Giuseppe Lumia |
Sono state settimane intense, giornate piene di discussione e
votazioni sulla riforma costituzionale. Ci sono stati momenti roventi, alcuni di alta riflessione, altri
scadenti e pieni di insulti. Altro
che clima costituente! Ma alla lunga questa riforma si affermerà per la sua
portata coraggiosa e innovativa. Dopo 30 anni di tentativi sembra che stavolta
si faccia sul serio. Vedremo durante il lungo cammino della riforma nelle varie
letture parlamentari. Si poteva fare diversamente? Penso di no, speravo di sì.
Il cambiamento è necessario e vitale, se non viene attuato la crisi ci
sovrasterà ed il Pa! ese si spegnerà lentamente. Invece, bisogna sfruttare
questa opportunità per fare scelte radicali e coraggiose, sui piani economico e
sociale, e “costituenti” di una Italia nuova.
Ho
partecipato, ho cercato di dare il mio umile contributo. H0 sentito forte
dentro di me il senso di responsabilità. Ho condiviso le scelte del Governo e
della maggioranza sull'impianto di fondo, ma alcune opzioni particolari non mi
hanno convinto. Siamo alla prima lettura, bisognerà tornarci sopra e correggere
alcuni aspetti. Vi affido queste riflessioni maturate alla fine di questo primo
cammino. Disponibile naturalmente al dialogo e al confronto, per
arricchire la mia valutazione e preparare il mio apporto quando il
provvedimento tornerà in Senato in terza lettura.
Alla fine c'è l'impegno
politico di sottoporre a referendum confermativo la legge di riforma
costituzionale che uscirà dal Parlamento. Anche questa sarà una bella sfida per
far vivere al Paese il cambiamento e chiamare ad una grande partecipazione i
cittadini, le culture, i territori, le forze sociali e politiche.
***
Riforma costituzionale sì, riforma costituzionale no. Può sembrare assurdo, ma nel nostro Paese si litiga anche su
quello che nelle altre democrazie è un momento di maturazione e unità. Si è
riusciti anche a confondere le acque creando un clima di tale contrapposizione
che si è perso il merito del confronto, al punto tale che il pendolo del conflitto
politico rischia di oscillare tra un no e un sì letti in modo strumentale. Il
sì viene trasformato in proposta regressiva sul piano culturale e
costituzionale, trascurando i maggiori limiti presenti nel no alle riforme, che
oltre al profilo sempre regressivo ha assunto un carattere negativo tipico del
conservatorismo.
Facciamo chiarezza. Il Paese ha bisogno di cambiamenti profondi,
anche radicali, di scelte così inedite da non essere iscritte nella ormai
consumata dialettica democratica presente nella nostra società. Diversamente il Paese si spegne e viene travolto dalla crisi
economica e morale. Anzi, siamo in notevole e clamoroso ritardo. Già dopo la
fine della Prima Repubblica bisognava rompere gli indugi e fare sul serio. Si è
preferito investire tutto sulla "democrazia dell'Io" senza riforme,
con risultati fallimentari e disastrosi. Il Paese ha bisogno di una stagione di
progettuale cambiamento. Anche le riforme costituzionali sono più che mai
necessarie. Ha fatto pertanto bene il Governo Renzi a superare le incertezze,
che sulle riforme costituzionali durano da almeno trent'anni, e avanzare una
proposta netta che nel corso del lavoro parlamentare ha acquisito una certa
chiarezza e sistematicità.!
Non bisogna sottovalutare la prima delle scelte che ha
accompagnato il progetto di riforma del Governo. Non è stata toccata la parte prima della Costituzione dove sono
contenuti i valori di fondo della nostra democrazia, che rimangono vivi e tutti
da attuare. Della seconda parte si è deciso di: modificare la struttura
parlamentare del "bicameralismo perfetto" per passare al "bicameralismo
differenziato"; tagliare il numero e i costi dei parlamentari riducendo il
numero dei senatori, che non percepiranno nessuna indennità; sopprimere le
Province, facendo propria la coraggiosa scelta già fatta dalla Regione
Siciliana, e il Cnel; riorganizzare il rapporto delicato tra Stato e Regioni
superando così la riforma fatta qualche anno fa del Titolo V della
Costituzione.
