Giuseppe Lumia |
Oggi sono intervenuto al Senato sulla riforma costituzionale per
il superamento del bicameralismo perfetto. Una straordinaria opportunità
democratica per rendere più efficienti le nostre istituzioni. Di
seguito il testo del mio intervento.
Giuseppe
Lumia
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Colleghi,
è
vero siamo vicini ad una svolta. La riforma costituzionale è finalmente reale.
La riforma costituzionale è possibile.Trent'anni di ripetuti tentativi. Tutti falliti. Dalla Commissione Bozzi alla Commissione D' Alema. Poi, la riforma
andata male del 2001 del Centro-Destra, poi quella sempre discutibile del 2006
del Centro-Sinistra. Il Paese non può più rimandare. La riforma costituzionale è una
risorsa, una straordinaria opportunità democratica.
Evitiamo che diventi un problema, un problema che divide e separa
brutalmente la politica al suo interno e crea l'ennesima delusione sempre più
rovinosa tra i cittadini, le istituzioni e le stesse forze politiche. Certo, è
risorsa, se cambia in modo virtuoso il nostro assetto istituzionale e se costruisce
un assetto parlamentare in grado di dare dinamismo ed energia vitale ad
un'Italia che ha bisogno di rimettersi in moto e conquistare la fiducia degli
italiani attraverso un inedito e radicale percorso di riforme, in grado di
coniugare, forse per la prima volta nella storia legalità e sviluppo. Insomma,
per avere un Paese rimotivato al suo interno, autorevole sul piano europeo ed
internazionale, perché capace di avere istituzioni forti in grado di affrontare
t! emi storici come la lotta alle mafie e alla corruzione, l'innovazione della
nostra società nei diritti civili e sociali, il rilancio dell'economia su basi
nuove di sostenibilità e di crescita.
E' vero la nostra Costituzione del '48 è ancora moderna. Ha dei valori, regole e programma ancora tutti da realizzare. Mi
riferisco in particolar modo alla prima parte. Mentre è innegabile che la
seconda parte ha molti limiti, senz'altro giustificati perché ancorati alla sua
dinamica storica. I nostri costituenti avvertirono il bisogno di dare alla democrazia
dopo la seconda guerra mondiale, quindi dopo il fascismo, una caratterizzazione
ben precisa: “Democrazia
della rappresentanza”, “Democrazia della partecipazione”, “Democrazia
dell'inclusione”. Il "bicameralismo paritario"
rispondeva a questa esigenza ed il sistema elettorale proporzionale ne era lo
strumento più coerente per eleggere deputati e senatori. Era giusto così. Tutti
dovevano sentirsi coinvolti e tutti i soggetti politici e sociali dovevano
essere messi nella condizione d! i poter dare il proprio contributo. A tutti
era garantito un "pezzo" di potere. Bisognava costruire una cultura
democratica, si diceva allora "includere le masse", per molti versi
estranee ad un'idea e ad una pratica della democrazia. Bisognava diffondere il
benessere e contenere il conflitto che una società in crescita dirompente
portava con sé, come poi in effetti è avvenuto negli anni '60 e negli anni '70.
Si è necessariamente trascurata un 'altra dimensione vitale che è
quella della “decisione democratica”. Niente a che spartire con l'autoritarismo o lo stesso
decisionismo. Si riteneva, inoltre, che fossero del tutto irrilevanti i tempi
stessi della decisione. Così pure non si dava centralità ai territori: sia ai
Comuni che alle Regioni. Oggi nell'Italia della crisi si è preso coscienza che
la decisione democratica è una risorsa e non una pietra d'inciampo della
democrazia e che i tempi della decisione sono importanti quanto il metodo
decisionale.
Oggi per lo più condividiamo un punto fermo del dibattito
costituzionale di questi giorni e della proposta che il Governo Renzi ha avuto
il coraggio di avanzare: basta col bicameralismo
perfetto, differenziamo strutturalmente le due funzioni di Camera e Senato: una
sola Camera che da la fiducia al Governo, una sola Camera che interviene sulle
leggi ordinarie e un'altra Camera che ha funzioni di garanzia e di raccordo con
le politiche pubbliche ed europee e con le dinamiche del territorio. È un
impianto democratico moderno, presente in altri Paesi avanzati e che si pone
più in coerenza con la necessità di creare un'Italia che fa della decisione
democratica e dei territori la sua forza nel cuore del potere legislativo.
Diversamente, lasciare senza risposta la domanda di decisione democratica e di
rappresentanza territoriale, che nei cittadini non è in contrasto con la
domanda di partecipazione,&n! bsp;avrebbe portato un altro possibile
sbocco: rafforzare gli esecutivi sino al presidenzialismo e di fatto esautorare
oltre misura il potere legislativo. Delle due l’una. O si rafforza la capacità
dei Parlamenti di stare al passo dei mutamenti della società, oppure bisogna
dare più poteri agli esecutivi, come è avvenuto in diverse democrazie avanzate
a cui non rimproveriamo un eccesso di capacità decisionale anzi spesso ne
invidiamo tenuta sociale, stabilità dei governi, rilevanza dei soggetti
politici e qualità della democrazia.
