L'incontro tra il premier Renzi e il M5S |
Un confronto
in diretta streaming, avremmo detto fino a ieri, serve esclusivamente per
esibirsi o fare propaganda. Il peggio del teatrino della politica. Ma chissà
che al quarto tentativo tra Pd e M5S non cominci una storia nuova. Chissà che i
grillini, dopo la batosta elettorale, non rinuncino alla linea del «tanto
peggio, tanto meglio» e si predispongano a cercare finalmente ciò che di meglio
la politica può dare, cioè un «buon compromesso». E chissà che l’ingresso dei Cinquestelle nel negoziato istituzionale non porti
dei miglioramenti effettivi all’Italicum (perché, è bene dirlo, alcuni dei
punti esposti ieri da Di Maio e Toninelli sono apprezzabili).
Forse siamo ingenui, forse tutto naufragherà presto, eppure nel convulso e imbarazzato incontro di ieri si sono intravisti i margini di un’intesa che potrebbe rendere finalmente plausibile quella riforma elettorale, che nelle condizioni attuali risulta indigeribile. Matteo Renzi ha posto il suo vero discrimine, la condizione non negoziabile, nella previsione di un ballottaggio, o comunque di un premio che consenta al partito o alla coalizione vincente di governare senza ricorrere per forza alle larghe intese. Sebbene parliamo di una regola che non ha uguali negli altri sistemi parlamentari (non a caso, è mutuata dal modello iper-presidenzialista dei sindaci), è innegabile che il nostro Paese abbia bisogno di uscire dalla palude, di recuperare il senso di una democrazia decidente. Peraltro la competizione politica oggi è tripolare, e tutto fa pensare che resti così nel medio periodo. I grillini hanno proposto una legge proporzionale (sebbene corretta con divisori più selettivi e senza recupero dei resti circoscrizionali) per rendere più improbabile un governo omogeneo, e dunque costringere il Pd ad allearsi con il centrodestra. Ma non possono pretendere che il Pd assecondi il loro desiderio di lucrare in una opposizione solitaria. Il ballottaggio è oggi una risorsa di funzionalità per il sistema. Semmai si può e si deve discutere come incardinarlo nel sistema parlamentare, quali garanzie assicurare alle opposizioni (visto che si tratta di due poli largamente rappresentativi), come fare in modo che il presidente della Repubblica non venga eletto con i voti determinanti del premio di maggioranza della Camera.
È
incoraggiante che Di Maio non abbia opposto preclusioni assolute. Ha detto che
si può discutere. Le condizioni più forti dei Cinquestelle sono state altre:
l’eliminazione delle liste bloccate attraverso l’introduzione delle preferenze
e l’abbandono delle coalizioni preventive. Renzi, a sua volta, ha concesso
un’apertura sulle preferenze, sempreché i grillini accettino il ballottaggio.
Ecco, questo sarebbe uno scambio virtuoso. Perché, diciamo la verità, le liste
bloccate dell’Italicum producono lo stesso esito delle liste bloccate del
Porcellum: gli elettori vengono totalmente espropriati del diritto di scegliere
i loro deputati. La scelta è avocata dai leader e dalle oligarchie di partito.
E questo, secondo la Corte costituzionale, è illegittimo. I collegi più piccoli
non risolvono alcun problema: i deputati sarebbero tutti egualmente,
rigorosamente nominati dai capipartito. Se i senatori di domani devono essere
scelti dai consiglieri regionali, è inimmaginabile che anche i deputati vengano
sottratti alla libera determinazione dei cittadini.
Certo, è auspicabile che i grillini rinuncino a quel delirante congegno del voto negativo, per di più estendibile a candidati di altre liste. Così aumenterebbero, anziché ridursi, i rischi di voto di scambio, anzi di intervento criminale ai danni di determinati candidati. Chi vota un partito non può condizionare le preferenze di un altro partito, pena una grave compressione dei diritti delle minoranze. La preferenza proposta dal M5S però va accolta (ovviamente, doppia preferenza di genere). Allo stesso modo sono stati convincenti gli argomenti dei grillini contro le coalizioni preventive, causa prima del trasformismo e dell’instabilità dell’ultimo ventennio. Nessun Paese democratico del mondo concepisce le coalizione preventive. Coalizioni quasi sempre infedeli, formate al solo scopo di spartirsi un premio. Non è un caso che per la prima volta dopo il 1958 un partito italiano ha raggiunto il 40% in un’elezione in cui si presentavano i partiti e non le coalizioni. Le coalizioni preventive comprimono la forza dei partiti: ne sono il massimo antagonista.
Renzi ha difeso le coalizioni usando un argomento: le alleanze di governo vanno dichiarate prima e non dopo il voto. Ecco, se fosse accettato il ballottaggio, si potrebbero tenere insieme il buon argomento di Renzi con il buon argomento di Di Maio. Al primo turno i partiti si presentano da soli. Con il loro simbolo, i loro candidati, il loro programma. Se nessuno raggiunge la soglia idonea a far scattare il premio (o comunque la maggioranza in seggi), prima del secondo turno si dichiarano le coalizioni. Così saranno tutti più liberi di stipulare l’alleanza o meno. E la soglia di sbarramento finalmente diventerà unica (le soglie differenziate sono uno scandaloso espediente per favorire le liste piccole, le liste civetta, gli oscuri mercanteggiamenti dei trasformisti).
Certo, è auspicabile che i grillini rinuncino a quel delirante congegno del voto negativo, per di più estendibile a candidati di altre liste. Così aumenterebbero, anziché ridursi, i rischi di voto di scambio, anzi di intervento criminale ai danni di determinati candidati. Chi vota un partito non può condizionare le preferenze di un altro partito, pena una grave compressione dei diritti delle minoranze. La preferenza proposta dal M5S però va accolta (ovviamente, doppia preferenza di genere). Allo stesso modo sono stati convincenti gli argomenti dei grillini contro le coalizioni preventive, causa prima del trasformismo e dell’instabilità dell’ultimo ventennio. Nessun Paese democratico del mondo concepisce le coalizione preventive. Coalizioni quasi sempre infedeli, formate al solo scopo di spartirsi un premio. Non è un caso che per la prima volta dopo il 1958 un partito italiano ha raggiunto il 40% in un’elezione in cui si presentavano i partiti e non le coalizioni. Le coalizioni preventive comprimono la forza dei partiti: ne sono il massimo antagonista.
Renzi ha difeso le coalizioni usando un argomento: le alleanze di governo vanno dichiarate prima e non dopo il voto. Ecco, se fosse accettato il ballottaggio, si potrebbero tenere insieme il buon argomento di Renzi con il buon argomento di Di Maio. Al primo turno i partiti si presentano da soli. Con il loro simbolo, i loro candidati, il loro programma. Se nessuno raggiunge la soglia idonea a far scattare il premio (o comunque la maggioranza in seggi), prima del secondo turno si dichiarano le coalizioni. Così saranno tutti più liberi di stipulare l’alleanza o meno. E la soglia di sbarramento finalmente diventerà unica (le soglie differenziate sono uno scandaloso espediente per favorire le liste piccole, le liste civetta, gli oscuri mercanteggiamenti dei trasformisti).
E Forza
Italia come reagirà? Ci auguriamo che partecipi attivamente al confronto sule
regole di tutti. Un veto non sarebbe accettabile. La priorità del Pd in ogni
caso è la qualità della riforma. Se l’interesse contingente dei Cinquestelle (i
timori di un’emarginazione o di una riforma ai loro danni) fosse utile a
migliorare l’Italicum, sarebbe un delitto non cogliere l’occasione.
L'Unità, 26 giugno
2014
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