E' sempre bene ricordare che nella storia del nostro Paese la
Costituzione repubblicana rispondeva alla necessità di superare, dopo il
ventennio fascista e il secondo conflitto mondiale, una società dove larghe
fasce di cittadini poveri e di borghesia erano per molti versi refrattari ai
valori della democrazia e alla pratica democratica. La sfida delle sfide che avevano di fronte i nostri padri
costituenti era quella di democratizzare la vita del Paese per far vivere i
valori e il metodo democratico nella politica, nelle istituzioni e nella stessa
società. Si dovevano tenere a bada i profili autoritari e le leadership carismatiche
che scorrevano lungo le vene della nostra storia. I nostri costituenti hanno scelto
pertanto il "bicameralismo paritario", incarnato in un Parlamento
forte e in un Governo debole. Si riteneva opportuno sacrificare la
"decisione democratica" per favori! re la "condivisione
democratica"
Nel nostro difficile e drammatico tempo alla "sfida della
condivisione democratica", che rimane sempre aperta e da coltivare con
cura, se n'è aggiunta un'altra forse più dirompente e attuale: la
"decisione democratica". Quest'ultima è da considerare una vera e propria risorsa, senza la
quale altri poteri prendono il sopravvento attraverso le maledette
intermediazioni burocratico-clientelari, spesso corruttive, e politico-mafiose.
In democrazia le vie d'uscita da questa crisi possono essere
diverse. Anche in Italia se ne sono
sempre evidenziate due in particolare. La prima fa riferimento alla soluzione
del presidenzialismo o del semipresidenzialismo. Così è avvenuto in molte
altre democrazie di solida storia democratica senza che questa sia stata
foriera di sventure e rovine. Una seconda via è quella di riorganizzare la
democrazia parlamentare e collocare il rilancio della "decisione
democratica" nel cuore del potere legislativo a cui il Governo rimane
legato attraverso il voto di fiducia. La proposta del presidente Renzi, il
lavoro svolto dalla Commissione affari costituzionali e dall'Aula del Senato
sono indirizzati verso questo secondo impianto più congeniale alla necessità di
creare una svolta anche radicale della nostra vita parlamentare, ma senza
perdere i legami con la nostra storia democratica e con la nost! ra stessa
Costituzione.
Ne sono derivate alcune scelte di fondo:
I) Si passa dal "bicameralismo paritario" al
"bicameralismo differenziato". Alla Camera dei deputati è stato assegnato il potere legislativo
ordinario e il rapporto fiduciario con il Governo per rispondere così alla
necessità di dare una risposta adeguata alla domanda di "decisione
democratica", senza optare per il presidenzialismo. Al Senato sono state
assegnate altre funzioni: raccordo tra l'Unione Europea, lo Stato e gli Enti
territoriali; valutazione dell'attività delle Pubbliche Amministrazioni e
controllo dell'attuazione delle politiche pubbliche; partecipazione
all'attività legislativa costituzionale. E' rimasta una questione che ha diviso
molto il Senato: se l'elezione dei senatori doveva essere diretta o espressione
di secondo grado. E' prevalsa questa seconda opzione. Non è uno scandalo. Si è
così voluto rispondere ad un'altra domanda presente nella nostra democra! zia e
che non ha saputo trovare nella Seconda Repubblica alcuna sistematica risposta.
Si tratta della "partecipazione territoriale", cresciuta sempre più
dopo l'elezione diretta dei sindaci e dei presidenti delle Regioni. Rimane un
problema ancora aperto. Aver rafforzato una sola Camera, aver deciso di
eleggere i senatori con un'elezione di secondo grado richiama necessariamente
un'attenzione particolare alla legge elettorale che deve superare le
distorsioni micidiali dell'attuale legge dei "nominati", per evitare
che dalla finestra rientri lo spettro del leader carismatico e autoritario che
sceglie i propri parlamentari e a catena il Presidente della Repubblica, parte
della Corte Costituzionale e del Csm ... privando inoltre i cittadini del
diritto di esercitare pienamente, come ha confermato la nostra Corte
Costituzionale, la sovranità popolare nella scelta dei propri rappresentanti.
In q! uesto caso le soluzioni possono essere due: una riforma elettorale che si
indirizza verso i collegi uninominali oppure l'introduzione delle preferenze.
Per quest'ultima è da preferire la doppia preferenza di genere alla luce anche
degli ottimi risultati raggiunti in Sicilia per l'elezione dei Consigli
comunali.
II) Sull'immunità parlamentare si sono contrapposte diverse
impostazioni. Il Governo nella sua
proposta originaria non l'aveva prevista per i nuovi senatori. In Commissione
affari costituzionali del Senato è stata reintrodotta. L'Aula ha confermato
tale scelta. Attenzione, nel '93 vi è stata una profonda riforma al punto tale
che non abbiamo più una copertura totale come lo era prima e come rimane in
molte democrazie e nello stesso Parlamento europeo. Oggi, il parlamentare
italiano, a buon ragione, può essere indagato e processato. Rimane in vita
l'autorizzazione a procedere per le intercettazioni ambientali e telefoniche,
per le perquisizioni e per la privazione della libertà. Si poteva fare
diversamente: eliminarla per i futuri senatori, visto che rappresentano il
territorio e sono dei consiglieri regionali e sindaci in carica coinvolti nella
gestione amministrativa, per cui non &egrav! e; opportuno assegnare loro
una copertura che di solito si assegna a chi rappresenta un puro potere
legislativo. L'altra soluzione poteva essere quella di assegnare il compito
delicato dell'autorizzazione a procedere ad una sezione specializzata della
Corte Costituzionale, già chiamata a svolgere funzioni di regolazione tra i
vari poteri dello Stato e in qualche caso anche di tipo giudiziario. Rimane
pertanto aperta questo problema su cui bisognerà ritornare nelle prossime
letture di Camera e Senato.
