
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Con Santa Raia, i suoi figli e i suoi nipoti |
Indimenticabile e, per me, commovente l’incontro e l’abbraccio con
Santa Raia. Una donna ancora energica, forte, con tanta voglia di raccontare e
denunciare. Mi ha voluto portare sulla strada, davanti la porta dove il padre era
stato assassinato il 5 agosto 1944, in via Butera n. 5. Con Santa al braccio,
siamo andati in via Butera. “Vedi, mio padre era seduto davanti questa porta, al
n. 5, per prendere un po’ di fresco; verso le 23,30 si è alzato, ha preso la
sedia per entrare a casa e andare a letto; appena ha girato le spalle, gli
assassini gli hanno sparato alle spalle”. Conoscevo questa storia, avevo letto
i verbali dei carabinieri, ma sentirla raccontare dalla figlia di Andrea Raia è
stata un’altra cosa. “Pochi minuti dopo – ha continuato Santa – sono arrivati i
due assassini di mio padre (i fratelli Francesco ed Onofrio Tomasello, mafiosi
e separatisi - nda), per sincerarsi che fosse morto davvero. Mia madre li ha
aggrediti, urlando loro in faccia: “Assassini! Assassini!”. Ma non vi fu un
processo, nessuno fu condannato”.
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Santa Raia ci indica il luogo dove fu ucciso suo padre |
Era questa, allora, la fine che facevano i
sindacalisti coraggiosi. Nonostante le coraggiose testimonianze dei familiari,
che denunciavano gli assassini, sfatando il luogo comune di una Sicilia
omertosa e succube della mafia. Basta ricordare Francesca Serio, la mamma di
Salvatore Carnevale, Felicia Bartolotta, la mamma di Peppino Impastato, ma
anche Rosa Mannino, la mamma di Placido Rizzotto, e adesso anche Rosalia
Tomasello e Assunta Canale, rispettivamente madre e moglie di Andrea Raia. Una strana
terra la Sicilia, dove spesso gli eroi vengono dimenticati e gli assassini
onorati. Da qualche decennio pare che si stia invertendo la rotta, ma senza la rinnovata
volontà di ciascuno di noi le inversioni di rotta non durano per sempre. Noi abbiamo
il dovere di continuarla! (d.p.)
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