Rimane una questione aperta che ci divide: la scelta se il Senato
deve essere un organo elettivo di primo grado o frutto di rappresentanza di
secondo grado. Si è imboccata la
strada del Senato come espressione di rappresentanza dei territori, con
una elezione indiretta dei propri componenti. Non è uno scandalo. E' un modello
sempre democratico, in questa fase forse più coerente con le due principali
domande democratiche presenti nel Paese: più decisione democratica con un ruolo
forte della Camera dei Deputati e più peso alla rappresentanza democratica
territoriale con un nuovo ruolo del Senato. La preoccupazione espressa
legittimamente di una perdita di democraticità nella selezione dei
rappresentanti del Senato non va imputata all'elezione di secondo grado, ma
semmai alla legge elettorale che dovremo scegliere per eleggere i parlamentari
che comporranno la Camera dei Deputati. Com! e la legge elettorale proporzionale
della Prima Repubblica rispondeva meglio al bicameralismo perfetto, oggi è più
coerente dotarci di una legge elettorale che superi le liste bloccate dei
cosiddetti parlamentari “nominati” per la formazione della nuova Camera dei
Deputati. Questo è il vero punto di contraddizione con l'impianto complessivo
che il Governo ci propone.
Abbiamo bisogno di una legge elettorale che preveda un rapporto
più diretto tra eletti e cittadini. I modelli possono essere diversi. Alcuni preferiscono i collegi
uninominali, altri la preferenza. Personalmente preferisco la doppia preferenza
di genere che sperimentata nei comuni in Sicilia sta dando dei risultati
straordinari in termini di coinvolgimento e partecipazione delle donne. In
questo modo il nuovo modello del “bicameralismo diversificato” può realizzarsi
superando qualunque preoccupazione democratica, per consegnare al Paese un
potere legislativo forte e capace di tenere il passo con le innovazioni e con
il superamento strutturale della crisi ancora presente nella nostra economia e
nella nostra società.
Rimane ancora aperta una questione che è emersa nel dibattito e
che non mi convince. Il nuovo assetto del Titolo V. Diversi interventi, anche in Aula, hanno sostenuto che bisogna
costituzionalmente superare la presenza delle Regioni a statuto speciale. È un
approccio che non condivido. Certo non difendo l'uso disastroso della
specialità che in molte Regioni si è fatto, ad iniziare dalla mia regione, la
Sicilia. Quella specialità è stata "piegata" da un approccio
micidiale che la nostra stessa stupenda fase Costituente del secondo dopoguerra
non seppe risolvere. Un approccio preesistente allo spirito democratico dei
nostri costituenti, allo stesso fascismo, e che caratterizzò l'avvio dei primi
decenni dell'Unità d'Italia. Lo semplifico in questo modo: l'assetto che
l'Italia si diede non fu di vera e sostanziale unità, ma si realizzò una
sorta di Costituzi! one materiale che prevedeva una “Italia duale” secondo cui
il nord produce per l'intero Paese, il sud consuma i prodotti del nord. Alle
regioni meridionali il compito di consumare fu implementato dall'utilizzo della
spesa pubblica e dalla progressiva e continua espansione del lavoro, tutto
concentrato nel pubblico impiego. Il “posto pubblico” è stato, infatti,
l'aspirazione principale dei cittadini del mezzogiorno. Un’aspirazione
alimentata da una politica che ha svolto sino ai nostri giorni una maledetta
funzione di intermediazione burocratica e clientelare e spesso
affaristico-mafiosa. Con il crollo della spesa pubblica, finalmente, va in
crisi questo modello e oggi più che mai la specialità può riprendere il suo
ruolo originario, soffocato ed impedito, per diventare un potente motore di
legalità e sviluppo, soprattutto in quelle Regioni piegate e rovinate dalla
logica che bisogna limitarsi a consumare la spesa! pubblica e non a
valorizzazione le proprie vocazioni produttive Certo, la “specialità moderna”
perderà le proprie ragioni storiche di rivalsa nei confronti del Centro
decisionale nazionale, ma potrà acquistare una più avanzata e decisiva capacità
di diventare “specialità progettuale”. Per questo ho sostenuto le ragioni di
chi ritiene che le specialità vadano mantenute, seppur stimolate ad imboccare
la strada del cambiamento dei propri Statuti.
L'Italia cambia il proprio assetto Istituzionale, ma non cancella
né il Parlamento né le regioni. Anche le regioni a statuto speciale cambiano,
ma non annullano le proprie prerogative pattizie nel rapporto con lo Stato e
autonomiste nella competenza esclusiva di alcune materie.
Giuseppe
Lumia
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