III) Per l'elezione del Presidente della Repubblica è
previsto che questo compito è in carico ai parlamentari della nuova Camera e
del nuovo Senato sempre in seduta comune. Una scelta riduttiva che andrebbe rivista nel corso delle letture
che caratterizzano il lungo iter di riforma costituzionale. Il perchè è
semplice. La riduzione condivisa a 100 Senatori assegna ai parlamentari della
Camera un ruolo preponderante al punto tale che la maggioranza emersa dalle
urne può eleggersi un proprio Presidente della Repubblica, snaturandone così la
funzione di garanzia e di funzione super partes. In questo caso era da preferire
l'inclusione nella base elettorale che elegge il Presidente della Repubblica di
altri "Grandi elettori" come i parlamentari europei e altri
rappresentanti delle Regioni, in modo tale da facilitare una decisione a larga
convergenza e scegliere così un "! Presidente arbitro", come prevede
la Carta costituzionale, senza ricorrere all'elezione diretta del Presidente,
che sarebbe andata in contraddizione con l'impianto di riforma parlamentare che
si è deciso opportunamente di seguire. In Commissione affari costituzionali si
è introdotta una prima correzione prevedendo che l'elezione del Presidente
della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto, a maggioranza di due terzi
dell'Assemblea. Dopo il quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza dei tre
quinti dell'Assemblea, dopo l'ottavo scrutinio è sufficiente la maggioranza
assoluta, mentre prima scattava dopo il terzo scrutinio. Bisogna procedere in
tale direzione e migliorare il testo licenziato in prima lettura dal Senato.
IV) Sul rapporto Stato-Regioni la decisione del Governo e della
maggioranza del Senato è stata quella di eliminare la "legislazione
concorrente", che stava a cavallo tra le stesse Regioni e lo Stato,
foriera di ambiguità ed eterni conflitti. Adesso è chiaro quali sono le funzioni delle Regioni e dello
Stato. Si è evitato inoltre di cancellare la specialità delle Regioni autonome.
Sarebbe stato un errore micidiale. Certo, non dobbiamo difendere l'uso rovinoso
che della specialità si è fatto, ad iniziare dalla Sicilia. Quella specialità
era stata asservita ad un approccio micidiale che neanche la stupenda fase
costituente seppe risolvere. Un approccio addirittura preesistente allo spirito
democratico dei nostri costituenti, dello stesso fascismo e che
caratterizzò l'avvio dei primi decenni dell'Unità d'Italia. Si può semplificare
in questo modo: l'a! ssetto che l'Italia si diede non fu di vera e
sostanziale unità. Si realizzò una sorta di Costituzione materiale che
prevedeva un'"Italia duale": il nord produce per l'intero Paese
ed il sud consuma i prodotti del nord. Al sud il compito di consumare fu
implementato dall'utilizzo della spesa pubblica e dalla progressiva e continua
espansione del lavoro tutto concentrato nelle istituzioni pubbliche. Il posto
pubblico è stato infatti l'aspirazione principale dei cittadini meridionali,
alimentata da una politica che ha svolto sino ai nostri giorni una maledetta
funzione di intermediazione burocratica-clientelare e spesso
affaristico-mafiosa. Con il crollo della spesa pubblica finalmente va in crisi
questo modello e oggi più che mai la specialità può riprendere il suo ruolo
originario soffocato ed impedito per diventare un potente motore di legalità e
sviluppo, soprattutto in quelle Regioni che sono state piegate e rovin! ate
dalla logica che bisognava limitarsi a consumare passivamente la spesa pubblica
e non valorizzare le proprie vocazioni produttive. Certo, la specialità moderna
perderà le proprie ragioni storiche di rivalsa nei confronti del "Centro
decisionale", ma potrà acquistare una più moderna e decisiva capacità di
diventare "specialità progettuale". Per questo vanno sostenute le
ragioni di chi ritiene che le specialità vadano mantenute, seppur stimolate ad
imboccare la strada del cambiamento dei propri Statuti.
L'Italia
cambia il proprio assetto Istituzionale, ma non cancella né il Parlamento né le
Regioni. Anche le Regioni a statuto speciale cambiano, ma non annullano le
proprie prerogative pattizie nel rapporto con lo Stato e autonomiste nella
competenza esclusiva di alcune materie.
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